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Il 1968: quando sinistra e femministe minarono la famiglia
Di Francesco Agnoli - 13/02/2011 - Cultura e societą - 2437 visite - 0 commenti

Quello che disturba, nella manifestazione delle femministe di oggi, non è la protesta contro le donne ridotte ad oggetto, dalla televisione, dalla stampa, dalla cultura domnante ( e magari anche dal premier Berlusconi), ma il fatto che i principali protagonisti della protesta provengono dalla cultura che di tutto ciò è la I responsabile.

Ricordarsi cosa fu, quanto a questo, il 1968, nato a sinistra, può essere utile a capire:

"Il 1968 incomincia con l’apertura dell’anno giudiziario a Roma. Il procuratore generale Reale nota l’aumento delle domande di separazione personale tra coniugi: 12800 nel 1967 contro le 11600 del 1966 (sino alle 29.285 separazioni, a cui vanno aggiunti 10.618 divorzi, del 1975 e alle 71.969 separazioni e 37.573 divorzi, del 2000; sino ai 47. 036 divorzi del 2005 e ai 61.153 divorzi del 2006!). Anche per i reati vi è stato un aumento, nell’ultimo anno, del 4 %. Sono cresciuti in particolare i delitti di atti osceni, furto aggravato, rapina, estorsione, sequestro di persona…

Nella stessa occasione il dott. Guarnera mette in risalto il legame strettissimo che esiste tra l’aumento dei delitti e il dilagare sempre più abbondante della pornografia e degli spettacoli immorali. Ricorda che nel 1967 si sono moltiplicati nella capitale i sequestri di materiale pornografico. Sono infatti numerosissime le riviste che vivono sull’immoralità come fonte di guadagno: Gong, Men, Playmen, King, Caballero, Supersex, Bang, Sexybell…

Alberto Cavallari, sul “Corriere della sera” del 9 dicembre 1967, scrive: “molte inchieste sociologiche dicono che in pochi anni l’Italia è diventata uno dei paesi di punta tra i produttori di ‘piccante’. Studiosi attenti riferiscono che ormai esportiamo verso la Francia. Osservatori scrupolosi ci avvertono che siamo antagonisti diretti di Tangeri e di Hong Kong”.

Negli stessi giorni il parlamentare socialista Loris Fortuna intraprende con forza la battaglia per l’introduzione del divorzio, e i giovani comunisti, quasi contemporaneamente, dichiarano la loro proposta di legalizzazione delle droghe leggere. ..

Intanto i leaders nostrani della contestazione - provenienti per lo più dalle scuole e dalle università, non dalle fabbriche; sfociati spesso nel giornalismo d’opinione, o nella politica di professione- alternano sit in davanti alle fabbriche alla lettura dei nuovi maestri, delle nuove bibbie: Kerouac, A.Ginsberg, A.Huxley, A.Hoffmann (lo scopritore dell’LSD), “La morte della famiglia” di Cooper, “La rivoluzione sessuale” di Marcuse, “La marijuana fa bene” di Blumir...

 “Quando andavamo in giro a parlare - scrive Mauro Rostagno, uno dei massimi leader del Movimento Studentesco - non rivendicavamo mai i nostri aspetti più belli, ma soltanto quelli tradizionali e scontati : il rapporto con la classe operaia...non le altre cose che poi si sono rivelate più importanti”.

Detto questo Rostagno descrive le sue mirabolanti imprese sessuali, in nome dell’ “amore libero”, l’uso di acidi e sostanze psichedeliche, la lettura e la conoscenza di testi che sarebbero diventati sacri per la new age, e che queste esperienze orgiastiche e psichedeliche esaltavano.

Racconta: “A questi discorsi sulla droga associai quelli sulla liberazione sessuale…Vai in giro a predicare ogni sorta di liberazione e poi, distrutto, torni a casa a picchiare tua moglie e i tuoi figli” (A. Ricci, “I giovani non sono piante”, Sugarco). E Ancora: “Vivevo con Renato Curcio e Paolo Palmieri in una casa abbandonata…per la prima volta nella vita mi trovavo bene, non c’era bisogno di chiedere per prendere una cosa, dividevamo tutto, chi si svegliava prima prendeva i vestiti che trovava, salvo le scarpe…Leggiamo Mao, Regis Debray, Che Guevara, la letteratura terzomondista…. Le ragazze non amavano me, ma il mio ruolo e la mia immagine…volevano scopare con il ruolo di capo e l’immagine della liberazione…Scoprii che ero pronto ad approfittarne. Di solito mi avvicinavo a un gruppo di donne, sceglievo e ne invitavo una a prendere un caffè, non dicevo ‘andiamo a scopare’. La cosa importante non era che ci scopassi, ma che pubblicamente le dicessi andiamo io e te a prendere un caffè. Così scatenavo le altre contro di lei…non ero un rivoluzionario, ero un bastardo” (Aldo Cazzullo, “I ragazzi che volevano fare la rivoluzione”, Mondadori).

Non era libertà, ma schiavitù dei sensi, sottomissione agli istinti e alle passioni bestiali. Sottomissione talmente bruta, che nelle loro rievocazioni le donne del Sessantotto raramente trascurano di rammentare con amarezza la loro condizione di allora. “Il movimento, racconta Chiara Saraceno, era la cosa più maschilista che ci fosse. Le donne erano degradate ad angeli del ciclostile, ancelle dei capi e poco altro” (Concetto Vecchio, “Vietato vietare”, Bur): il maschio imparava piano piano, coadiuvato da quel movimento contro la donna che fu il femminismo, ad andare a letto con chi capitava, in nome della libertà, a non rispettare più i tempi naturali della donna, grazie agli anticoncezionali, o all’aborto, cui molte ragazze di questi anni si troveranno a ricorrere in conseguenza anche della nuova promiscuità sessuale. Altre arriveranno a farsi sterilizzare, forse per divertirsi loro, o forse, mi sembra più verosimile, perché così avrebbero divertito maggiormente i capetti rivoluzionari, capricciosi ed irresponsabili.…

 In quest’ottica anche la famiglia diventa un’istituzione oppressiva, unacamera a gas”, una gabbia soffocante, una maledizione culturale, non naturale, da sconfiggere. Parlando dell’ “energica liberazione sessuale” portata dal movimento del ‘68, Rossana Rossanda afferma che fin da un convegno del ‘64 apparve chiaro, a lei e compagni, “che un movimento comunista deve battersi per la fine della famiglia” (“Cinque lezioni sul ‘68”, supplemento al n. 34 di Rossoscuola, Torino ’87). Lidia Ravera, giornalista dell’Unità e autrice di un best seller di quegli anni, “Porci con le ali”, scrive: “ricordo di aver preso la parola in un seminario contro la famiglia” (Sette, n.15, 1998). “Non siamo figli, scrivono i provos milanesi nel 1966, né padri di nessuno, siamo uomini che non vogliono credere in niente e a nessuno; senza dio, senza legge, senza famiglia, senza patria, senza religione, senza legge….” (M. Flores, “Il sessantotto”, Il mulino).

Le femministe ripetono invece concetti di questo tipo: “Verginità, fedeltà, castità, non sono virtù, ma vincoli per costruire e mantenere la famiglia…siamo contro la famiglia” (Carla Lanzi, “Rivolta femminile”, 1970).

Tratto da: "1968", Fede & Cultura, di Pucci Cipriani e Francesco Agnoli (http://fedecultura.com/1968.aspx)

 
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