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Come previsto in un precedente numero di questa agenzia (cfr. “Corrispondenza romana” n. 1187 del 16 aprile 2011), l’Ungheria ha finalmente approvato la sua nuova Costituzione. Disponendo di oltre due terzi dei voti, la coalizione di maggioranza ha così potuto varare il testo che aveva promesso in campagna elettorale e per cui aveva chiesto l’approvazione del popolo ungherese.
Confermate tutte le buone proposte della vigilia: viene infatti riconosciuta la tutela pubblica del matrimonio che lo Stato si impegna a promuovere come cellula fondamentale della società e soprattutto il diritto alla vita, previsto «dal concepimento alla morte naturale».
Il preambolo della nuova Carta fondamentale, poi, riconosce espressamente le radici cristiane del Paese individuando quale stemma nazionale la Sacra Corona e la figura di Santo Stefano d’Ungheria (969-1038). A tal proposito, in apertura del testo si legge: «Noi siamo orgogliosi del fatto che mille anni fa il nostro re, Santo Stefano, ha fondato lo stato ungherese su solide fondamenta, e reso il nostro paese parte dell’Europa cristiana. (…) Riconosciamo il ruolo che il Cristianesimo ha svolto nella conservazione della nostra nazione».
Ancora in discussione, invece, la norma che dovrebbe concedere alle famiglie con bambini un voto in più, ma il presidente del Consiglio Viktor Orban, da poco insediatosi, si è detto fiducioso sulle possibilità di realizzazione. Il fatto è ancora più degno di nota perché proprio in questo semestre l’Ungheria detiene la presidenza dell’Unione Europea, cioè dell’Istituzione che più si è opposta al riconoscimento dei frutti sociali e culturali derivanti dalla tradizione spirituale nel nostro Continente.
All’indomani del voto peraltro, come c’era da attendersi, non sono mancate voci contrarie soprattutto da parte della grande stampa laicista: in Italia sia “Il Corriere della Sera” che “La Repubblica” hanno avviato una campagna denigratoria di inaudita violenza verbale giudicando la nuova Costituzione di volta in volta «fascista», «integralista» e addirittura «un ritorno all’Europa degli anni Trenta» (!) proprio perché sosterrebbe la vincolatività di valori naturali ed eterni. In campo internazionale Amnesty International, già nota per le sue posizioni filo-abortiste e per questo “sfiduciata” pubblicamente dalla Santa Sede, ha reso noto un comunicato di condanna verso l’Ungheria per «violazione dei diritti umani», intendendo con questa altisonante espressione la negazione del riconoscimento giuridico delle coppie di fatto (anche, ma non solo, omosessuali) e dell’aborto libero, effettivamente (e giustamente) ripudiati dalla nuova Costituzione.
Il Parlamento ungherese ha votato a stragrande maggioranza (262 favorevoli contro 44 contrari più una sessantina che hanno abbandonato l’aula al momento del voto) una nuova Carta costituzionale che prevede:
1) il Cristianesimo come religione base del popolo ungherese (completa rimane peraltro la libertà religiosa);
2) la protezione della vita sin dal concepimento (sebbene esista una legge comunista mai abrogata che consente e regola l’aborto);
3) la promozione della famiglia, rappresentata dall’unione in matrimonio fra un uomo e una donna (sebbene le “unioni civili” anche fra persone dello stesso sesso siano ammesse dalla legge);
4) la proibizione delle pratiche eugenetiche;
5) limitazioni ai poteri della Corte Costituzionale, specie in materia finanziaria (con relative diminuzione dell’età di pensionamento dei magistrati);
6) doveri dei genitori verso i figli ma anche doveri dei figli verso i genitori anziani;
7) limitazione costituzionale all’indebitamento dello Stato non oltre il 50% del Pil e l’obbligo di una maggioranza dei due terzi per l’introduzione di nuove tasse;
8) invocazione della responsabilità di fronte a Dio dei parlamentari che approvano la Costituzione;
9) formalizzazione costituzionale dello stemma nazionale centrato sulla Santa Corona e su Santo Stefano, simboli dell’eredità storica cristiana dell’Ungheria;
10) la “nazione su base etnica”, pur nella piena difesa dei diritti delle minoranze presenti nel Paese.
Le accuse (tutte false ma comunque utili a creare il “caso”) che sono state portate contro la nuova Costituzione ungherese sono evidenti: discriminazione religiosa, razzismo, oscurantismo moralista, omofobia e antifemminismo, antimodernità, ecc. E infatti si sono già scatenate le proteste delle associazioni abortiste, omosessualiste, femministe, e di Amnesty International. L’Unione Europea è già intervenuta e la campagna massmediatica della calunnia organizzata è partita.
Eppure, per tutti i secoli passati, per ogni Stato di quella che fu l’Europa cristiana, dall’alto Medioevo fino alla Rivoluzione Francese e per molti Paesi fino al XX secolo, il Cristianesimo fu la religione unica delle singole popolazioni. Ciò vuol dire che in Ungheria si è semplicemente detta la verità e ribadita una realtà di fatto, misconosciuta dalle menzogne del relativismo imperante.
Al di là delle immani tragedie del XX secolo, che uno delle componenti essenziali per l’esistenza di una nazione sia il ceppo etnico comune, è una verità tanto basilare da essere banale. Ciò che fa una nazione non è l’ideologia politica dominante (concezione utopista della nazione, sulle orme di Mazzini), bensì l’eredita comune di etnia, di lingua, di religione, di cultura, di tradizioni. Naturalmente, occorre vigilare che da questi elementari principi non si precipiti in pericolose derive razziste, ma, come noto, l’abuso non toglie l’uso; e l’uso è che gli ungheresi costituiscono da mille e passa anni una precisa e individuabile entità etnica con una sua lingua, una sua religione, una sua cultura e le sue tradizioni.
Riguardo poi la difesa della vita dal concepimento alla morte naturale e la difesa della famiglia fondata sul matrimonio fra uomo e donna, ebbene, questa per un cattolico è veramente una grande vittoria.
E che dire della diminuzione del potere della magistratura in materia finanziaria e dello stesso potere esecutivo e legislativo in materia di tassazione? Non è anche tutto ciò un modo concreto di diminuire lo strapotere statalista e di aiutare le famiglie e un’economia più ordinata e meno soggetta ai poteri forti internazionali?
E per finire, la condanna dell’eugenetica, l’invito alla solidarietà fra le generazioni (punto che sembra secondario, ma invece va a intaccare uno dei cardini della dissoluzione sessantottesca, quello del “conflitto generazionale”), l’invocazione dei politici alla responsabilità agli occhi di Dio dei loro atti e delle loro leggi, il richiamo all’identità cattolica e monarchica della grande Ungheria del passato.
Quale cattolico potrebbe mai condannare tutto questo? E come mai allora non se ne parla più di tanto?
Forse perché da oggi gli ungheresi sono politicamente “eretici”. Ma essere “eretici” al politicamente corretto significa opporsi al relativismo dominante l’Europa odierna dei burocrati e della grande finanza laicista. Significa iniziare, almeno iniziare, a riscoprire le radici cristiane dell’Europa millenaria e reale. Significa insomma aderire alla verità. (Fonte: Corrispondenza Romana)