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Ecco cosa succede nell'epoca in cui Elton John e Nicole Kidman, solo per citare due casi da "Vip" (si fa per dire), hanno sdoganato la maternità surrogata.
Dove sono tutte quelle che gridano da mane a sera "L'utero è mio e lo gestisco io"? Credono davvero che le donne che affittano l'utero siano libere?
Si intitola “Made in India” il documentario che nelle intenzioni delle due donne che lo hanno realizzato, Rebecca Haimowitz e Vaishali Sinha, vuole mostrare “le storie umane” dietro a quel “complesso e controverso” fenomeno che risponde al nome di maternità surrogata. Il documentario apre uno squarcio su un argomento che ormai è all’ordine del giorno delle cronache bioetiche, con tutti i suoi angoli bui dal punto di vista etico, economico e legale. E lo fa narrando la storia di Lisa e Brian, che dal Texas volano in India per avere quel figlio atteso da sette anni, aiutati da Aasia, una ventisettenne che porta il burqa per non farsi riconoscere quando entra nella clinica dove impianteranno nel suo utero l’embrione della coppia.
Un vero e proprio commercio, quello del “turismo riproduttivo”, soggetto alle leggi del mercato: in India affittare un utero non costa mai più di venticinquemila dollari, contro i centomila che si possono arrivare a spendere negli Stati Uniti. Nell’ottobre scorso, in Canada, una madre surrogata è stata costretta ad abortire su richiesta della coppia che aveva fornito i gameti. L’interruzione della gravidanza, alla quale la gestante si opponeva, era stata pretesa nel momento in cui gli esami avevano evidenziato che il nascituro era affetto da sindrome di Down. La coppia si era appellata ad un contratto firmato prima dell’impianto dell’embrione, che prevedeva proprio l’obbligo per la madre surrogata di abortire in determinati casi. Sulla validità del contratto si erano interrogati numerosi esperti, chiedendosi se la vita umana potesse essere oggetto di accordi simili a quelli che riguardano la vendita di beni materiali. Molti dubbi riguardano anche le difficoltà che l’affitto di un utero porta con sé in relazione alla definizione dei gradi di parentela tra il bambino che viene alla luce e coloro che si sono affidati alla maternità surrogata, anche in considerazione del fatto che non di rado ad essere coinvolte sono coppie omosessuali. In Australia una coppia di uomini ha visti riconosciuti i diritti di paternità anche per l’uomo che non ha fornito lo sperma per l’embrione poi impiantato nell’utero di una donna indiana.
“La parola ‘genitore’ suggerisce qualche legame biologico” – si legge nel dispositivo del giudice – “ma la biologia non ha realmente importanza, sta tutto nella responsabilità parentale”.
A fine gennaio, un’altra controversia legale ha agitato il dibattito sulla maternità surrogata nel Regno Unito. Ad una donna che aveva stipulato con una coppia un accordo informale che prevedeva l’affitto dell’utero e la consegna del figlio alla nascita, è stato riconosciuto il diritto a tenersi il bambino. La gestante aveva infatti cambiato idea e, secondo il giudice, adesso che il bimbo ha sei mesi, la separazione tra i due costituirebbe una ferita insanabile per l’infante e per la donna, visto il legame creato dal “processo naturale della gestazione e del parto”.
Alla luce di questi casi non sorprende che molti paesi stiano correndo ai ripari in tema di uteri in affitto. In primis l’India: il governo sta considerando il varo di una legge che impedisca alla donne di concedere il proprio utero per più di cinque volte, limitando la fascia di età delle madri surrogate tra i 21 e i 35 anni. Una legge dunque permissiva, ma, se si pensa che l’intento è una regolamentazione più definita, è facile intuire quanto oggi la situazione sia fuori controllo. Anche in Australia c’è chi si è dotato di un testo che regolamenta la maternità surrogata: la legge del Nuovo Galles del sud impedisce viaggi all’estero alla ricerca di donne disposte a portare avanti una gravidanza. E, proprio in questi giorni, il parlamento francese si trova a discutere la legge sulla bioetica che non sembra voler concedere spazio alla possibilità di affittare l’utero. In Italia la maternità surrogata è vietata dalla legge 40. Ma c’è chi non si arrende. E’ depositato presso la Camera un progetto di legge in tema di fecondazione assistita col quale, al primo comma dell’articolo 15 si vietano le tecniche di surrogazione della maternità. Ma al comma successivo si afferma che tale divieto “non si applica nel caso in cui l'incapacità della madre di portare avanti la gravidanza non sia altrimenti superabile”, fermo restando l’impossibilità di ricevere compensi per l’affitto dell’utero. La prima firmataria del testo è Maria Antonietta Farina Coscioni, deputata di quei radicali spesso sponsor dei numerosi attacchi alla legge 40.
Da Avvenire, 10 febbraio 2011