Una meditazione sul Natale tra fede e scienza
“Quando giunse la pienezza del tempo Dio mandò il proprio Figlio” (Gal. 4,4).
In questa affermazione di S.Paolo si coglie non una cronaca, ma il pensiero stesso di Dio, il suo progetto: rendere partecipe l’umanità, sua creatura, della vita divina attraverso il grande mistero dell’Incarnazione.
Dio dunque pensa.
Quindi realizza. Quello che vediamo, in altre parole, non è una sorpresa né tanto meno un incidente di percorso, o comunque qualche cosa che accade perché deve accadere; la realtà che osserviamo è frutto di un pensiero di Dio.
Se il tempo ha raggiunto una sua “pienezza” significa che è cresciuto secondo un piano prestabilito, come avesse dovuto gonfiarsi per effetto di un lievito nascosto al suo interno. Ora, se c’è un piano, significa che prima c’è stato un pensiero.
Dio sapeva che doveva mandare il proprio Figlio e quindi attendeva che la pasta lievitasse fino al punto da poterlo ospitare ed accogliere come un dono capace di portare il suo frutto.
Facciamo ora un ulteriore passo.
L’Universo sapeva che sarebbe arrivato il Figlio di Dio?
Oppure, in altre parole, il Figlio di Dio è stato una sorpresa per l’Universo o piuttosto il compimento di un’attesa?
C’erano nell’Universo le condizioni fisiche e biologiche per poterlo ospitare come un essere umano cioè un essere soggetto anche alle leggi della materia?
La domanda è retorica, a questo punto.
Potremmo dire che i protoni ed i neutroni usciti dal big bang possedevano le caratteristiche necessarie, anche se probabilmente non già sufficienti, per lo sviluppo di un sistema solare e, all’interno di questo, per lo sviluppo della vita.
Se Dio non avesse avuto in mente di mandare il suo Figlio sul pianeta Terra non si sarebbe nemmeno occupato di creare una materia capace di evolvere nel modo che tutti conosciamo, a partire dal big bang.
Con altre particelle o con altri numeri, sarebbero usciti scenari e paesaggi diversi, inospitali per l’uomo e quindi anche per il Figlio dell’Uomo.
“Ciascuno di noi è frutto di un pensiero di Dio; ciascuno di noi è voluto e amato da Dio”: riecheggiano le parole della prima omelia del nostro Pontefice (24 aprile 2005)!
Ma se le cose stanno così per noi, per ciascuno di noi, tanto più l’intero sistema, ovvero l’Universo, sarà stato un pensiero di Dio!
In altre parole, se gli atomi avessero potuto farlo, avrebbero potuto immaginare, osservando le proprie caratteristiche, che erano destinati a costruire un paesaggio fantastico, un paradiso in cui lo stesso Creatore vi avrebbe messo piede.
Dio nasce dunque, e ne siamo tutti commossi, ma c’è un altro pensiero che ci avvolge: la gravidanza che Lo ha preparato non è durata quaranta settimane come vale per tutte le mamme, ma molto di più!
“Per la sua dottrina erano in attesa le isole” dice la sacra scrittura (Is. 42,1); oggi, con l’aiuto della scienza, possiamo dire che l’Universo si espande da oltre 13 miliardi di anni aspettando Lui e la sua dottrina: c’è un unico filo che congiunge il Natale alla storia dell’Universo stesso.
Senza materia non c’è Incarnazione, ma senza il pensiero di Dio non c’è nemmeno la materia. Il cerchio si chiude solo se tutto ciò che esiste viene rimandato alla Mente sapiente di Dio.
Adoriamo allora anche noi insieme ai semplici pastori e ai sapienti magi il Bambino della grotta di Betlemme, dove il Cielo si unisce alla Terra e dove il Logos di Dio diventa la ragione dell’esistenza dell’Universo intero.
Adorare significa riconoscere, con la ragione e con il cuore, che l’amore di Dio per noi è così grande da trarre dal nulla tutte le cose, quelle visibili e quelle invisibili, per creare, il sesto giorno, miliardi di figli nel Figlio.
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