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Il lupo comunista perde il pelo....
Di Kurdakov - 11/01/2011 - il quotidiano l'Unitą - 2073 visite - 0 commenti


Scriveva Eugenio Corti nel 1975:
«... Stalin si rese conto di come una semplice parola possa diventare un’arma tremenda, se la si carica d’ogni possibile ignominia mediante tutti i mezzi di cui dispone la propaganda moderna. Coniò allora, e per vent’anni si servì sistematicamente, del termine “nemico del popolo” (in russo “vrag naroda”), che gli consentì di paralizzare, tagliandolo letteralmente fuori dall’umano consorzio, chiunque non gli andasse a genio: nel Rapporto Crusciov al XX Congresso viene denunciato il terrore che anche i massimi dirigenti del partito avevano di tale qualifica. Dopo la guerra i comunisti esportarono la loro mirabile scoperta in Italia e in Occidente, dove il vocabolo prescelto fu “fascista”. Con questa accusa, scrive Del Noce, “si crea quel mito del fascismo in cui viene proposto un avversario mortale che nulla ha a che vedere col fascismo storico. Attraverso la trasfigurazione mitica, il concetto di fascismo si è estremamente dilatato, così che chiunque può venirne accusato: e giudice in ultima istanza di chi e di che cosa debba essere considerato fascista, dovrebbe restare il partito comunista”. Di quest’arma paralizzante i comunisti si servirono durante decenni in Italia non per uccidere e sterminare come in Russia, bensì per ricattare chiunque — persona o istituto — potesse esser loro d’ostacolo. Con la permanente minaccia di tale ricatto, essi imbavagliarono in innumerevoli occasioni la stampa, la radio, i canali televisivi, e asservirono ai fini della loro politica un elevato numero di intellettuali.»

Ma oggi il comunismo non c’è più, non è vero?
Tanto che non esiste dirigente del PCI/PD che, dopo la caduta del Muro di Berlino e l’implosione dell’URSS, si sia più proclamato comunista o che non abbia dichiarato di non essere – o addirittura di non essere mai stato – comunista. Avendo presenti le considerazioni di Corti, l’esame di alcune prime pagine dell’Unità dell’anno appena trascorso fornisce una misura precisa di quanto l’attuale PD sia ideologicamente distante dal “vecchio” (e mai realmente scomparso) PCI.

Il “pelo” (i simboli e le parole attinenti ad uno scomodo e vergognoso passato) è stato cambiato, ma il lupo comunista non ha perso il vecchio “vizio”. Affatto. Del resto, com’è facilmente intuibile, non basta togliere falce e martello dal simbolo e la parola “comunista” dal nome per modificare una forma mentis strutturatasi nei decenni e mai sinceramente rinnegata.

 
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