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Intervistati sul nazismo, anni dopo la guerra, molti tedeschi ebbero a dire: «Se avessimo letto il libro di Hitler, Mein Kampf...». Effettivamente quel testo delirante, pieno di assurdità e di manie, non era così conosciuto quando Adolf Hitler andò al potere.
Molta della sua fortuna editoriale fu successiva.
Lo stesso avvenne per un altro scribacchino nazista, Alfred Rosenberg, un tedesco del Baltico nato il 12 gennaio 1893 a Reval, nell’impero zarista, e autore del secondo best seller del nazionalsocialismo: Der Mythus des 20 (Il mito del ventesimo secolo).
Rosenberg è un ventunenne molto attivo quando viene assunto, nel dicembre del 1918, da uno dei primi maestri di Hitler, Dietrich Eckart, il finanziatore di organizzazioni “segrete” come il Circolo Fichte di Berlino e la Società Thule di Monaco, oltre che del primo quotidiano nazista.
Secondo Thimothy W. Ryback, autore di una interessante analisi, La biblioteca di Hitler, Eckart è colui che inizia veramente all’antisemitismo sia il futuro dittatore che il suo fedele amico, Rosenberg appunto. Rievocando le sue chiacchierate con Hitler, in un dramma intitolato Il bolscevismo da Mosè a Lenin: un dialogo tra Hitler e me, Eckart riporta alcune invettive dell’amico Adolf contro la pratica delle indulgenze, le crociate e la Chiesa cattolica in generale: «Questo rotolarsi nella sporcizia, questo odio, questa malignità, questa arroganza, questa ipocrisia, questa meschinità, questo incitamento all’inganno e all’omicidio... e questa è una religione? Allora non c’è mai stato nessuno più religioso del demonio stesso. È l’essenza ebraica, il carattere ebraico, punto e basta».
E ancora: «Il colpo peggiore mai subito dall’umanità è il cristianesimo. Il bolscevismo è figlio illegittimo del cristianesimo. Tutti e due sono conseguenze dell’ebraismo. Attraverso il cristianesimo il mondo è stato riempito con una consapevole menzogna nelle questioni di religione».
Eckart, Hitler e Rosenberg sono un trio di sedicenti intellettuali all’origine del nazionalsocialismo: nei loro discorsi e nelle loro ricostruzioni storiche, ebraismo e cattolicesimo perdono ogni differenza e si confondono, fino a identificarsi. Quello che di malvagio c’è nell’ebraismo, vi è anche nel cattolicesimo e viceversa.
I tre sono profondamente concentrati sull’evento chiave del Novecento: la rivoluzione bolscevica, vero antefatto e causa remota, insieme alla Prima guerra mondiale, della nascita di fascismo e nazismo.
Rosenberg ha addirittura assistito dal vivo alle origini della rivoluzione, trovandosi a Mosca proprio nel 1917. Nel 1918 ha invece deciso di raggiungere la sua terra promessa, la Germania.
Divenuto redattore del primo quotidiano nazista, il «Voelkischer Beobachter», nel 1921, Rosenberg viene incaricato di dirigere il partito mentre Hitler è in carcere dopo il fallito colpo di stato di Monaco, dal 1923 al 1924. Nel 1930, come si diceva, Rosenberg pubblica la sua opera più importante, Der Mythus, destinato a divenire il testo più diffuso del nazismo, dopo il Mein Kampf.
Alla fine della Seconda guerra mondiale il libro avrebbe venduto oltre due milioni di copie, nonostante la mole assai ponderosa (più di 700 pagine), divenendo un testo obbligatorio per le scuole secondarie, gli istituti di istruzione superiore e le varie associazioni e scuole di politica naziste. Ben presto Rosenberg viene nominato da Hitler stesso «ideologo capo» e «responsabile del benessere spirituale del popolo tedesco»; a lui verranno attribuite negli anni cariche culturali e politiche molto importanti e nel 1937 il Führer gli conferirà il Premio Nazionale Tedesco, un premio con cui il regime sostituisce il premio Nobel conferito dagli svedesi.
L’uscita del libro di Rosenberg desta subito preoccupazione nella Chiesa cattolica. Nel 1933 il Vaticano protesta formalmente per la sua inclusione nei programmi scolastici, «ma con scarsi risultati»; diversi vescovi si lamentano pubblicamente, nelle loro prediche, di quel libro, e dell’importanza che Hitler concede a Rosenberg all’interno del partito.
Il dittatore, che non si sente ancora sufficientemente forte da svelare al suo popolo tutti i suoi piani e le sue idee, risponde molto ipocritamente di non essere d’accordo con quel libro, e contrattacca spiegando che in fondo, a farlo diventare famoso e a moltiplicarne le vendite, sono stati proprio i vescovi, con le loro tirate e le loro polemiche. Hitler non è ancora il padrone assoluto della Germania e gioca con astuzia: in verità condivide le tesi di Rosenberg, anche se non è entusiasta del suo oscuro modo di esprimersi, ma ritiene sia giusto procedere con cautela.
Il 7 febbraio del 1934 «L’Osservatore Romano» pubblica un articolo in cui informa che il libro di Rosenberg è stato messo all’indice, in quanto «mostra disprezzo per tutti i dogmi della Chiesa cattolica, cioè i fondamenti stessi della religione cristiana, e li respinge completamente. Sostiene la necessità di fondare una nuova religione o una Chiesa germanica e proclama il principio: “Oggi si sta svegliando una nuova fede, il mito del sangue, la fede nel difendere con il sangue l’essenza divina dell’uomo...”».
Il provvedimento del Santo Ufficio, a cui Rosenberg risponderà nel 1935 con un testo intitolato «Agli oscurantisti (sic) del nostro tempo. Una risposta agli attacchi contro “Il mito del secolo XX”», fa seguito, come detto, alle prese di posizione di personaggi autorevoli come il vescovo di Monaco e Freising, Faulhaber, che ha iniziato a parlar male del libro di Rosenberg già nel 1930, e che nel 1933, nelle prediche sull’Avvento in cattedrale, ha «respinto esplicitamente l’ideologia nazista e definito “fratelli” gli ebrei tedeschi».
Il 6 novembre del 1936 Faulhaber si presenta addirittura al Berghof per lamentarsi ancora, personalmente, con Hitler per le idee diffuse dal Rosenberg, e per le persecuzioni naziste alla Chiesa. L’arcivescovo rammenta a Hitler che «il governo nazista, al di là delle dichiarazioni ufficiali, negli ultimi tre anni aveva dichiarato guerra alla Chiesa cattolica. Non solo le varie attività della gioventù nazista venivano programmate alla domenica mattina per allontanare i giovani dalla comunione, ma nella sola Baviera più di seicento insegnanti di religione avevano perso l’impiego e il numero sarebbe presto arrivato a quasi millesettecento. Peggio ancora, lo Stato aveva introdotto politiche che la Chiesa non avrebbe mai potuto avvallare, come la sterilizzazione dei criminali e degli individui con difetti genetici».
Tornando al nostro Rosenberg, i capisaldi del suo pensiero sono di natura filosofico-teologica, e secondo Robert Cecil sono sostanziati di attacchi contro «le Chiese cristiane almeno altrettanto che contro l’ebraismo».
Rosenberg si scaglia contro il cattolicesimo, che ritiene una perversione del messaggio originale di Cristo, a opera dell’ebreo san Paolo. Cristo sarebbe stato, in verità, un vincitore e non un vinto; un eroe e non uno sconfitto; un ariano e non un ebreo, e, infine, un uomo che mai si sarebbe dichiarato Dio. Ci sarebbe anzi, addirittura, un «Quinto Vangelo», nascosto dalla Chiesa, troppo dedita al potere, contenente il vero messaggio di Gesù. Tesi, come sappiamo oggi, che tornano di tanto in tanto a opera di persone ben poco istruite, ma molto dotate di fantasia (vedi Dan Brown).
Soprattutto, per Rosenberg, Paolo avrebbe accentuato la passione e morte di Cristo, dando a questi eventi un significato inaccettabile. Il crocifisso sarebbe infatti un oggetto disgustoso, di martirio, simboleggiante una religione dell’amore (e non della forza, del valore, della patria), da sostituire dovunque con monumenti ai soldati caduti in guerra per la nazione Rosenberg contesta anche la dottrina del peccato originale, poiché il popolo tedesco non sarebbe per nulla contaminato da esso; l’unico peccato originale possibile è quello contro il sangue. Contemporaneamente attacca l’idea di una creazione del mondo “dal nulla”: «Contro questo mostruoso principio fondamentale lo spirito germanico è stato da sempre nella più aspra posizione di lotta».
La creazione, infatti, presuppone anche l’alterità tra Creatore e creatura, mentre Rosenberg, secondo il tipico panteismo nazista, ritiene che «se io non fossi, non sarebbe neppure Dio».
Le altre due idee disgregatrici del cattolicesimo, in «perpetuo conflitto con il concetto germanico di razza», continua Rosenberg, sono l’universalismo e l’individualismo. Rosenberg riconosce giustamente che la teologia cattolica, da un lato affratella gli uomini, tutti figli dello stesso Dio, e della stessa coppia originaria, Adamo ed Eva, proponendo quindi un messaggio universale, e non razziale, né etnico, classista o sessista; dall’altro dà una grande importanza all’individuo, al suo essere creatura unica e irripetibile, a immagine e somiglianza di Dio, dotato di un’anima unica e immortale.
Rosenberg, commenta Robert Cecil, «dedica particolare attenzione alla decadenza della “struttura universale romana”, poiché essa gli permette di illustrare l’influenza esiziale del cristianesimo, che sfrutta da un lato l’universalismo, già presente nella struttura imperiale, e dall’altro l’individualismo, presente nella dottrina cristiana dell’anima e della sua salvazione. Se tutti i cristiani hanno un’anima, tutti i cristiani sono, almeno potenzialmente, eguali; ma per i nazisti l’eguaglianza in tutti i suoi aspetti era detestabile. “Tutto ciò che era ancora imbevuto di romanità cercò di difendersi dall’ascesa del cristianesimo, tanto più perché il cristianesimo, accanto al proprio insegnamento religioso, rappresentava una tendenza politica totalmente proletario-nichilistica”.
La religione dell’amore e la politica dell’eguaglianza erano entrambe letali per lo stato; il pacifismo del cristianesimo primitivo aveva minato Roma allo stesso modo con cui i disfattisti avevano ostacolato il Reich nella Grande Guerra. Da che la “struttura universale romana” era stata conquistata dal cristianesimo, le dottrine antirazziali e universalistiche di questo l’avevano resa implacabilmente ostile agli interessi del popolo tedesco. Benché possa sembrare che la Chiesa cattolica sia avversaria del giudaismo, essa è, in effetti, il principale canale attraverso cui le idee ebraiche infettano il corpo sano del pensiero germanico».
Scrive infatti Rosenberg in un passo del Mythus: «La nostra anima è stata contaminata dall’ebraismo; i mezzi per fare questo sono stati la Bibbia e la Chiesa di Roma. Con il loro aiuto il demone del deserto è diventato il “dio” dell’Europa».
È, a ben vendere, questa, un’idea che Rosenberg e altri gerarchi nazisti riescono a diffondere piuttosto bene, se è vero che spesso ai cattolici avversari di Hitler i nazisti imputano la colpa di essere seguaci dell’“ebreo” Gesù Cristo, contro cui scagliano terribili maledizioni. Lo storico di Oxford Michael Burleigh ricorda ad esempio che il vescovo Bornewasser di Treviri venne assalito con l’urlo: «Vescovo ebreo! Magnaccia bolscevico», e che «l’organo delle SS rivolgeva spesso insulti al Papa», accostando Roma alla Giudea, come in una poesia intitolata Il Rabbino Capo di tutti i cristiani, in cui si accusava il pontefice di essere in fondo nient’altro che un rabbino, «vecchio, con la testa confusa, barcollante e malato», ignorante su tutto ciò che riguarda la Razza, reo di considerare «sia Neri che Bianchi come figli dagli uguali diritti» e i cristiani, «di qualsivoglia colore», come «spiritualmente giudei».
A tal proposito Rosenberg si scandalizza più volte per l’avversione al nazionalismo e al razzismo dei cattolici, e per bollare queste idee inventa la solita tirata sui poveri eretici eliminati dalla Chiesa: «Da Bonifacio fino a Ludovico il Pio, che si sforzò di estirpare radicalmente tutto ciò che era germanico, fino ai nove milioni (sic) di eretici trucidati, si sviluppa sino al Concilio Vaticano, sino a oggi, un unico tentativo di affermare una inesorabile fede unitaria, e di diffondere una forma, un articolo di fede coercitivo, una lingua e un rito per uomini nordici, levantini, negri, cinesi ed esquimesi (si confronti il Congresso Eucaristico di Chicago del 1926, ove vescovi negri celebrarono la Messa). Da duemila anni l’eterno sangue di tutti i popoli e razze si indigna contro di ciò».
E ancora: «E così anche i relatori del Katholikentag, la Giornata dei Cattolici Tedeschi, del 1923 a Costanza erano arrivati alla conclusione che la più grande eresia del nostro tempo sarebbe quel “nazionalismo eccessivo”, che avrebbe già provocato i più “terribili disastri e devastazioni” anche nelle teste dei cattolici. Una formula che viene ripetuta ogni mese dai vescovi tedeschi».
In tutto il Mythus la Chiesa cattolica, ben più di quelle protestanti, si rivela il vero avversario del pensiero nazista. Così Rosenberg la accusa di aver ostacolato il cammino della scienza (il nazismo, come il comunismo, come oggi il riduzionismo, si riteneva “scientifico”), si lancia in elogi degli antichi eretici, dai catari ai valdesi, ai luterani, vedendo in essi la reazione nordico-germanica all’«ipnosi romano-mediorientale»: «Se non siamo ancora morti, ciò è merito della potenza dell’anima germanica, che ha finora impedito la definitiva vittoria di Roma (e di Gerusalemme). In Meister Eckhart l’anima nordica pervenne per la prima volta alla totale consapevolezza di se stessa. Nella sua personalità sono già contenuti tutti i nostri successivi grandi uomini. Dalla sua grande anima può – e potrà –, un giorno, nascere la fede tedesca»
Alla difesa appassionata degli eretici medievali, Rosenberg affianca dure requisitorie contro la Chiesa cattolica, che si sarebbe resa colpevole, riprendendo le cifre esorbitanti e propagandiste dell’illuminista Gottfried Christian Voigt, della morte di ben «nove milioni di streghe», ree unicamente di avere una «più intima osservazione della natura»!
Rosenberg si trova così alleato, in questa battaglia culturale contro l’“oscurantismo” passato, di un uomo per cui non prova eccessiva simpatia, Heinrich Himmler, il capo delle SS. Anche Himmler, come ricorda Michael Hesemann, è convinto che la Chiesa sia al servizio degli ebrei e che la caccia alle streghe sia servita a eliminare gli ultimi rappresentanti delle comunità religiose pagane germaniche. Himmler arriverà addirittura a «conferire al servizio di sicurezza delle SS una “Missione speciale H” (dove H sta per Hexen, streghe)», incaricata di conteggiare il numero delle streghe uccise dalla Chiesa, setacciando tutti gli archivi ecclesiastici e civili del Reich.
Alla fine Himmler non riesce, suo malgrado, a raggiungere la cifra epica di nove milioni, ma arriva «al numero di 25.000 vittime, molto più della metà delle quali nelle regioni protestanti» (la gran parte delle quali condannate, come si è visto, non dall’Inquisizione, ma dai tribunali laici).
Tra le varie colpe del cristianesimo paolino, Rosenberg ne rintraccia un’altra, letale per il razzismo magico e la religione del sangue di cui si fa portatore. Il cristianesimo sarebbe la coalizione ribelle e vendicativa di tutti gli “esseri inferiori” contro quelli “superiori”; la religione di coloro che meschinamente si prostrano in ginocchio, rinnegando la dignità divina dell’uomo superiore; di coloro che adorano un Dio dolorante, che patisce, e, con lui, la debolezza, e l’umiltà; di quanti difendono i deboli, i malriusciti, dagli sforzi eugenetici dello Stato: «La società europea si è senz’altro “sviluppata” come protettrice di ciò che è deteriore, malato, deforme, marcio e criminale. L’“Amore” con l’aggiunta dell’“Umanità” è diventato una dottrina disgregatrice di tutti i comandamenti e di tutte le forme vitali di un popolo e di uno stato, e si è quindi ribellata in tal modo contro la Natura che oggi si vendica. Una Nazione, il cui centro rappresentasse l’onore e il dovere, non manterrebbe delinquenti e fannulloni, ma li eliminerebbe».
Assumendo queste posizioni Rosenberg si pone sulla scia di Nietzsche, il filosofo della «morte di Dio» che ne La genealogia della morale aveva anticipato idee naziste, presentando l’odiatissimo cristianesimo – frutto a suo dire del risentimento verso la vita dei deboli e dei repressi, difesa dei “malriusciti” che meriterebbero la morte –, come il cavallo di Troia dell’ebraismo e della sua vendicativa «morale degli schiavi»: «Sono stati gli ebrei (conquistando Roma col cristianesimo, N.d.R.) ad aver osato, con una terrificante consequenzialità, stringendolo ben saldo con i denti dell’odio più abissale (l’odio dell’impotenza), il rovesciamento dell’aristocratica equazione di valore (buono=nobile=potente=bello=felice=caro agli dèi), ovverossia i miserabili soltanto sono i buoni; solo i poveri, gli impotenti, gli umili sono buoni; i sofferenti, gli indigenti, gli infermi, i deformi sono anche gli unici devoti».
E nella stessa opera, parlando di Cristo, dopo averlo presentato come «Redentore arrecante ai poveri, agli ammalati, ai peccatori la beatitudine», aveva concluso: «Israele stesso non ha forse, col giro vizioso di questo Redentore, di questo apparente avversario e dissolvitore d’Israele, raggiunto l’ultimo scopo della sua sublime vendetta? E non appartiene forse a una segreta, tenebrosa arte di una veramente grande politica della vendetta, di una vendetta prelungoveggente, precalcolatrice e sotterranea, che Israele stesso abbia inchiodato alla croce e calunniato innanzi al mondo qual nemico mortale l’unico strumento della propria vendetta, affinché tutto il mondo, cioè tutti gli avversari di Israele, potessero senza esitazione mordere a quell’esca?».
Vendetta contro chi, si chiede su «L’Avanti» del 13 agosto 1912 Benito Mussolini, socialista massimalista e anticlericale, commentando con simpatia il pensiero di Nietzsche? Vendetta dei deboli sui forti, dei malati sui sani, degli schiavi sui dominatori, dei malriusciti sui riusciti, di Giuda su Roma, del cristianesimo sul paganesimo. Perché, sempre riprendendo Nietzsche (o almeno uno dei suoi passi, vista la contraddittorietà del filosofo), ormai purtroppo «ovunque l’uomo è addomesticato o vuole diventarlo, davanti a tre ebrei e un’ebrea: Gesù di Nazareth, il pescatore Pietro, e Maria, la madre di Gesù».
Vendetta, dunque, che Rosenberg e i nazisti vogliono “vendicare”. In particolare, Rosenberg, convinto con l’amico Walter Darré che gli uomini siano da allevare come il bestiame, artificialmente, impedendo agli “inferiori” di riprodursi liberamente, prende posizione contro l’enciclica di papa Pio XI (1922-1939), Casti connubii, sul matrimonio cristiano, del 31 dicembre 1930: «...il Vaticano si è mostrato di nuovo come l’avversario più accanito dell’allevamento di quanto è più valido e come protettore del mantenimento e della riproduzione di quanto vale di meno. In opposizione anche a seri eugenisti cattolici Papa Pio XI dichiara agli inizi del 1931 nella sua enciclica Sul matrimonio cristiano, che non è legittimo compromettere l’integrità fisica di persone che sono in sé capaci di sposarsi, ma che probabilmente darebbero la vita a una prole minorata... Dunque, chi vuole una Germania sana e spiritualmente forte deve respingere energicamente tanto questa enciclica pontificia, che porta all’allevamento (sic) di uomini inferiori, quanto il fondamento del pensiero romano in quanto contro natura e ostile alla vita».
Affinché il cristianesimo, mutandosi, possa sopravvivere, c’è, per Rosenberg, una sola speranza: la morte della Chiesa cattolica, la germanizzazione del Cristo attraverso l’eliminazione radicale dell’Antico Testamento ebraico, e «l’eliminazione dal Nuovo Testamento dei racconti evidentemente contraffatti e superstiziosi».
Così il nazismo si incontra con le letture eretiche del Vangelo e del Cristo che da sempre cercano di ridurlo a un uomo, e che Rosenberg ben conosce. A questa concezione si aggiunge il ritorno al passato pre-cristiano, mitizzato e abbracciato come vera identità del popolo tedesco: «Quanto v’era di eroico, di germanico, di pre-cristiano, tutto faceva brodo per Rosenberg. Egli trovò il sepolcro di Widukind il sassone e fece con Himmler un pellegrinaggio alla supposta tomba di Enrico I a Quedlinburg. A Verdun, dove Carlomagno aveva sconfitto i pagani, Rosenberg auspicò un monumento di 4500 pietre, una per ogni sassone».
Per lui, come ebbe a dire in un’occasione, «per i tedeschi la Terrasanta non è la Palestina... I nostri luoghi santi sono certi castelli sul Reno, il suolo generoso della Bassa Sassonia e la fortezza prussiana di Marienburg».
Al processo di Norimberga, a guerra finita, Rosenberg è un uomo che non ha abbandonato le sue convinzioni. Non è particolarmente depresso o avvilito, non cerca, come altri gerarchi, la via del suicidio, ma, come ha scritto il tenente colonnello W.H. Dunn, che ha fatto una perizia psichiatrica sull’imputato, rimane «abbarbicato alle proprie teorie in modo fanatico e inflessibile» e sembra «poco impressionato dalla rivelazione, durante il processo, delle efferatezze e dei crimini del partito», cui lui, in verità, ha partecipato, certo, in quanto ideologo, meno come uomo d’azione.
Anzi, Rosenberg punta proprio a difendersi sostenendo questa posizione: non si è macchiato di delitti particolarmente efferati, pur avendo, con i suoi libri e le sue riviste, convinto milioni di persone della bontà del nazismo. Uno degli accusatori russi, però, contraddice questa tesi e descrive «come Rosenberg autorizzò la deportazione nel Reich nell’estate del 1944, di 40.000 orfani russi senza famiglia»; in verità deve ammutolire quando Rosenberg, che è stato effettivamente uno dei consiglieri più importanti per la politica verso Est di Hitler, ricorda che «un egual numero di adulti erano stati deportati in Russia nel 1940 da ciascuno degli stati di Estonia e Lettonia».
Analogamente, quando l’americano Thomas Dodd rinfaccia a Rosenberg di aver perseguitato la religione, l’accusatore sovietico preferisce non proseguire nell’interrogatorio e lasciarlo cadere: «Vi furono molti momenti imbarazzanti del genere prima che il lungo processo avesse termine», commenta Robert Cecil.
Fu proprio perché i russi, che sedevano nel banco dei giudici, avevano perseguitato anch’essi, in ogni modo possibile, il cristianesimo e la Chiesa, che a Norimberga non si approfondì, in generale, l’avversione nazista per Gesù Cristo e per i suoi seguaci? E se non è questo il motivo, per quale perversione la Chiesa cattolica, che i nazisti odiarono e cercarono di distruggere, viene oggi talora chiamata da qualcuno a correo del nazismo stesso16? Sia come sia, Rosenberg morirà convinto che il nazionalsocialismo fosse un lodevole «atteggiamento di forza in contrasto con la fede cristiana, che insegna all’uomo a essere conscio della propria debolezza e della propria soggezione all’errore», umiliandolo e facendogli così dimenticare la sua natura divina. Al pastore luterano che andrà a trovarlo prima di salire al patibolo, nelle prime ore del mattino del 15 ottobre 1946, Rosenberg, che in un passo del Mythus ha descritto come folle e disumana, assolutamente incomprensibile, l’idea che un uomo possa inginocchiarsi, e umiliarsi, davanti a Dio, risponde: «Non ho bisogno del suo aiuto». Sembra siano state le sue ultime parole.
da: Indigine sul cristianesimo (Piemme): http://www.libertaepersona.org/dblog/articolo.asp?articolo=1887