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La morte? Un diritto umano! “Una possibilità meravigliosa”, “un diritto umano”: è così che Ludwig Minelli, presidente di Dignitas, autodefinitosi attivista per i diritti umani, ha descritto il suicidio in un’intervista rilasciata alla BBC due anni fa.
Al convegno dal titolo “Suicidio assistito ed eutanasia, una questione di diritti umani”, tenutosi nel luglio 2007 ed organizzato dal Partito radicale e dal gruppo dei liberali e democratici dell’europarlamento (Alde), Minelli intervenne ribadendo i medesimi concetti, lamentandosi delle difficoltà per garantire assistenza al suicidio per i malati di mente: “Il problema di come aiutare una persona malata di mente resta irrisolto”, disse.
In quanto a celebrità, il dottor Nitschke, noto come “dottor morte australiano” e direttore di Exit, un’altra organizzazione che opera a livello internazionale per divulgare le “migliori” tecniche per suicidarsi, non è certamente secondo a Minelli. Nel 2001, Nitschke, a colloquio con una giornalista del National Review Online, si domandò: “Perché gli adolescenti dovrebbero attendere di compiere 18 anni (per avere accesso al suicidio assistito, ndr)?”.
Oggi Nitschke, con la rete di Exit, diffonde le sue idee in tutto il mondo (suo lo spot tv portato in Italia dai radicali). Non può sorprendere che il direttore di Exit abbia parlato di Jack Kevorkian, meritatosi prima di lui il soprannome di “dottor morte”, come di “un eroe”.
Kevorkian è il medico di origine armena che nel 1999 fu arrestato negli Stati Uniti con l’accusa di omicidio (aveva praticato un’iniezione letale a Thomas Youk, affetto da malattia neurodegenerativa), dopo che aveva aiutato almeno 130 persone a morire. Interpellato dal Time Magazine nel 1993, che gli chiedeva se la malattia terminale fosse requisito necessario per ottenere l’assistenza al suicido, rispose: “Naturalmente no. E non deve essere neppure dolorosa. Ma la qualità della vita deve essere pari a zero”.
Minelli, Nitschke e Kevorkian hanno coniugato teoria e pratica. Ma sono probabilmente Peter Singer e H. Tristram Engelhardt coloro che hanno gettato le basi filosofiche moderne per la giustificazione di eutanasia e suicidio assistito, attraverso molti dei loro libri.
Con “Ripensare la vita” Singer, professore di bioetica all’Università di Princeton, nel 1994 si propone di elaborare una “nuova morale per il mondo moderno”. Tra i tanti passaggi favorevoli ad aborto, eutanasia, suicidio assistito e infanticidio, si può leggere: “Gradualmente impareremo a pensare che, nel caso di malati terminali o incurabili, un corretto esercizio della professione medica comprende anche la pratica dell’eutanasia”.
In “Etica pratica”, del 1997, Singer afferma poi: “Uccidere un neonato disabile non è moralmente equivalente ad uccidere una persona. Molto spesso non è affatto sbagliato”. E’ del 1986 invece “Foundations of bioethics” (“Fondamenti di bioetica”), l’opera in cui Engelhardt, professore di filosofia alla Rice University in Texas, afferma che nel “contesto morale laico […] cosa ci sia di moralmente sbagliato nel causare direttamente o nel determinare la morte di un individuo innocente non lo si comprende più”.
E, più avanti, prosegue: “L’autorità morale può discendere solo dal consenso, dal permesso delle persone coinvolte”.
Sono queste le idee a cui esplicitamente si ispirano coloro che oggi in Italia vorrebbero la legalizzazione dell’eutanasia. Maurizio Mori, presidente della Consulta di Bioetica, sull’Unità, in occasione della morte di Eluana, scrisse che “non sempre la vita è buona”. La consulta si batte da sempre per la legalizzazione dell’eutanasia e nel 1993 produsse un documento in cui se ne affermava la liceità morale.
Nel marzo 2009, ancora sull’Unità, Mori ed altri firmatari, tra cui il dottor Mario Riccio, coinvolto nel caso Welby, pubblicarono un appello in cui si rivendica “la moralità e la desiderabilità” di eutanasia e suicidio assistito. Interventi di Engelhardt sono ospitati nella rivista pubblicata dalla Consulta. Pochi giorni fa, il Coordinamento laico nazionale, di cui la Consulta fa parte, ha contestato la presenza di Benedetto XVI in tv, con particolare riferimento alla risposta in merito allo stato vegetativo, ribadendo il diritto alla “libertà di scelta”. (da Avvenire del 28 aprile 2011)