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Englaro rilascia un'intervista al "Corriere della Sera"
Di Libertą e Persona - 07/02/2011 - Eutanasia - 1225 visite - 0 commenti
di Alessandro Gnocchi & Mario Palmaro

“Un po’ crudeli”: questo sarebbero state, secondo Beppino Englaro, le suore Misericodine di Lecco che per 17 anni si sono prese cura di sua figlia Eluana. In un intervista pubblicata ieri dal “Corriere della Sera”, Englaro ha spiegato che “per molti versi le suore si sono comportate in maniera splendida, non ci si può augurare cure migliori, più misericordia, ma non era questo il problema: avevano visto consumarsi anche la mamma di Eluana accanto al suo letto. Volendola lì con loro, erano state un po’ crudeli con Eluana e con sua madre e io invece dovevo difendere mia figlia e mia moglie”.

Proprio così, “un po’ crudeli”. In quel desolato e desolante “un po’” è racchiusa tutta l’incomprensione che il mondo di oggi riserva alla gratuità del bene. Può anche sembrare strano che un mondo impegnato a trovare la giustificazione a qualsiasi tipo di male, chiuda gli occhi davanti alle ragioni di un atto di bontà. Può sembrare strano, ma non lo è perché questo mondo, tenendo lo sguardo costantemente puntato in terra, si priva della possibilità di comprendere la vera ragione del bene, che non è umana. L’uomo, lasciato da solo, difficilmente compie qualcosa di buono. E se lo fa, lo fa per caso.

“Amerai il tuo prossimo come te stesso” è un comandamento divino e viene subito dopo quello di amare “il Signore Dio tuo con tutto il tuo cuore, con tutta la tua anima e tutta la tua mente”. Non è difficile immaginare che chi non crede, come Beppino Englaro, se considera “un po’ crudeli” le suore che hanno curato sua figlia, finisca per considerare infinitamente crudele chiunque consegni all’uomo un comandamento siffatto. Ma, in questa visione che esclude dal proprio orizzonte la carità, diventa inevitabile contabilizzare le cose della vita attraverso le dosi di crudeltà che riservano ai propri giorni. E il prossimo finisce inevitabilmente per essere visto solo come dispensatore di dolore, “un po’ crudele”.

Un mondo senza Dio non può essere un mondo buono: a suo modo, Englaro dà una lezione straordinaria agli atei di tutti i tempi, più efficace di tante argomentazioni apologetiche. E forse, senza volerlo dichiarare, la dà anche a se stesso. Lo si comprende quando nell’intervista dice: “Ci è mancata molto una persona: io e Eluana avremmo voluto dialogare con padre David Maria Turoldo, che era mio conterraneo e veniva ogni tanto anche a Lecco: sapevamo che la Chiesa gliene aveva fatte di tutti i colori, ma che non per questo lui aveva perso la sua fede. Turoldo era la persona che avremmo voluto incontrare, ma non c'è stato il tempo, era malato e nel febbraio 1992 è morto. Lui ci poteva capire. Avremmo voluto parlare di fede, ma solo con un personaggio di quel livello”.
Purtroppo, questa domanda contiene la negazione dell’apertura che pur farebbe intravedere. Anche in questo caso si tratta di un dettaglio, nascosto là dove Englaro confida la volontà di parlare della fede, “ma solo con un personaggio di quel livello”. Quel “ma” è il segno di un orgoglio ancora troppo grande per sentirsi figlio di un Dio che si è umiliato fino a farsi uomo e morire in croce. Chissà se un intellettuale disobbediente come padre Turoldo lo avrebbe saputo insegnare a questo allievo. Le suore Misericordine di Lecco ci hanno provato per 17 anni, sicuramente continuano a farlo e non vi sono ancora riuscite. E’ vero che non sono del livello di un padre Turolodo, ma, stia certo Englaro, hanno argomenti ben più potenti di qualsiasi intellettuale.

Libero, 7 febbraio 2011
 
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