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L'esordio del film, nonostante l'apparente serenità iniziale, è drammatico. Due vicende in contemporanea si contendono la scena, due luoghi. In uno si celebra il successo, l'onore e la ricchezza, nell'altro si consuma il dramma di due innamorati che scelgono di morire insieme, sospinti nel baratro dai fili invisibili del cinismo.
Il successo degli uni, il calcolo, la pura logica del profitto, determina il destino di una coppia che subito esce dalla storia pur connotandone lo sfondo su cui si svolgerà la trama. Irene, la protagonista è compresa in un ruolo che ha assunto sin da bambina, seguendo le regole imposte da una zia che incarna la figura del cinismo e del calcolo. Irene ha vissuto in un mondo dove tutto sembrava corrispondere ad un dovere e ad una necessità determinata dalle buone regole del mercato e degli affari. Il tesoro cui guarda Irene è semplicemente l'azienda. La dimensione del cuore, la dimensione affettiva, l’essere tipicamente femminile sembra assente.
E infatti la famiglia di Irene non esiste, se non nella figura di due zie, la zia di successo e la zia reclusa in una casa per vecchi. La madre di Irene, morta da tempo sembra semplicemente un fantasma inconsistente, come la casa in cui Irene visse da bambina, un fatiscente palazzo che il destino le pone davanti nella forma di un affare; trasformare il tutto in una serie di mini appartamenti.
Ma è proprio in questo momento che la storia conosce il primo sussulto, che prende con chiarezza forma il racconto. Irene visita la casa e in questa casa fa un incontro decisivo, l'incontro che le restituisce lentamente “il sangue”, la vita. Si chiama Benny è una monella intelligente che appare e scompare, piena di domande, piena di provocazioni. Inizia in tal modo per Irene un viaggio alla scoperta di se stessa, del suo passato, di sua madre. Una madre che per anni era stata considerata pazza e aveva vissuto reclusa nel magico mondo della propria stanza. Una madre che la “zia buona” di Irene, ricorda con amore e devozione. Il mondo misterioso della madre di Irene comincia a farsi largo nella realtà stabilita e nei gesti convenzionali e artificiosi che per anni Irene ha compiuto meccanicamente.
Una maschere cade e la protagonista comincia a cambiare, ora scopre di assomigliare a quella madre, piena di fantasia e di poesia, di mistero e follia. Forse “la follia” della ricerca del senso e della verità, dell'umanità e degli incontri genuini. Quella dimensione più vera ed in definitiva più umana, che Irene non aveva sino a quel momento mai vissuto. La bimba amica proietta Irene in un mondo sconosciuto, fatto di emarginazione, povertà, dolore. Per questa via si affaccia la figura di un prete, un giovane prete che si impegna giorno per giorno a dare il proprio piccolo contributo. Le trame che il destino traccia, il senso degli incontri che a volte sfugge disegnano via via una nuova Irene. E’come se i suoi occhi si fossero aperti su di un mondo altro, più vero, come se i colori rivelassero le potenti contraddizioni del vivere e bruciassero dentro l'anima. Il cuore della giovane e avvenente manager dilata, diventa un cuore di carne, un cuore sacro.
La bella protagonista della storia attraverso questo mutamento si sente diversa e quello che un tempo sembrava essere tutto, diventa niente. Il senso del tempo muta, si espande, non appare più compresso dentro scadenze imposte da un presunto dovere; la logica del comando si trasforma e diviene logica dell'ascolto e del dono.
Anche Irene dunque, sembra afferrata dalla pazzia delle femmine di famiglia, una pazzia tutta tesa verso l'oltre, verso l'essenziale. Irene si allontana dal suo mondo e cerca Benny, la cerca proprio mentre il destino gioca la sua ultima tragica e beffarda carta. La fanciulla, “la sua guida”, come se avesse assolto al ruolo di un copione insensato, non c'è più, muore. Quasi la vita, la gioventù, un domani carico di giorni non contasse, perché oramai conta soltanto la logica scandalosa del cuore, la logica della spogliazione di se, la logica della croce. Irene vuole tutto, vuole corrispondere al destino che le è stato assegnato, ha scoperto la vita, ora deve abbandonare ogni residuo di passato, deve compiere la follia dell'abbandono dell'uomo vecchio per far posto all'uomo nuovo. Il prete la guarda attonito, quasi si sentisse giudicato, lui, che pure è un ottimo cristiano, lui che ha fatto della vita etica un perno della propria esistenza. Ma Irene vuole di Più, vuole il salto della fede.
Con una suggestiva scena che rinnova il gesto di S. Francesco, Irene si spoglia. Lungo la banchina del metrò, ogni indumento cade, il mondo le vortica attorno e la casa che doveva essere l’ultimo buon affare di “famiglia” diventa luogo di accoglienza per poveri e sbandati. Questo il film di Ferzan Ozptek premiato con due David di Donatello. Un film che provoca e lascia un sapore agrodolce nel cuore, un film che rinnova la possibilità e lo scandalo di una fede radicale. Film carico di simboli, metafore, provocazioni profonde ben supportato dalla colonna sonora e dalla magistrale interpretazione di Barbora Bobulova.