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Chi oggi visita san Giovanni Rotondo fa un po’ di fatica a ritrovare lo spirito del santo, padre Pio, che vi visse lasciando una impronta fortissima sulla gente e sul territorio. Perché è anzitutto sopraffatto da una mastodontica costruzione pagana, la chiesa nuova, progettata dalla star Renzo Piano, senza un benché minimo afflato religioso (ma con notevole spesa). Eppure i segni del passaggio del santo si trovano.
All’entrata del paese vi è infatti un ospedale immenso, gigantesco, certamente sproporzionato per il paese in cui sorge: è la “Casa sollievo della sofferenza”, che fu voluta proprio da padre Pio, e che è oggi all’avanguardia in molti campi della ricerca, in Italia e non solo. Attualmente il direttore scientifico è quell’Angelo Vescovi, insigne scienziato italiano noto nel mondo per le sue ricerche sulla cellule staminali, che ha più volte proclamato di essere un non credente, ma di condividere, da biologo, la posizione della Chiesa sugli embrioni umani. Il visitatore che arriva a san Giovanni Rotondo, alla destra del grande ospedale citato, trova subito, prima della nuova, la vecchia chiesa, ed in essa un confessionale di legno in cui il santo passava gran parte del suo tempo, pregando e incontrando anime assetate, affrante, disperate o felicemente pentite, in cerca di una direzione spirituale…
Quello che manca è un bel colpo d’occhio dell’altare, su cui padre Pio celebrava la sua celebre messa. Eppure Alessandro Gnocchi e Mario Palmaro, nel loro recente volume, “L’ultima messa di padre Pio. L’anima segreta del santo delle stigmate” (Piemme), mettono in luce come proprio la Messa fosse il cuore della spiritualità del santo pugliese. Era lì, in quelle celebrazioni a volte lunghissime, in cui si perdeva in estasi divine, che padre Pio trovava la forza per confessare, per sostenere le tribolazione altrui e quelle della sua vita, causate anche dagli stessi confratelli o dall’accanimento, contro di lui, di alcuni membri della gerarchia (cui egli rimase però sempre obbediente e devoto).
Palmaro e Gnocchi, che hanno avuto occasione di accedere, oltre che al materiale già noto, anche ad archivi sino ad ora inesplorati e preziosi, portano il lettore a penetrare nella spiritualità del santo che portò nel suo corpo, per ben cinquant’anni, le stigmate. Cioè i segni della passione di Cristo. Proprio la sua sofferenza, il suo essere anche fisicamente un altro Cristo, il suo sacrificarsi ogni giorno per la salvezza dell’umanità, hanno fatto di padre Pio il santo che da una parte volle a tutti i costi lenire i dolori di tanti malati, facendo costruire la “Casa del sollievo della sofferenza”, dall’altra il sacerdote che forse più di ogni altro ha penetrato in profondità il senso della messa, intesa non come semplice memoriale, né come mera mensa, ma anche come rinnovazione incruenta del sacrificio della croce.
Mentre celebrava l’Eucaristia, padre Pio saliva veramente, in modo miracoloso, sul Calvario, partecipando nella sua carne ai patimenti di Cristo, e offrendoli per l’umanità. Egli era solito sostenere che “il mondo può stare anche senza il sole, ma non senza la santa messa”, per ricordare ai fedeli che solo il sangue di Cristo lava le nostre colpe, e che prendendo ogni giorno la sua croce, con fiducia, il cristiano diviene veramente seguace del suo maestro. Chi osservi oggi qualche fotografia di padre Pio mentre celebrava, noterà senz’altro lo sguardo dolce e concentrato, serenamente estatico e pieno di tenerezza, con cui il santo guardava l’ostia e il calice. Oggi, sostengono Palmaro e Gnocchi, l’idea di messa di padre Pio è andata in gran parte perduta: alla vita intima dello spirito, alla liturgia divina, all’idea che è Cristo che salva l’uomo salendo sulla croce, molta teologia e molta prassi degli ultimi decenni hanno contrapposto la concezione secondo cui il sacerdote altro non è che un presidente d’assemblea, un organizzatore, un uomo che, come i pastori protestanti, guida la comunità nel ricordo dell’ultima cena, attraverso le letture sacre.
Questo, ovviamente, ha portato ad uno scadimento della liturgia, ad una desacralizzazione della messa, che ha perso spesso la sua capacità di manifestare il divino. I due autori notano inoltre che la morte del santo si colloca nel 1968, epoca di grande crisi della fede e della società. Padre Pio può allora essere visto dal credente come un crocifisso che carica su di sé il male del mondo, come una barriera che si oppone al dilagare del male con la forza della sua santità. Alla sua morte, però, la catastrofe travolge l’Occidente: droga, immoralità, piombo ed odio uccideranno anime e corpi e all’umanità assetata verranno proposti nuovi idoli, mentre verrà tolto un segno divino che aveva parlato a milioni di persone e che con la sua storia continua a ricordare ai credenti che per i nostri tempi Dio aveva scelto un santo sofferente, confessante, orante. Il Foglio, 7/10/2010