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Negli anni di Seminario avevo appeso al muro un’immagine del Card. Newman. Francamente non ricordo chi me l’avesse regalata o dove l’avessi, eventualmente, recuperata. Eppure ogni anno, nel cambio di camera com’era abitudine nel Seminario di Bologna, quell’immagine resisteva.
Ora, mi par di capire meglio perché conservassi e l’appuntassi a quelle silenziose pareti come una medaglia sul petto. Mi affascinava quell’anglicano divenuto cattolico. La sua non fu una conversione tout court, ma dalla fede cristiana della confessione anglicana alla piena adesione al cattolicesimo. La sua vicenda mi sembra costituire una prospettiva interessante per riflettere sull’ecumenismo.
Durante gli anni della mia formazione, l’incontro delle confessioni cristiane, secondo una visione ecumenicamente corretta, si risolveva nell’incontro stesso, nello stare insieme, nel pregare l’unico Dio, ma ognuno in definitiva il proprio. Similmente erano pensati i rapporti interreligiosi. Come se non ci fosse bisogno di annunciare una verità perché ciascuno ha la sua verità.
La dignità delle varie chiese cristiane (persino di altre religioni) era (ed, erroneamente, ancora, è) la medesima che si attribuiva alla Chiesa Cattolica. L’idea di fondo era che la Chiesa è una realtà, sì divina, ma inevitabilmente legata a condizionamenti storici e umani, per cui si potrebbe dire che in tutte o in ogni caso almeno in molte sussiste l'"unica Chiesa di Cristo".
Un ecumenismo che ha queste basi inevitabilmente si riduce alla ricerca del riconoscimento reciproco perché ciascuna chiesa conserva frammenti della verità cristiana. La confessione evangelica, ad esempio, è maestra nelle Scritture, quella ortodossa ha sviluppato la dimensione trascendente, quella cattolica la dimensione istituzionale e sacramentaria.
L'ecumenismo sarebbe un incontro rassegnato ad affermare che la verità di Cristo è di tutti e di nessuno perché ultimamente Dio non può appartenere a qualcuno, in particolare. Il Concilio VaticanoII ha creato confusione nella Costituzione Dogmatica Lumen Gentium quando afferma che la “Chiesa sussiste nella Chiesa cattolica, governata dal successore di Pietro e dai vescovi in comunione con lui”.
Per alcuni teologi, sussiste non vuol dire “è” in maniera esclusiva. Era come non fosse chiaro che ci si stava preparando ad adorare e servire Dio nella sua vera e unica Chiesa. Le confessioni cristiane godevano del medesimo status di quella cattolica.
Quell’immagine raffigurante un raggrinzito cardinale, così mite e inerme, costituiva una sorta di resistenza inconsapevole. L’occasione della beatificazione dà ragione a quella piccola e segreta ribellione e me ne offre di nuove per capire, ora, chi fosse quella pallida, luminosa figura di pensatore cattolico. “Dall’ombra e dall’immagine alla verità” così ha voluto fosse scritto sulla sua lapide. Newman, come dice il bel testo di Gulisano, è stato un cercatore di verità.
L’ecumenismo che si è dato appuntamento nella vita secolare di questo figlio della Londra vittoriana, figlio di un banchiere fallito, non è stata un vago, quanto vanitoso, incontro di idee, pensieri, teologia, fede diverse che amano dirsi reciprocamente “sei bello come sei”.
J. H. Newman, prete profondamente innamorato dell’anglicanesimo al punto da scrivere dei trattati per rifondarne le ragioni, professore di Oxford tra i più apprezzati del Regno Unito, divenuto sacerdote cattolico nella Congregazione di S. Filippo Neri, non ha lasciato che la tolleranza e il fair play ecumenico si sostituissero al vero. E’ andato a fondo usando ciò che Dio dà come mezzo per ricercare ciò che è: la ragione.
Studioso dei Padri della Chiesa, ossia di quel periodo in cui la Chiesa pensava la fede in modo unitario, Newman viene dai Padri preso per mano e condotto fuori dalle ombre dell’anglicanesimo per andare incontro alla luce, allo splendore della verità. Il suo passaggio alla piena comunione con il Papa e con la fede di sempre desterà sgomento e stupore.Sgomento perché non era preventivabile nella terra europea più avversa al Papa che la fede cattolica, dopo secoli di oblio – da quando cioè i capricci di un Re era diventato dogma di fede - potesse suscitare ancora un’attrazione così viva. Stupore perché a convertirsi non era uno del popolo, ma un intellettuale di rango. Gulisano indugia così sugli aspetti che rendono così significativa questa beatificazione e per cui vale la pena conoscere bene questo gentile, ma tutt’altro che imbelle pensatore.
La prima è la ragionevolezza del cristianesimo. L’annosa questione relativa al rapporto tra scienza e fede è in Newman singolarmente semplificata. La fede cattolica è ragionevole.
Nel suo Grammatica dell’assenso, definisce le basi ragionevoli - la grammatica appunto - su cui è possibile affermare la propria fede. Se la fede è, dunque, accessibile alla ragione, vuol dire che l’uomo che crede è pienamente uomo. E’ l’uomo non credente, non l’inverso, a usare non adeguatamente la sua ragione e quindi a censurare la propria umanità.
Per questo, per Newman, la forma più aggressiva contro l’uomo è il nichilismo, ossia il ritenere impossibile alla ragione, pertanto inutile, la ricerca della ragione del senso dell’esistere. La seconda è la tolleranza relativistica che ignora, cioè, l’esistere di una verità. In occasione dell’investitura cardinalizia scriverà: “mi compiaccio che fin dall'inizio mi sono opposto ad una grande sciagura. Per trenta, quaranta, cinquant'anni ho cercato di contrastare con tutte le mie forze lo spirito del liberalismo nella religione. Mai la santa Chiesa ha avuto maggiore necessità di qualcuno che vi si opponesse più di oggi (…) Il liberalismo in campo religioso è la dottrina secondo cui non c'è alcuna verità positiva nella religione, ma un credo vale quanto un altro, e questa è una convinzione che ogni giorno acquista più credito e forza. È contro qualunque riconoscimento di una religione come vera. Insegna che tutte devono essere tollerate, perché per tutte si tratta di una questione di opinioni. La religione rivelata non è una verità, ma un sentimento e una preferenza personale; non un fatto oggettivo o miracoloso”.
E invece, proprio la verità è l’esigenza della ragione che non sopporta che tutto, cioè in definitiva niente, sia verità. Questo mite guerriero del pensiero, avversario indomito delle ideologie contemporanee, è lo stesso il cui motto cardinalizio recita “Cor ad cor loquitur” cioè non l’affermazione di una verità altrettanto ideologica, ma di una verità che si fa incontro e di un incontro che suscita il desiderio di sé. Infine è lo stesso che divenendo cattolico si chiede quale carisma più gli corrispondesse. I Domenicani il cui ideale è veritas o i gesuiti avvezzi alle controversie intellettuali?
Sarà San Filippo Neri con la sua intuizione della gioia ad avvincerlo. “ La gioia - dirà più tardi un discepolo di Newman, JFK Chesterton, passato dall’ateismo al cattolicesimo - è il gigantesco segreto del cristiano”. La letizia frutto della verità, cercata, trovata e affermata, è l’evidenza della sua santità.