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MA ISRAELE LO ATTENDEVA PROPRIO ALLORA. Profezie e attesa messianica a cavallo dell'Era Volgare
Di Gianluca Marletta - 21/12/2010 - Religione - 1267 visite - 0 commenti

Tutti sanno che l’attesa messianica è una delle caratteristiche fondamentali della fede israelitica; molti, tuttavia, ignorano come il fervore e l’attesa del popolo ebraico abbiano spinto a ricercare, all’interno dell’enorme patrimonio profetico della Bibbia, qualcosa di più di un incerto riferimento ad un vago “avvento futuro”. Le testimonianze storiche e letterarie (sia ebraiche che di provenienza “gentile”) confermano, infatti, che proprio il periodo a cavallo di quell’Era Volgare, che per i Cristiani diventerà lo spartiacque della storia a causa della nascita di Gesù, fu anche l’epoca “fatale” in cui le attese messianiche si coagularono con particolare forza nella coscienza del popolo d’Israele. Detto fuor di metafora, dunque, era proprio intorno al periodo della nascita di Gesù che la generalità del popolo ebraico si attendeva l’avvento del tanto atteso Messia.

Nel suo libro La Guerra Giudaica, lo scrittore ebraico-romano Giuseppe Flavio, nel tentativo di spiegare la fanatica determinazione dei ribelli israeliti nella guerra contro i Romani che porterà alla distruzione di Gerusalemme e del suo Tempio (66-74 d.C.), scrive: “Ma quello che incitò maggiormente alla guerra fu un’ambigua profezia, ritrovata ugualmente nelle Sacre Scritture, secondo cui in quel tempo ‘Uno’ proveniente dal loro popolo sarebbe diventato il dominatore del mondo” (cap. 5).

E’ interessante inoltre constatare come questa “attesa” fosse ben nota (e persino condivisa) anche oltre i confini di Israele. Lo scrittore Tacito, ad esempio, nelle sue Historiae, riferisce della “voce comune” che vedeva, nel periodo a cavallo della nostra Era Volgare, il momento scelto dal Cielo per la manifestazione di un sovrano universale che sarebbe apparso proprio in Israele; scriveva infatti lo storico latino: “I più erano persuasi trovarsi nelle antiche scritture dei sacerdoti che, verso questo tempo, l’Oriente sarebbe salito in potenza. E che dalla Giudea sarebbero venuti i dominatori del mondo” (Cap. V, 13).

Le profezie che, secondo l’interpretazione più diffusa presso gli Ebrei dell’epoca, avrebbero preannunciato la venuta del Messia a cavallo dell’Era volgare,  erano soprattutto due. La prima è presente tra le Benedizioni che Giacobbe impartisce ai suoi 12 figli; a Giuda –capostipite della tribù regale, da cui discende Davide- il padre profetizza: “Non sarà tolto lo scettro da Giuda né il bastone del comando tra i suoi piedi, finché non verrà colui al quale appartiene e a cui è dovuta l’obbedienza dei popoli” (Gn. 49, 10). Ora, è proprio a cavallo dell’Era volgare che, con la morte di Re Erode, il popolo d’Israele perde definitivamente anche l’ultima parvenza d’autogoverno –il bastone del comando- finendo direttamente sotto il controllo di Roma. Per questo motivo, colui al quale è dovuta l’obbedienza dai popoli era atteso proprio in quel periodo.

L’altra profezia è quella delle Settanta Settimane (o Settanta Settenari, traducendo il termine “settimana” con un periodo di 7 anni) presente nell’apocalittico Libro di Daniele: “Settanta settimane sono fissate per il tuo popolo e per la tua città santa per mettere fine all’empietà, mettere i sigilli al peccato, espiare l’iniquità, portare una giustizia eterna, suggellare visione e profezia e ungere il Santo dei Santi” (Dn. 9, 24). Identificando questo periodo di  490 anni (70x70), a partire dalla ricostruzione di Gerusalemme dopo la distruzione dei Babilonesi (516 a.C.), i saggi israeliti vedevano proprio nel periodo a cavallo del nostro Anno Zero, l’epoca in cui si sarebbe manifestato “l’Atteso” e sarebbe giunto il giudizio su Gerusalemme. Un’eco di questi calcoli, del resto, si avverte anche nelle affermazioni di maestri ebraici molto posteriori. Così, ad esempio, quasi rispondendo alla delusione ebraica per il “mancato avvento” del Messia (a cui farà seguito la distruzione del Tempio), un Rav. del III secolo d.C. poté dire che “tutte le date (calcolate per la venuta del Messia n.d.a.) sono già trascorse. L’evento non dipende più che dal pentimento e dalle buone azioni[1].

         Alla luce delle testimonianze storiche, pertanto, assumono un valore ben più pregnante le affermazioni evangeliche sull’attesa messianica nell’epoca di Gesù di Nazareth; così come si inquadrano in un coerente contesto storico-religioso sia la predicazione di Giovanni il Battista, che lo stesso annuncio di Gesù sui “tempi compiuti” e sulla necessità di convertirsi alla Buona Notizia. Una Buona Notizia che non era affatto attesa in un “nebuloso e quasi leggendario futuro”, ma che era storicamente contestualizzata all’inizio di quella che, per noi Cristiani, è “lo spartiacque della storia”.

 

 

 

          



[1] Cit. in D. Banon, Il messianismo, Firenze 2000, p. 18

 
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