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Perchč non possiamo dirci cristiani a metą
Di Giuliano Guzzo - 21/10/2010 - Attualitą - 1208 visite - 0 commenti

Ho letto con attenzione l’analisi sull’essere cristiani proposta sulle pagine di Vita Trentina di questa settimana da Piergiorgio Cattani. Ora, pur non avendo la Sua competenza, mi sento tuttavia in dovere di esprimere alcune considerazioni, in particolare per i concetti ivi espressi. Nell’articolo in questione, l’Autore, registrata l’odierna impossibilità di “capire effettivamente quali siano le verità di fede che un cristiano deve credere per essere tale e quali siano i comportamenti morali caratteristici di un credente in Cristo”, sostiene che sia un "bene" che le convivenze ed i rapporti pre-matrimoniali siano diffusi , che non si parli più dell'Inferno, e conclude la sua disamina scrivendo che “nei comportamenti dobbiamo mettere al primo posto” l’amore di Gesù Cristo. Bene. Però c’è un problema: perché mai, tanto più se possiamo vivere l'amore come ci pare, dovremmo mettere al primo posto quello di Gesù Cristo e non quello, mettiamo, d’un Buddha o di un Maometto? Perché il Nazareno dovrebbe quindi apparirci più credibile di altri profeti? Quale fondamento ha la Sua testimonianza?

Molto banalmente credo che la parola magica – peraltro mai ricordata nell’analisi di Cattani - per rispondere a questi interrogativi altrimenti inevasi, sia una: Risurrezione. "Possiamo essere”, diceva Karl Barth, “protestanti o cattolici, ortodossi o riformati, progressisti o conservatori. Ma se vogliamo che la nostra fede abbia fondamento, dobbiamo aver visto e udito gli angeli presso il sepolcro spalancato e vuoto”.  Il punto, a mio modesto avviso, è che oggi la Fede nella Risurrezione di Cristo come Evento latita persino in molti che si dichiarano credenti. E se manca questa Fede, in effetti, ogni condotta proposta dal Vangelo e rilanciata dal Magistero diventa, a seconda dei casi, prescrizione, divieto oppure ordinaria questione di coscienza. Se manca la Fede la castità pre-matrimoniale diventa un assurdo, perché la scommessa d’amore che richiede si fa enorme, soffocante, illogica; se manca la Fede il celibato dei sacerdoti diventa anacronistico, l’aborto un dramma da non condannare, la confessione una pratica ridicola e via di questo passo.

Sganciati dalla Verità di Cristo Risorto, cioè, siamo davvero impossibilitati a comprendere fino in fondo “quali siano i comportamenti morali caratteristici di un credente”. E piombiamo, va da sè, nel relativismo. Ma dopo averci creati, Dio non ci ha lasciati soli. Anzi: ci ha donato Suo Figlio. Dimenticare la forza di questo Amore che, calandosi nella Storia, l’ha illuminata come mai prima sarebbe un errore. Così come sarebbe un errore, dinnanzi all'immoralità diffusa, sperare che sia il Magistero ad aggiornarsi al posto nostro, che, duemila anni dopo, forse siamo ancora troppo smarriti e increduli davanti a Cristo; un po' come gli apostoli prima della Risurrezione. Mentre, invece, dovremmo acquisire la consapevolezza del peccato e sforzarci di più, fino ad aprirGli, anzi spalancarGli, com’ebbe a dire Giovanni Paolo II, le nostre porte. Senza aver paura di nulla, tanto meno di eventuali, mondane incomprensioni:” Beati voi quando vi insulteranno, vi perseguiteranno e, mentendo, diranno ogni sorta di male contro di voi per causa mia "(Mt 5,3).

 
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