La notte prima degli esami
E’ uscito da qualche giorno nelle sale cinematografiche il sequel del film La notte prima degli esami.
Una storia di adolescenti carica di passioni ed esperienze. Senza nulla dire del contenuto del film che ricalca un cliché abbastanza diffuso, quello che mi ha colpito è la dichiarazione di una delle attrici protagoniste, di cui peraltro non ricordo il nome. Si tratta di una bella ragazza dai capelli biondi e dallo sguardo seducente che alla domanda di un giornalista, su cosa i giovani desiderino, ha risposto più o meno così: “I giovani vogliono essere protagonisti, vogliono poter sbagliare, in loro arde il desiderio di essere al centro della vita, di affrontare le situazioni più intriganti; inoltre i giovani vogliono poter pecc…” e qui, la parola si è come pietrificata sulle labbra della graziosa ragazza. Mi è sin troppo semplice riferirne il senso compiuto: “I giovani vogliono poter peccare”. Poi, eventualmente, se ne avranno la forza potranno reagire davanti ai danni prodotti con le loro azioni, o fregarsi le mani per l’occasione colta al volo e goduta sino in fondo; o magari potranno disperarsi per non aver saputo resistere alla seduzione di un invito che si è alfine rivelato un inganno.
Indipendentemente a quale dei casi vogliamo far riferimento, ciò che traspare da questa vicenda è un’idea di vita nella quale il singolo insegue solitario e istintivo l’avventura. Un’avventura che però non ha più la connotazione dell’imprevisto e del lampo che squarcia la monotonia del giorno. Il filosofo e sociologo Simmel, in un memorabile saggio dal titolo “L’avventura” osservava come ogni momento della vita ruoti attorno ad un centro e come ogni istante sia parte di un tutto; l’avventura, a suo dire, è un uscire da questo tutto, preda di una tensione e di un’emozione che prevalgono sul contenuto. In ogni avventura il prima e il dopo non contano, il tempo è come sospeso e con esso la storia personale; ma la forza dell’avventura sta proprio in questo: nel suo misterioso nascere e nel suo inevitabile finire, nel fatto che poi l’uomo rientri nel suo centro, nella sua normalità. Chi vive l’avventura prova una profonda soddisfazione proprio perché sa che si tratta di un momento irripetibile che si stacca dalla vita di ogni giorno.
Ora, la contemporaneità, che insegue la trasgressione e la soddisfazione del momento, ha smarrito persino il senso dell’avventura, perché la vita del singolo si concepisce come smodata ricerca del piacere, dell’emozione continua. Non esiste più una casa cui far ritorno, perché non esiste più alcuna normalità, alcun dovere. Quando la vita stessa diviene avventura, l’avventura scompare e ad essa subentra dapprima l’ansia poi, la noia. Il modello che noi osserviamo è quello incarnato dallo stile televisivo legato al successo il quale trasmette proprio questa idea di vita che vorrebbe espandersi e fagocitare tutti. Ma cosa cerca l’essere umano in tutto questo?
Credo che la persona quando desidera qualcosa, quando evade, cerca comunque e sempre la felicità, soltanto che spesso il bersaglio è mancato, perché ogni cosa raggiunta rivela la propria inadeguatezza. Un personaggio di un romanzo di Andrè Gide ebbe a dire: “ Ho portato arditamente la mia mano su ogni cosa e ho avanzato diritti su ogni oggetto dei miei desideri. Quanto riso ho incontrato sulle labbra ho voluto coglierlo, quanto sangue sulle gote, quante lacrime sugli occhi ho voluto berle. Ho voluto mordere la polpa di tutti i frutti protesi sul mio cammino. Cercare Dio nella gioia di ogni attimo fugace superando qualsiasi freno che possa impedirne anche una sola stilla”( …) “E dopo tutto ciò morire disperato.” Queste parole rivelano come la via dell’esperienza moltiplicata all’infinito non appaghi il cuore dell’uomo e come esso abbia bisogno di altro. Come l’io quale unico criterio della propria vita si riveli illusorio, una voragine che divora ogni cosa lasciandoci sempre più vuoti, insoddisfatti,affamati. “Il pane” che l’uomo produce ha infinite fogge, “i granai” per molti occidentali straripano, l’acqua abbonda, ma la nostra gola è arida.
E’ l’esperienza dell’idolo cui si contrappone, per il credente, l’incontro con la vera acqua, con il pane che sazia ogni fame.
Scriveva il grande poeta Clemente Rebora: “Qualunque cosa tu dica o faccia c’è un grido dentro, non è per questo, non è per questo, e così tutto rimanda ad una segreta domanda, l’atto è un pretesto.”
Alla giovane attrice vorrei chiedere :sei proprio sicura che i giovani abbiamo bisogno di moltiplicare le esperienze e le evasioni, quasi dimentichi del passato e dell’amore di chi ha loro donato la vita? L’esaltazione dell’attimo non è forse una fuga, un non guardare in faccia al presente e alla responsabilità verso se stessi e verso gli altri?
Vedo, nella mia esperienza, come la crescita umana si realizzi mirabilmente quando inizia l’esodo da noi stessi dal nostro io ipertrofico, dalla nostra pretesa di felicità e comodità; la crescita inizia quando vediamo per la prima volta l’altro, quando bambini scopriamo che esiste un mondo oltre il nostro orizzonte, un mondo fatto di persone. La crescita e la felicità germinano quando l’altro diventa per la prima volta più importante di noi stessi. L’amore vero fra un uomo e una donna non è forse questo? Le parole della giovane attrice sembrano dimenticare il mondo, la storia, l’esperienza di chi ci ha preceduto, per questo ci fanno paura. In esse si esprime un’idea di vita che in realtà è un’idea di morte. Poi, siamo proprio convinti che i ragazzi si lascino sedurre così facilmente dai modelli proposti dai divi, da coloro che concepiscono l’esistenza come un continuo esperimento, come una stimolante avventura?
Molti ragazzi anelano alla semplicità di rapporti veri, essi riconoscono il valore di un amore che duri nel tempo, essi vedono nello stesso sacrificio la possibilità di mettersi alla prova e di crescere.
No! Nonostante tutto i giovani hanno ancora risorse e voglia per essere protagonisti positivi del futuro, lontani dalle sirene nichiliste incarnate da attori e attricette inebriate dal successo.
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