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C’è un uomo che è divenuto un mito, una leggenda. Che ci guarda ogni giorno da magliette e gadget vari, in quasi tutto il mondo. Che ha un volto bello, virile, e duro. La cui fama è stata garantita da un miliardario italiano che voleva divenire anch’egli ispiratore di guerriglie rivoluzionarie, e che ne ha diffuso una foto, destinata a divenire leggendaria.
Il suo nome è Ernesto Che Guevara. Il suo merito, aver contribuito al trionfo, in Cuba, di una feroce dittatura, ereditaria (dopo Fidel Castro, Raul Castro), che persiste da cinquant’anni. Chi era Che Guevara? Un rivoluzionario feroce, dogmatico, che considerava l’Unione Sovietica, i paesi dell’est, Cecoslovacchia, Polonia ecc., un modello di benessere; un ammiratore dello sterminatore Stalin, prima di divenire un seguace entusiasta del più grande massacratore di tutti i tempi, il dittatore cinese Mao Tse Tung.
Il Che fu il primo filocomunista e il primo filosovietico, ben prima di Castro, tra i ribelli cubani, e riempì l’isola di manuali e di tecnici russi; fu l’ uomo che durante la crisi dei missili di Cuba del 1962 sperò ardentemente che potesse scoppiare la guerra mondiale tra Usa e URSS, ritenendo che essa avrebbe sconfitto il nemico americano e portato automaticamente la pace e la giustizia sociale ai popoli. Un uomo che ebbe due mogli e cinque figli, ma secondo la testimonianza di uno di questi, Camilo Guevara, non dedicò loro un solo attimo del suo tempo, intento com’era a cambiare il mondo con le armi.
Che Guevara fu un feroce sanguinario. “Era disumano, un uomo senza sentimenti che in realtà voleva fare solo ciò che aveva occupato tutto il suo tempo: la guerra di guerriglia”: così, dopo aver ricordato le fucilazioni indiscriminate ordinate dal Che a la Cabaña, Juanita Castro, la sorella di Fidel, che fu rivoluzionaria al suo fianco per alcuni anni (Juanita Castro, I miei fratelli Fidel e Raùl, Roma, 2010).
“La sua arroganza e il disprezzo verso gli altri, che considerava inferiori e trattava con i piedi - aggiungeva Carlos Franqui, che fu direttore di radio Rebelde e del quotidiano Revolucion, voci ufficiali della rivoluzione castrista-, erano proverbiali”. E ancora: “Esiste il mito di Guevara, nonostante tutti i suoi insuccessi economici e politici, che contribuirono fortemente alla distruzione dell’ economia e della società cubane” (Carlos Franqui, Cuba, la rivoluzione: mito o realtà, Milano, 2007).
Il Che era un uomo crudele, fanatico, un "dogmatico, freddo, intollerante che non ha nulla da spartire con la natura calorosa e aperta dei cubani", scriveva Regis Debray, un intellettuale francese marxista, che fu amico intimo di Castro e di Guevara, e che venne arrestato insieme a lui in Bolivia, prima di divenire consigliere del presidente socialista Mitterand (Révolution dans la révolution?, Paris, 1967 e Loués soient nos seigneurs, Paris, 1996)
Secondo Alvaro Vargas Llosa (figlio del celebre Mario, che fu sostenitore della rivoluzione cubana), il Che fu il responsabile di centinaia di esecuzioni nel carcere della Cabaña nelle prime settimane di potere; contribuì a consegnare la rivoluzione anti-Batista nelle mani del comunismo, allacciando le relazioni con il regime sovietico, e organizzò i primi campi di concentramento per i prigionieri politici, i credenti e gli “asociali” (tra cui gli omosessuali), creando nello stesso tempo un sistema economico autoritario che andò ben presto in bancarotta. (Il mito Che Guevara e il futuro della libertà, Torino 2007; Enrico Oliari, Pride, 9/2004).
Del resto è stato Guevara stesso a scrivere, in quello che è considerato il suo testamento: “Agirà il grande insegnamento dell’invincibilità della guerriglia…L’odio come fattore di lotta; l’odio intransigente contro il nemico, che permette all’uomo di superare le sue limitazioni naturali e lo converte in una efficace, violenta, selettiva e fredda macchina per uccidere. I nostri soldati devono essere così” (E. Che Guevara, Scritti, discorsi e diari di guerriglia (1959-1967), Torino, 1969).
Così come era lui, capace di condannare a morte su due piedi avversari e talora persino compagni di lotta, e di dichiarare: “Prendete un fucile e sparate alla testa di ogni imperialista che abbia più di quindici anni". (Massimo Caprara, già segretario di Palmiro Togliatti, Il Timone, luglio-agosto 2002).
Per giudicare Che Guevara non importa dunque quanto fosse giusta la sua denuncia delle colpe del capitalismo e degli Usa! Importa che la soluzione da lui scelta era sicuramente folle, sanguinaria: l’odio, la dittatura, il totalitarismo comunista, in stile stalinista o maoista! Soleva dire, lamentandosi con molti compagni rivoluzionari cubani non comunisti o addirittura anticomunisti: “Appartengo a coloro che credono che la soluzione dei problemi di questo mondo si trovi dietro la cortina di ferro” (Antonio Moscato, Che Guevara, Teti, Roma, 1996).
Dietro quella cortina, il Che andò, e ne rimase entusiasta, ma oggi tutti noi sappiamo quello che c’era davvero! Sappiamo anche cosa c’è oggi, a Cuba, dopo tante promesse: “Senza i beni di base provenienti dagli yankees e da altri occidentali (tra cui in prima fila anche noi italiani) i cubani sarebbero alla fame. Sotto il velo di una propaganda in cui nessuno crede più, la vita quotidiana di Cuba è quella di un paese che non produce quasi nulla. E quindi deve importare il necessario, compresa la frutta tropicale surgelata servita nei paladares… Sullo sfondo dell’eroica rivoluzione contro Batista e delle grandiose ambizioni geopolitiche del carismatico Fidel, questa Cuba immiserita e sopravvivente, cucita su misura di turista (sessuale, non più ideologico) sembra rassegnata a recitar se stessa” (Lucio Caracciolo, sul settimanale di sinistra L’Espresso 1/1/2009).
Il fallimento dell’ ideologia comunista è ormai sotto gli occhi di tutti, in tutti i paesi ex comunisti ed anche a Cuba (si veda anche intervista ad Alina Castro, figlia ribelle di Fidel fuggita da Cuba, su Corriere 17/11/2006). E’ dunque ancora possibile portare la maglietta del Che? E’ ancora lecito considerarlo un eroe ed un modello, come fecero anche le Br italiane, dopo che persino uno scrittore graniticamente comunista, e amico di Castro, come Josè Saramago, dopo la durissima e sommaria condanna di 79 dissidenti cubani, ebbe a dichiarare: “Fino a qui sono arrivato. D'ora in poi Cuba seguirà la sua strada e io la mia” (la Repubblica, 17/4/2003)?
Forse è il caso di rimuovere un idolo. Di rivisitare una mitologia.
Ma soprattutto di tributare onore e ammirazione ad altri, che della rivoluzione cubana del Che e di Castro sono, ancora oggi, le vittime! Il nostro eroe, allora, che vogliamo ricordare nella preghiera e sulle magliette, non è un guerrigliero, né un fanatico dell’ideologia. E’ un cattolico, un nero, un medico che crede nella dignità della persona: per tutti questi motivi, è un perseguitato.
Il suo nome è Oscar Elias Biscet. Per Amnesty International, Human rights first, Freddom now, per migliaia e migliaia di cubani, è un “prigioniero di coscienza” e un vero eroe.
Biscet è nato all’Avana, nel 1961. Nel 1985 si è laureato in medicina, per poi creare, nel 1997, la fondazione Lawton per i diritti umani: tra questi egli pone, al primo posto, il diritto alla Vita. Diritto alla vita violato costantemente in un paese in cui esistono la pena di morte per i nemici politici; in cui organismi governativi sostengono la liceità della clonazione umana cosiddetta “terapeutica”, contro l' “atteggiamento oscurantista”, a loro dire, di chi si oppone; in cui esiste l’aborto forzato, per motivi di ricerca medica, e il tasso di abortività è circa 5 volte quello italiano; in cui l’uso del farmaco Rivanol come abortivo determina il fatto che nel caso di fallimento, cioè in un’alta percentuale, il bambino viene ucciso (infanticidio) per soffocamento, per emorragia, tagliando il cordone ombelicale, o lasciandolo morire senza assistenza; in cui il turismo sessuale, anche pedofilo, che è per molti cubani e cubane l’unico modo per sopravvivere, porta ad una tasso altissimo di aborti e di aborti su giovanissime!
In un paese in cui embrioni e feti sono spesso utilizzati e uccisi a scopo di ricerca, nel più perfetto stile nazi-comunista, a vantaggio di persone provenenti dai paesi più ricchi (il turismo medico, accanto a quello sessuale; vedi le testimonianze di medici cubani come Hilda Molina, Julian Alvarez, José Luis García Paneque…).
Per la sua battaglia “contra del aborto, eutanasia y el fusilamiento”, cioè a favore della vita dei più piccoli, contro il degrado umano, contro la pena di morte e la tortura per i dissidenti e contro l’eutanasia, praticata su malati poveri, che si rivelano un peso economico, Biscet è stato aggredito, picchiato, additato come pazzo. Poi allontanato dal suo lavoro, rinchiuso in galera dal 3 novembre 1999 e al 31 ottobre 2002 con l’accusa, fasulla, di “insulti ai simboli della patria”, “pubblico disordine” e “incitamento a commettere crimine”.
Nel 2003 Biscet è stato nuovamente condannato, questa volta a 25 anni di prigione: oggi giace nella stessa isola in cui sorge Guantanamo, in condizioni terrificanti e disumane (ben descritte da prigionieri cubani come Armando Valladares, autore di Contro ogni speranza. 22 anni nel gulag delle Americhe dal fondo delle carceri di Fidel Castro, SugarCo 1985, Spirali 2007, e Pierre Golendorf, autore di Un comunista nelle prigioni di Fidel Castro, SugarCo 1978).
Prigioni in cui, secondo le Nazioni Unite, avvengono: “Isolamenti in stanze fredde; perdita del controllo di tempo e spazio; immersione in pozzi neri; intimidazioni coi cani; simulazioni di esecuzioni; botte ai reclusi; lavori forzati; confinamento per anni in prigioni chiamate ‘cassetti’; uso di altoparlanti con rumori assordanti durante gli scioperi della fame; spersonalizzazione del detenuto mediante totale nudità in celle di castigo; soppressione di acqua ai prigionieri dichiarati in sciopero della fame; presentazione del recluso nudo davanti ai familiari per obbligarli ad accettare il piano di riabilitazione politica…”.
Secondo Human rights first, Oscar Biscet soffre di “gastriti croniche e ipertensione”, e ciononostante è confinato in celle solitarie, talora sotterranee, o con “violenti criminali”. Inoltre è privato per lunghi periodi della possibilità di comunicare, di ricevere visite o medicazioni. La sua cella è senza finestre, senza bagno, umida, sporca, infestata dai vermi e senz’acqua. La sua salute è rovinata. Ha perso quasi tutti i denti, ma non il coraggio. Manda a dire ai suoi sostenitori: “La mia coscienza e il mio spirito stanno bene”. Biscet è forse, vista la lunghezza della sua pena, il massimo prigioniero di coscienza oggi al mondo.
Lo chiamano anche il “negro olvidado” (il “negro dimenticato”).
Noi, invece, vogliamo ricordarlo e chiederne la liberazione.
La maglietta è disponibile sul sito www.fedecultura.com
Per contatti: biscetlibero@tiscali.it
Firmatari:
Francesco Agnoli, presidente Medv (Movimento Europeo Difesa Vita); Luigi Amicone, direttore del settimanale “Tempi”; Elena Baldini, Assistente Pastorale per la Vita; Giampaolo Barra, direttore del mensile Il Timone; Toni Brandi, presidente Laogai Research Foundation Italia; Carlos Carralero, rifugiato politico cubano, ha fondato "L'Unione per le Libertà a Cuba"; Giovanni Ceroni, responsabile Giovani Federvita Piemonte; Pucci Cipriani, giornalista; Roberto de Mattei, storico, presidente della Fondazione Lepanto; Renato Farina, scrittore; Giuliano Ferrara, direttore del quotidiano Il Foglio; Giuseppe Garrone, fondatore del numero verde SOS Vita (8008/13000), cofondatore del Progetto Gemma e riscopritore della Ruota degli esposti (1992); Antonio Gaspari, direttore editoriale L'Ottimista; Silvio Ghielmi, cofondatore e per anni gestore del Progetto Gemma del MpV; Federico Iadicicco, consigliere provincia di Roma; Mario Mauro, presidente PPE al Parlamento Europeo; Giorgia Meloni, ministro della Gioventù; Andrea Morigi, giornalista; Mario Palmaro, filosofo del diritto e giornalista; Massimo Pandolfi, giornalista e scrittore; Antonio Socci, giornalista e scrittore, Luca Teofili, presidente associazione romana Archè; Giovanni Zenone, direttore di Fede & Cultura
Magdi Cristiano Allam, Europarlamentare e presidente del movimento
politico "Io amo l'Italia".
Lorenzo Fontana, Europarlamentare