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Se a fare notizia è un preservativo..
Di Giuliano Guzzo - 24/11/2010 - Attualità - 1625 visite - 0 commenti

Tanto rumore per nulla. A distanza di ormai qualche giorno, possiamo dirlo: la presunta rivoluzione di Papa Benedetto XVI sul profilattico è stata solo una volgare messinscena. Non del Papa ovviamente, ma dei mezzi di comunicazione, i quali, a corto di scoop, hanno pensato bene di inventarsene uno. Questi, in breve, i fatti: il Santo Padre, intervistato da Peter Seewald nel libro “La luce del mondo”, ad una domanda sulle motivazioni che tutt’ora spingono la Chiesa a sconsigliare l’uso del profilattico ha spiegato - dopo aver ricordato i successi ottenuti in Africa contro l’Aids dalla cosiddetta Teoria ABC (Astinenza, fedeltà, preservativo) che considera il preservativo l’ultima risorsa contro le epidemie -, l’importanza della «lotta contro la banalizzazione della sessualità». Prima di ridare la parola a Seewald, però, Benedetto XVI ha aggiunto che «ci può essere un fondamento in alcuni casi individuali, ad esempio quando un prostituto usa un preservativo, dove questo può essere un primo passo verso nella direzione della moralizzazione».

Non l’avesse mai fatto: fior di commentatori, a destra e a sinistra, hanno parlato di rivoluzione sessuale del Vaticano, di aggiornamento tanto atteso, di trionfo dell’amore libero tra i cattolici. Persino dall’Onu, dove la Chiesa Cattolica non gode di grande popolarità ma dove pullulano i devoti del condom, s’è levato un formale ringraziamento al Santo Padre. Buona parte dei mass media e delle istituzioni, insomma, ha preso le parole di Benedetto XVI come una sorta di regalo di Natale anticipato. Peccato che il pacchetto del regalo sia del tutto vuoto; il Papa non ha infatti rivoluzionato un ben niente. Ha solo chiarito che, in determinate circostanze – quelle, ad esempio, di un “Prostituierter”, un "prostituto" in lingua italiana, che rischia di infettare i suoi clienti - , l’uso del preservativo può essere giustificabile. Questo perché, in un’ottica cristiana, la salute e la vita del prossimo hanno sempre la precedenza. Tutto ciò, ovviamente, nulla toglie all’immoralità dell’uso del preservativo e della prostituzione, che rimangono a tutti gli effetti umiliazioni della sessualità.

Nel caso specifico del preservativo, inoltre, non deve essere taciuta la sua inefficacia al contrasto alla diffusione dell’Aids. Non lo dicono i vescovi, ma le ricerche scientifiche: in un articolo del 2000 pubblicato sull’autorevole rivista Lancet veniva notato come il condom abbia, sul versante psicologico, lo stesso effetto delle cinture di sicurezza: rende più disinvolti facendo aumentare l’abitudine a comportamenti a rischio (Cfr. Lancet 2000;355:1555-6). Un’altra ricerca ha messo in luce come l’uso “tipico” del preservativo – che non è, per diverse ragioni, perfetto – innalzi mediamente il rischio di contagio di malattie al 13% (Cfr. Cochrane Database of Systematic Reviews 2002, Issue 1). Questo significa, com’è stato ricordato da Ward Cates ad una conferenza Onu tenutasi a Rio de Janeiro, che in un arco di dieci anni di utilizzo “tipico” del preservativo la percentuale di contagio raggiungerebbe il 75-78%. Alla faccia della tanto osannata sicurezza del condom.

Se si vuole davvero contrastare l’Aids, in Africa come nel mondo occidentale, occorre allora fare altro: cambiare le abitudini sessuali. Anche qui, a parlare non sono cardinali ma scienziati: in un articolo pubblicato sul British Medical Journal nel 2006 si è apertamente denunciato come le campagne di promozione del preservativo, anziché frenare la diffusione dell’HIV, possano «aver contribuito ad un loro uso incostante, cosa che comporta uno scarso effetto protettivo, nonché a trascurare il rischio derivante da rapporti sessuali con più partner» (BMJ 2006;332:605-607). Che sia il mutamento delle abitudini sessuali - e non il lancio di preservativi dagli aerei – la vera strategia contro l’Aids è stato dimostrato anche sulla rivista Science dai ricercatori Richard Hayes e Helen Weiss (Cfr. Science 2006; 311: 620-621).

A questo punto, compresa l’insensatezza delle polemiche sulle parole del Papa e acclarata l’illogicità dei ragionamenti di quanti, ancora oggi, credono all’efficacia delle campagne promozionali del preservativo, non possiamo esimerci da una breve riflessione su quanto accaduto. Merita in particolare di essere analizzata l’euforia con cui molti hanno applaudito alla presunta apertura del Papa sul condom: come mai tanto entusiasmo? Il dubbio, anzi la certezza, è che tanti considerino ancora oggi il messaggio cristiano come un solenne divieto e che, come ha scritto Benedetto XVI, concordino con Nietzsche nel pensare che il cristianesimo abbia «dato da bere del veleno all'eros, che, pur non morendone, ne avrebbe tratto la spinta a degenerare in vizio » (Deus caritas est, 3). Invece è l’esatto opposto: un cristiano non ha affatto paura dell’amore, anzi, ci crede talmente tanto che è disposto a rischiare, a scegliersi una persona ed amarla tutta la vita.

Viceversa l’odierno ricorso di massa al preservativo denuncia un palese segnale di paura. Paura di legarsi troppo ad una persona, che è bene che rimanga solo partner sessuale e non diventi mai marito o moglie; oppure paura che la persona amata possa lasciarci, e che sia quindi meglio avere, o meglio provare ad avere, tutto subito. Paura di vivere un rapporto in vista del matrimonio, come se l’attesa, anziché aggiungere, togliesse gusto alla vita. Paura insomma di dare davvero senso all’amore, senza circoscriverlo alle lenzuola di un letto ma vivendolo fino in fondo, a trecentosessanta gradi, senza timori né compromessi al ribasso. Forse è dunque il caso di smetterla di collegare l’immagine del condom sempre e solo all’Africa, e di iniziare un serio ripensamento del nostro modo di esprimere i sentimenti all’insegna di un amore spesso vittima di stereotipi, che merita invece di essere riscoperto. In modo che possa essere finalmente lui, l’Amore – quello unico e per sempre-, a fare notizia. E non un preservativo uguale a miliardi di altri.

 
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