Storia di due conversioni
Non c’è nulla che uccida più della routine. Un grande amore, se non viene spesso rinnovato, muore come un fiore nel deserto. Anche la Fede, se non conosce nuove albe, rischia di perdere vigore. Per questo le storie dei convertiti hanno successo. Dicono a tutti che si può cambiare, che vi può essere un nuovo inizio.
Quante volte vorremmo ripartire? Azzerare tutto e riprovarci, con l’entusiasmo dei bambini, o dei neofiti? Quante volte vorremmo rivedere il mondo come lo vedeva Adamo, cioè con gli occhi meravigliati del primo uomo? Ben vengano allora le storie di chi ha saputo riprendere in mano la propria vita, che ormai se ne andava da sola, senza più un conducente; che sembrava persa per sempre. La conversione è una resurrezione, in vita.
Così ce la raccontano anche Luca Di Tolve e Rino Cammilleri, le cui autobiografie escono proprio in questi giorni in libreria. Due opere di due personalità molto differenti, ma entrambe molto piacevoli e di grande interesse. Luca di Tolve è autore di “Ero gay. A Medjugorie ho ritrovato me stesso” (Piemme), una biografia che farà sicuramente discutere, come accadde a suo tempo alla canzone di Povia, “Luca era gay”, seconda classificata a Sanremo 2009, che proprio a Luca si ispirava.
Ma “Ero gay” non è soltanto la storia di un uomo che ha cambiato “gusti” sessuali, come si potrebbe pensare. E’ molto di più: è una storia tipica di questi nostri tempi di crisi. Luca racconta le sue vicende familiari: è figlio, come troppi, di un matrimonio malriuscito ed infelice. Il libro, infatti, inizia così: “Vi presento i miei”.
Come insegnante capisco sempre di più cosa significa partire da lì, dalla famiglia, soprattutto oggi che è sempre più sotto attacco, e che i ruoli del padre e della madre perdono ogni giorno di importanza. Luca assomiglia a tanti alunni miei che vivono il disagio anzitutto in casa e che a scuola non possono quindi starci con la giusta serenità. E’ la stessa famiglia che li spegne, invece di accenderli. Il padre di Luca è come tanti che ho conosciuto: incapace di fare il padre. Scrive Luca: “un padre assente provoca in un bambino forti sensi di colpa, acuiti da un padre narciso che dà e chiede amore a seconda del suo stato d’animo”.
Dal padre Luca non ha ricevuto fiducia, forza, regole, struttura. Eppure ogni uomo impara ad essere maschio, appunto, soprattutto dall’esempio del padre. A queste difficoltà, prosegue Luca, se ne aggiunsero altre: le aspettative della madre, le burle stupide e cattive dei compagni, che di fronte alle sue timidezze lo additavano come la “femminuccia”…
Ognuno di noi è destinato a divenire, psicologicamente, ciò che fisicamente è già: un maschio o una femmina. Ma perché ciò avvenga, occorre anche una equilibrata “elaborazione della propria personalità”. Nella sua storia Luca ci racconta anche insoddisfazioni, brama di piaceri carnali, frequentazioni di feste gay a base di sesso sfrenato, avvolte nel “vortice del vizio”: sino alla contrazione dell’aids, “faccia a faccia con la morte”; sino alla vista di amici uccisi da questa terribile malattia. Sino alla sazietà ed al disgusto: “a un certo punto l’esistenza che conduci non ti soddisfa più. Hai provato tanto, ti chiedi se non hai provato tutto e senti che stai mettendo a repentaglio anche la salute. Ma quel che è peggio ti accorgi che non sei felice”. Da questa consapevolezza, dal coraggio di affrontare il proprio disagio, dall’incontro con la Madonna e con una ragazza di nome Teresa, può nascere una vita nuova. Che Luca ci ha raccontato, con coraggio e lucidità.
La seconda conversione cui vorrei accennare è quella di Rino Cammilleri, brillante apologeta cattolico, collaboratore del Timone, ed autore di “Come fu che divenni C.C.P. (cattolico credente e praticante)” (Lindau). La vita di Cammilleri –quantomeno per la sua predilezione smaccata per le donne- è ben diversa da quella di Luca. Epperò è segnata anch’essa, in principio, dalle difficoltà in famiglia: “Un bambino i cui genitori non vanno d’accordo teme di finire abbandonato. Divenuto adolescente, non vede l’ora di andarsene da casa e passa più tempo che può fuori di essa. Et voilà. Qui c’è, in sintesi, la costante della prima parte della mia vita”.
Siciliano verace, sbarcato a Pisa per frequentare l’università in pieno Sessantotto, Rino era un giovane originale, un bravo cantautore, un appassionato di femmine, lontano dalle fede molte miglia. In più, un carattere non facile: ero un pessimista, ricorda, incline al casino e alle feste, ma anche a rifugiarmi nei buchi e negli angoli, a vedere il bicchiere sempre mezzo vuoto. Sino alla conversione, che però non tolse, come d’incanto, le domande, anche rabbiose, a Dio: perché il male, perché il dolore? Trovare la Fede, afferma Cammilleri, non ha trasformato il mio carattere, non ha annullato il fatto che la vita rimanga un compito.
La conversione, infatti, non è altro che vedere, finalmente, il senso dell’esistenza, “la direzione da prendere” ( il che “non è cosa da poco”). E’ scoprire che il “giogo” di Cristo è ben più leggere di quello del mondo, in questa vita che è pur sempre, ora più ora meno, una vera milizia. Il Foglio 10/3/2011
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