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Mario Mauro: ecco cosa deve fare l'Europa per sopravvivere a Gheddafi
Di Rassegna Stampa - 26/02/2011 - Attualitą - 1050 visite - 0 commenti

Con la strage del popolo libico prosegue il sommovimento che sta capovolgendo gli equilibri dell’area del Mediterraneo. In quarantuno anni di potere, il governo di Gheddafi ha represso ogni forma di opposizione politica e, attraverso il controllo dei media e del sistema di istruzione, ha di fatto sopito l’opinione pubblica. La grande differenza rispetto ai paesi confinanti sta nelle ingenti quantità di petrolio che fanno della Libia una delle nazioni più ricche del continente africano. Inoltre, la disoccupazione giovanile è visibilmente inferiore rispetto al resto dell’area.

Tutto questo poteva far supporre che l’onda di cambiamento partita da Tunisi non sarebbe arrivata a lambire le coste libiche. E invece, come d’incanto, vediamo il colonnello asserragliato nella capitale pronto a tutto pur di non veder svanire un sistema di potere assoluto che sembrava impenetrabile. A giudicare dagli ultimi giorni, sembra che il futuro del Paese non sia in mano ai cittadini, ma piuttosto agli schieramenti dell’esercito. Ogni giorno aumenta il numero delle defezioni da parte di comandanti delle forze armate.

È un vero e proprio fuoco incrociato quello a cui è esposto Gheddafi. Oltre alle ribellioni del suo popolo, una seria minaccia al suo potere viene dall’interno, dalla cosiddetta fitna (intesa come dissenso). Se il Raìs riuscirà a limitare le diserzioni nell’esercito, le violenze in Libia potrebbero continuare ancora a lungo. La storia di Gheddafi ci insegna che difficilmente abbandonerà la nave che affonda. Sono già migliaia i morti e decine di migliaia i feriti in quella che davvero potrebbe presto trasformarsi in una guerra civile. Oltre alla follia omicida nei confronti dei manifestanti che spontaneamente sono scesi in piazza, non possiamo sottovalutare il ruolo che occupano le numerose tribù presenti sul territorio libico. La più grande, gli Orfella, è apertamente dalla parte dei rivoltosi. Non sono da escludere, inoltre, scontri tra le

 tribù della Tripolitania e quelle della Cirenaica (già ribattezzata nei giorni scorsi “Cirenaica liberata”), popolazioni estremamente diverse tra loro, riunitesi sotto un’unica bandiera dopo la guerra italo-turca dell’inizio del secolo scorso. Non sarà cosa semplice per la comunità internazionale riuscire a mediare tra queste due realtà per evitare un divorzio che potrebbe amplificare la catastrofe già in atto. A Bengasi, capitale della Cirenaica, sono nate le fazioni islamiche più ostili al regime. Gheddafi ha sempre fatto piazza pulita dei suoi oppositori, come è successo ai Fratelli musulmani e a diversi gruppi salafiti. Una missione militare coordinata dalle Nazioni Unite, magari sotto la guida dell’Unione europea, potrebbe essere la soluzione più efficace per l’immediato.

Potrebbero essere utilizzati i “battle groups”, unità militari nate dopo il trattato di Nizza del 2000. In 10 anni sono stati usati nel corso di missioni in Congo, Bosnia e Macedonia. Da giorni si parla di fosse comuni, di massacri, di mercenari senza scrupoli pagati dal regime, di lotte tribali: l’assoluta urgenza è quella di fermare l’ecatombe. Ad aggravare la crisi umanitaria è il flusso di profughi pronto ad arrivare sulle coste italiane. Senza azzardare cifre al momento non ipotizzabili, dobbiamo prepararci alla più grande ondata migratoria della nostra storia. Ieri, a Bruxelles ha avuto luogo la riunione dei ministri degli interni dei paesi Ue, a seguito del sollecito mio e del ministro Maroni. Il Ministro ha chiesto per il nostro Paese un fondo speciale di solidarietà. Ma i soldi non bastano.

 Come giustamente ha affermato Vittorio Emanuele Parsi, l’Europa deve capire che si gioca una fetta importante della propria credibilità, ma anche della sua stessa ragion d’essere. L’Unione europea è nata proprio per condividere responsabilità del genere. Allo stesso modo in cui tutti e 27 i paesi Ue si sono presi a cuore le condizioni disperate in cui versavano pochi mesi fa le casse dello Stato greco, oggi dobbiamo dare sostanza al nostro progetto politico scalando insieme questa montagna. Non è un problema italiano, è un problema europeo che va analizzato in quanto tale. Occorre una solidarietà totale da dimostrare nel tempo. il sussidiario.net

 
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