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“Io sono mia”; “Né puttane né madonne”; “una donna ha bisogno di un uomo come un pesce di una bicicletta”; “le donne hanno le loro colpe, gli uomini soltanto due: tutto ciò che dicono e tutto ciò che fanno”; “se prendi un uomo, ributtalo indietro”…
Ecco alcuni degli slogans femministi degli anni Settanta.
Oppure: “ Riconosciamo nel matrimonio l’istituzione che ha subordinato la donna al destino maschile. Siamo contro il matrimonio” (Manifesto di rivolta femminile, Roma, luglio 1970); “La donna è stufa di allevare un figlio che le diverrà un cattivo amante” (idem); “La famiglia, che è in realtà il centro dove le frustrazioni dei coniugi si scontrano e si proiettano sui figli, produce individui prepotenti coi deboli e remissivi coi forti…” (Quarto mondo, I marzo 1971)
Si potrebbe continuare a lungo, per dimostrare che il femminismo è una ideologia, che nasce dalla visione della famiglia e della donna di Marx ed Engels, per la quale la “famiglia borghese” è un nemico da abbattere perché in essa l’uomo rappresenterebbe il padrone e la moglie e i figli il proletariato (che deve ribellarsi).
Allo stolto femminismo, così come ad ogni assurdo maschilismo, occorre opporre l’alleanza tra i sessi, la complementarietà tra uomo e donna: “maschio e femmina Dio li creò”.
Per noi "una donna ha bisogno di un uomo...così come un uomo ha bisogno di una donna". I pesci e le biciclette le lasciamo ai frustrati, convinti che lo scontro, la lotta di classe o di sesso, la contrapposizione, porti da qualche parte...
Per noi, per capirci con un esempio, l'aborto non è una vittoria della donna, ma una sconfitta della donna, dell'uomo, del figlio e della società.