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In questi giorni sui giornali e alla televisione si riflette riguardo alla trasmissione di Fabio Fazio dove si è affrontato il tema dell'eutanasia. Ho già avuto modo di osservare sul blog come si sia trattato di un programma a tema, che ha esposto una sola tesi e questo a dire degli autori per un problema di chiarezza e di scelta di campo. Mettiamo da parte la chiarezza, visto che la richiesta della associazioni pro-life, cattoliche e non, di partecipare ad una puntata del programma per presentare “l'altro punto di vista” è stata rigettata.
L'unica chiarezza che interessa Fazio e soci -la scelta di campo- è quella che la tesi pro autodeterminazione risulti la sola da promuovere, in quanto più civile e al passo con l'Europa. I testimonial qualificati c'erano, essi hanno proclamato “il verbo della presunta pietà” in una “stanza” dalla quale erano assenti le migliaia di malati e dei loro parenti che quotidianamente testimoniano la dedizione e l'amore per l'uomo, in qualsiasi stato si trovi. In tal modo nove milioni di italiani hanno sentito una campana suonata da un eroe della lotta alla camorra, probabilmente convincendosi che le parole dette da un eroe valgono di per se.
La tecnica di manipolazione delle coscienze è sempre la stessa; il mondo dello spettacolo si offre per plasmare pazientemente l'opinione pubblica. E “l'Europa evoluta” delle lobby eutanasiche, pro aborto, pro suicidio assistito, sottraendosi ad ogni reale dibattito garantisce l'autorevolezza di questi “programmi”. Il fatto che l'intera Europa promuova idee che minano la dignità umana non significa che l'Italia debba aggiornarsi, per mettersi al passo.
E' evoluta una società che esalta come un valore il divorzio rapido, che estende la possibilità d'aborto oltre ogni limite temporale, che considera la famiglia un residuo del passato, che esalta l'amore multiplo cioè la poligamia, perché la fedeltà costa ed è un retaggio del cattolicesimo più becero, che disintegra l'idea dei sessi, sostituendola con il concetto sfumato di genere, che avvalla il superamento di termini come padre e madre, in nome del più politicamente corretto, progenitore a e progenitore b?! Ascoltando le argomentazione di alcuni miei alunni relativamente al problema del diritto alla morte ho avvertito che il vento gelido dei programmi for death, soffia sempre più forte.
Sono disinformati, cinici, disprezzano i malati, fanno coincidere la vita degna di essere vissuta con il modello imposto, del corpo sano, della piena autodeterminazione, dell'efficienza. Arrivano a dire che l'infelicità nega un diritto fondamentale, quello alla felicità, e perciò comprendono l'infelice che pone fine alla propria vita. Concepiscono l'uomo come un atomo, senza relazioni, come un assoluto senza alcun vincolo e tutto questo lo fanno perché non pensano, perché nessuno li fa più pensare. “Se la prendono con me” in quanto oso contestare il loro dogmatismo, perché li invito a difendere i più deboli; poi, magari sono così diligenti nel risolvere equazioni e integrali, dimostrando come la ragione ridotta al puro calcolo possa dar luogo a dei mostri analfabeti della vita. Ma il terreno è stato arato e i semi sono caduti, in attesa del raccolto, in attesa di un referendum che prima o poi arriverà, un democratico pronunciamento popolare che consacrerà l'ennesimo regresso di civiltà. Sono pessimista? E' un punto di vista, ma vedrete.
Su di una cosa voglio però ancora soffermarmi, un punticino rispetto al quale i saccenti ragazzotti vacillano assieme ai loro cattivi maestri: l'idea di libertà; il fatto che una scelta possa dirsi libera soltanto se esercitata consapevolmente e non determinata dall'urgenza, dalla paura, dall'angoscia.
Ricordate Giulietta e Romeo? Lei, la fanciulla innamorata si determinò liberamente per la morte perché convinta il suo Romeo fosse morto. Ma fu la scelta giusta quella compiuta dall'infelice fanciulla? Certo, lei decise, affermo il proprio diritto di morire. Ma lo avrebbe fatto se avesse saputo?...Oh se Giulietta avesse atteso, solo qualche minuto, se la disperazione non l'avesse subitaneamente trascinata nel baratro. Se le famiglie in lotta avessero per un attimo riposto le armi, se i messi avessero portato il messaggio della morte apparente di Romeo in tempo. Se... in una parola, le informazioni fossero state disponibili... tutte! Non avremmo la tragedia, non rifletteremmo su questo amore infelice. Eppure ogni volta che rivediamo o rileggiamo questa storia vorremmo le cose andassero diversamente, vorremmo entrare per un attimo nella trama e dire a Giulietta: Romeo sta solo dormendo, aspetta! Questa storia dice chiaramente che la libertà di Giulietta fu una falsa libertà, un principio, che perciò, la condusse alla rovina.
Ma nella finzione, nella creazione artistica, sul singolo caso, possiamo meditare, cogliendo perfettamente come le cose dovessero andare, come il finale “atteso dal cuore” esigesse un diverso epilogo. E' giocando su questo che il grande drammaturgo Inglese dipinge la trama alla ricerca del phatos. Ma questa è un'opera letteraria in cui volutamente gli indizi e le informazioni che avrebbero salvato l'amore di Giulietta e Romeo, mancano. Nella vita reale, “la libertà” vuole invece ogni dettaglio, vuole e deve conoscere tutto per potersi esercitare, vuole gli ostacoli umani, economici, psicologici, culturali siano rimossi. Se ciò non accade il diritto all'autodeterminazione è solo un beffa, una scorciatoia individualistica che non ha a cuore l'uomo reale e il suo destino. La conferma di quanto asserisco da tempo.
La nostra è una società feroce, individualistica, totalmente estranea ai più deboli, in una parola, materialistica. Mi si potrebbe a questo punto accusare di astrattismo o di utilizzare abili sofismi per sfuggire un problema reale. E' lecito di fronte a qualche caso di persone che non vogliono più vivere perché troppo sofferenti o perchè in coma irreversibile prevedere una legge che regolamenti questi casi? Credo che regolamentare con una legge anche un solo caso apra la via ad una serie infinita di casi che in breve tempo allargherebbero le maglie della nostra sensibilità rispetto ai malati, in modo irreversibile, diverremmo cioè incapaci di accettare il limite e il dolore e cercheremmo pertanto di eliminarlo.
Vi sono costi occulti che non possiamo prevedere, ma possiamo star certi che in breve, l'idea di vita degna di essere vissuta muterebbe, creando tutta una serie di persone che considererebbero la malattia, anche psichica, una ragione sufficiente per morire, persone malate che si avvertirebbero come un peso, come qualche cosa che la società non può mantenere. Allo stato attuale invece i casi di rivendicazione del diritto alla morte in Italia sono pochissimi, proprio perché non esiste una legge.
Dare la morte, credo debba restare “un problema”, che passi attraverso una riflessione vissuta caso per caso, una battaglia di singoli che si assumono l'onere del loro gesto e la fatica di realizzarlo. Lo stato non può e non deve avvallare l'ambiguità di una scelta personale, che se normata, in breve diventerebbe “banale”, prevista, anticipata- nel caso del testamento biologico-. La civiltà che affonda le proprie radici nel cristianesimo non può, senza morirne, cancellare un tabù che millenni di cultura hanno piantato in noi.
L'origine e l'inizio non ci appartengono, sono sacri. Non vogliamo vedere i nostri malati i nostri vecchi andarsene lontano a morire, per non disturbare il mondo dei vivi come fanno i cani. Ci sono molti modi per accelerare la morte, modi che la sapienza medica e umana da sempre pratica: si evita l'accanimento terapeutico, si seda eccessivamente un malato sofferente, si sospendono le cure, sono modi sufficienti, essi contemplano la stragrande maggioranza dei casi. Per il resto, quel poco che per alcuni è tutto, nessuna legge può e deve stabilire come e quando accelerare la morte. Questo è un abisso in cui possono entrare solo i singoli assumendosene tutta la responsabilità. E' uno spazio privato che non può diventare pubblico.