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Il caso Battisti e Lula
Di Francesco Mario Agnoli - 07/01/2011 - Attualitą - 948 visite - 0 commenti

Dove avevano fallito (almeno per ora) le pre-celebrazioni del 150° dell'Unità, che caso mai hanno aumentato polemiche e divisioni, è invece riuscito il presidente brasiliano Lula, che col suo provvedimento di diniego dell'estradizione in Italia del terrorista-assassino Cesare Battisti è riuscito a riunire in unanime sdegno tutti gli italiani.

In realtà è un boccone piuttosto grosso oltre che amaro e difficile da mandare giù sentirsi dire che, in caso di estradizione, sarebbero state in pericolo la vita e l'incolumità fisica dell'estradato, dal rappresentante di un paese nel quale fino a pochissimi anni fa (la strage più sanguinosa e per questo più celebre, detta della Candelaria dal nome di una chiesa di Rio de Janeiro, risale appena al 1993 erano oggetto di mattanze (chissà se del tutto cessate) da parte di squadroni della morte, composti di non pochi poliziotti i meninos de rua (i bambini delle favelas - le immense bidonvilles alle periferia delle grandi città - abbandonati dalle famiglie) e non è ancora del tutto fuori uso la pratica dello sterminio delle tribù amazzoniche.

 Del resto, se fosse vero quello che l'ineffabile Lula pensa dell'Italia, l'incolumità fisica di Battisti sarebbe assai più a rischio ora, in territorio brasiliano, dopo un rifiuto che rende impossibile fargli scontare la pena legalmente e giustamente comminata ad un quadruplice assassino da un tribunale ordinario (non da una corte marziale) della nostra Repubblica.

La Russia di Putin, il Mossad israeliano e gli stessi Stati Uniti di Bush ed Obama, pur di fare scontare all'assassino le sue colpe, troverebbero altri modi e mezzi, ai quali l'Italia mai farebbe ricorso, proprio perché non è, con tutti i suoi molti e grandi difetti, il paese immaginato da Lula, ma un democratico Stato di diritto, ligio alle regole anche quando altri non hanno remore a violarle (come ha fatto Lula non rispettando, con capziosi ragionamenti, il trattato italo-brasiliano in materia).

Ben giustificato, quindi, lo sdegno che per una volta ha unito gli italiani offesi nel nome e per conto del loro paese, anche se purtroppo anche in questo caso non è mancato qualche malato particolarmente grave di antiberlusconismo viscerale, che non ha voluto rinunciare all'occasione di attaccare il presidente del consiglio. Il vociante capogruppo dei finiani alla Camera, on. Bocchino, si è affrettato a parlare di grave sconfitta del Berlusca e della sua politica estera fatta di pacche sulle spalle, subito seguito dall'on. Veltroni, che ha parlato di una brutta figura del governo, che in questi due anni non è stato capace di convincere il Brasile che Battisti non è un perseguitato politico, ma semplicemente un assassino.

All'on. Bocchino (tanto contrario - lo si vede anche dalla faccia – alla politica delle pacche e del sorriso) si potrebbe chiedere cosa farebbe se toccasse a lui decidere: manderebbe le cannoniere a Rio de Janeiro o gli aviogetti a Brasilia? Quanto a Veltroni perché non ricordargli che tanto Lula quanto Battisti (negli anni '70 uno dei “compagni che sbagliano”) dopo tutto appartengono, se non altro quanto ad origine, al suo mondo e alla sua cultura e che probabilmente è proprio questo legame a spiegare l'ingiustificata benevolenza del primo verso il secondo.

E dal momento che siamo stati tirati a parlare di responsabilità dei “nostri”, forse anche Berlusconi potrebbe chiedersi se per caso le sue continue accuse contro i giudici italiani, definiti partigiani, inattendibili e in un paio di occasioni addirittura “folli”, non abbia convinto anche oltre confine le animi semplici (come Lula) che le condanne di Battisti potrebbero essere frutto della congenita follia che affligge una parte (che in un paese remoto come il Brasile si potrebbe anche immaginare molto grande) dell'italica magistratura. da La Voce della Romagna

 
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