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Gianrico Carofiglio ha un occhio solo, il sinistro. Lo scrittore magistrato è autore di un libretto sulla neolingua, ora molto citato, La manomissione delle parole, in realtà dedicato a Berlusconi e a suo padre putativo, il Nazifascismo.
Ma presentandolo in copertina il tema è omesso: esempio lampante di manomissione della parole. Nel libro Carofiglio ignora l’esistenza del comunismo che fu la prima fabbrica del ’900 di parole distorte, elevando la menzogna a sistema, come provò Solzenicyn: è vero ciò che serve al Partito, è falso ciò che nuoce al Medesimo.
Gli eredi del comunismo sono ancora in servizio ma lui non li vede. Il giudice con un occhio solo non nomina mai il Terrore, la dittatura giacobina, la meccanica della Rivoluzione che, come spiegò Cochin, manipola la verità e la realtà. Il giudice monoculare afferma che 1984 di Orwell è un romanzo sulle parole distorte nei regimi nazifascisti; ma Orwell, in 1984 come ne La fattoria degli animali , pensava a Stalin e al comunismo egualitario dove «alcuni sono più uguali degli altri ». Ma di questo non c’è traccia.
Il giudice- scrittore guercio non vede il comunismo che chiamava democrazia la dittatura, pace lo sterminio di classe, libertà l’oppressione dei popoli, uguaglianza la servitù al Partito, e verità (pravda) la menzogna militante. L’uso a rovescio di fatti e parole ha un grazioso nome sovietico, Disinformazia, ma il giudice emiplegico lo ignora. Per Carofiglio la neolingua l’ha inventata il nazifascismo e poi il berlusconismo, suo erede. Carofiglio cita frasi, bugie e slogan di Berlusconi e dei suoi fan di cui sarebbe gioco da bambini trovare l’equivalente nella propaganda avversa della sinistra.
Perché la propaganda distorce la realtà da ambo le parti. Ma lui detesta gli imparziali e dice di preferire i partigiani e i ribelli. Io temo un giudice che dice di odiare chi non parteggia, perché vuol dire che odia la giustizia, per definizione imparziale. Carofiglio ha un occhio solo, il sinistro, e detesta chi vuol vedere le cose per intero. Dio ci scampi dai giudici monoculari con l’aggravante di essere scrittori. di Marcello Veneziani, su Il Giornale