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Guardatele bene, queste foto. Sono la prova inconfutabile della violenza, rigorosamente taciuta o comunque minimizzata dai mass media, con la quale la polizia polacca è intervenuta per impedire a dei cittadini di Varsavia, molti dei quali, per di più, anziani e dunque del tutto innocui, di continuare a recarsi in preghiera alla croce di legno costruita dagli scout, eretta davanti al palazzo presidenziale di Varsavia all’indomani della catastrofe di Smolensk e divenuta presto il simbolo di una nazione ferita ma decisa a non mollare. Nel segno della croce.
Sarebbe interessante capire dov’era, durante quegli scontri, l’Europa dei diritti umani e individuali. E, soprattutto, dov’erano i giornalisti, italiani in primis. Ricordate? Ci hanno seviziato per mesi raccontandoci tutto su Noemi e Patrizia D’Addario, e ora che potevano finalmente dare una svolta alla loro carriera con uno scoop – perché la polizia che carica, talora a suon di lacrimogeni e manganelli, dei cittadini inermi è indubbiamente uno scoop - se lo sono lasciati scappare. A dire il vero, il Corriere della Sera la notizia l’ha data: duemila, generiche battute pubblicate a pagina 14 il 13 agosto scorso, mentre gli scontri, documentati da queste foto, risalgono a dieci giorni prima, martedì 3 agosto. Ritardo assai singolare, per un giornalismo abituato a tuffarsi sulle notizie alla velocità della luce.
Ad ogni modo, questi, in breve, i fatti: Bronislaw Komorowski, appena eletto presidente, inaugura il suo mandato con discorso dai toni giacobini e, ricordando la laicità della Polonia, fa capire che i simboli religiosi, nei luoghi pubblici, a suo dire non posso starci. L’allusione, nemmeno troppo velata, è naturalmente alla croce dei scout. Gli animi allora si scaldano e si verificano, nella più totale indifferenza dei paladini europei della libertà, i gravissimi scontri qui documentati. A quel punto il vescovo di Varsavia, per tentare una mediazione che contemperi le istanze presidenziali con i desideri di quanti, a quella croce, si sentono fortemente legati, propone un pellegrinaggio con la croce da concludersi con la consegna del prezioso simbolo in chiesa.
Siccome i laicisti non mancano nemmeno in Polonia, si fanno vivi e plaudono alla proposta del Vescovo con lo slogan "Do kosciola!", cioè "In chiesa!", convinti che un simbolo religioso in un luogo pubblico sia, a prescindere, inquinamento urbano. Ma gli abitanti di Varsavia, della mediazione al ribasso proposta dal vescovo e accolta con favore dagli amici laici, non ne vogliono sapere. Per loro quella croce è un simbolo troppo importante per essere rimosso, perché il ricordo della morte Presidente Lech Kaczynski e di altre 95 persone, dicono, è una pagina tragica che non può e non deve essere cancellata.
A tutt’oggi c’è ancora, dopo settimane, un gruppetto stabile di persone che, armato di sedie pieghevoli e di infinita pazienza, presidia la croce. Qualcuno li ha ironicamente ribattezzati i “nuovi crociati”. Fatto sta che - come dimostrano queste immagini gentilmente forniteci da Roberto Marchesini, che conosce bene la Polonia e che ha potuto renderci partecipi di un fenomeno che, altrimenti, avremmo ignorato – si sono già dovuti subire, alla faccia della democrazia, violente cariche della polizia. Per giunta nella più totale indifferenza di quanti – e son parecchi - hanno trascorso l’estate all’oscuro di questa lotta commovente. Ancora in corso.