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Se l'eutanasia entra in casa passando dal piccolo schermo
Di Lorenzo Schoepflin - 27/04/2011 - Eutanasia - 1328 visite - 0 commenti
La TV come mezzo di propaganda, meglio se sfruttando casi estremi e immagini scioccanti, a favore dell'eutanasia Prima il video per la promozione dell’eutanasia, arrivato in Italia a novembre e trasmesso furtivamente su Rai Tre e poi da alcune emittenti locali. Adesso i manifesti che sfruttano lo stesso protagonista, chiedono il cinque per mille per l’Associazione Luca Coscioni e lanciano un messaggio molto chiaro: “Lasciatemi morire in pace”. La strategia mediatica dei radicali che preme per la legalizzazione dell’eutanasia in Italia fa parte di un disegno più ampio, che da anni a livello internazionale usa immagini e concetti spesso scioccanti per sensibilizzare il pubblico sul tema della “buona morte”. Va ricordato innanzitutto che lo spot, che tante polemiche ha suscitato, è stato ideato da Exit International, associazione che fa della promozione di eutanasia e suicidio assistito il fulcro della propria attività. Grazie ad Exit quello spot gira il mondo, nonostante molti divieti di messa in onda, quali ad esempio quelli sanciti dalle autorità competenti di Australia e Canada. Il Presidente di Exit, Philip Nitschke, è stato spesso al centro di casi mediatici controversi. Recentemente, dall’Inghilterra, è giunta la notizia che un video, che vede proprio il dottor Nitschke tra i protagonisti, sarà mostrato agli adolescenti nelle scuole. Nel filmato, sarà possibile vedere il funzionamento di una macchina ideata per somministrare dosi letali di farmaci. In molti, anche tra coloro che si dicono favorevoli alla legalizzazione dell’eutanasia, si sono detti contrariati dalla scelta di includere Nitschke tra coloro che compaiono nel video. Nonostante nei 20 minuti che saranno proposti ai giovani tra i 14 e i 18 anni di età ci sia spazio anche per associazioni pro-life, il rischio evidenziato è quello di istigare al suicidio gli adolescenti più fragili. Sempre in Inghilterra, in estate la Bbc trasmetterà un documentario sulla morte di un settantunenne presso la clinica di Dignitas, l’organizzazione svizzera che fornisce servizi legati al suicidio assistito. Sarah Wootton, della Dignity in Dying, ha dichiarato di ritenere irresponsabile non affrontare un argomento del genere, esplicitando lo scopo di tale strategia mediatica: forzare la mano in un dibattito così delicato quale è quello sull’eutanasia. Alla fine del 2008 fu il canale Sky Real Lives a trasmettere le ultime ore di vita di Craig Ewert, affetto da una malattia neuronale degenerativa e recatosi in Svizzera per suicidarsi. La moglie, in un contributo sul quotidiano Independent intitolato “Perché voglio che il mondo veda morire mio marito”, dichiarò che il video sarebbe servito a superare il tabù della morte. Nel febbraio scorso, anche il canale svizzero Tf1 mandò in onda un reportage sul suicidio di André Rieder, medico di 56 anni: nel video, della durata di quasi cinquanta minuti, viene raccontato l’ultimo mese di vita di Rieder, dai preparativi all’epilogo finale. Il copione è sempre il medesimo: irrompere nelle case dei cittadini attraverso il piccolo schermo per accelerare i tempi che dovrebbero condurre alla legalizzazione di eutanasia e suicidio assistito. (da Avvenire, 21 aprile 2011)
 
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