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Intervista sulla Polonia. Parla lo psicologo Roberto Marchesini
Di Giuliano Guzzo - 25/08/2010 - Interviste di Liberta e Persona - 1967 visite - 0 commenti

La parentela tra psicologia e sociologia è nota, come dimostra la propensione – basti pensare, su tutti, ad Alberoni – di molti sociologi ad occuparsi di dinamiche individuali e, dunque, primariamente psicologiche. Non deve dunque meravigliarci bensì incuriosirci quando  uno psicologo, senza pretese di esaustività, si cimenta nel tentativo  di raccontare un cambiamento, più che individuale, collettivo. Se poi questo psicologo si chiama Roberto Marchesini, possiamo stare tranquilli perché la chiarezza e la capacità nel raccontare ciò di cui è testimone, come dimostra lo stile con cui redige i suoi libri, soddisferà al meglio ogni nostra curiosità. Lo abbiamo contattato e lui, reduce da un soggiorno polacco – l’ennesimo - non ha resistito alla tentazione di raccontarci le sue impressioni sulla Rzeczpospolita Polska dove si reca per circa un mese, ormai da anni. 

Dottor Marchesini, benché accomunati della comune parentela europea, i mass media italiani non sono soliti, se non in casi eccezionali – come catastrofe di Smolensk, costata la vita al presidente Lech Kaczynski e altre 95 persone - riferirci notizie dal fronte polacco. E dato che spesso e volentieri, per via di un ormai ricorrente cortocircuito mediatico, sono proprio le notizie vere quelle che ci vengono negate, Lei che è recentemente stato in Polonia, potrà toglierci la curiosità: che cosa ci stiamo perdendo? Credo che la Polonia stia attraversando un periodo drammatico dal punto di vista identitario, culturale e religioso. Sono impressionato dalla velocità di questo cambiamento che vedo anno per anno svolgersi davanti ai miei occhi. Sembra di vedere un film con una sceneggiatura ben precisa e definita. La mia impressione è che l'Occidente (passatemi il termine) non abbia mai avuto, negli ultimi trent'anni, una immagine reale di questo paese; e che si stia perdendo un esperimento sociale che potrebbe aiutare a capire meglio anche la nostra realtà italiana.

Con i suoi vent’anni, la democrazia polacca è tra le più giovani d’Europa. Risale infatti al 1990, quando Lech Wa³êsa divenne il primo presidente eletto, il riconoscimento di quei diversi diritti civili e umani ritenuti fondamentali, primi fra tutti tra la libertà di parola e la democrazia. Oggi come sta la democrazia polacca? E’ in salute oppure, come la nostra, patisce un progressivo allontanamento tra popolo, giovani in particolare, e istituzioni? Sulla questione posso esprimere soltanto il mio personale pensiero. I polacchi non erano abituati alla democrazia, ma si sono abituati in fretta, credo a causa del loro profondo senso civico e nazionale. La mia impressione è che la rivoluzione iniziata nell'89 stia giungendo a compimento, e che forze che potremmo chiamare (con una brutta espressione) “poteri forti” stiano per raggiungere i loro obiettivi. A questo punto la democrazia non gli è più utile, e stanno cercando di distruggere il senso nazionale polacco.

Nel quadro europeo la Polonia è nota per essere un Paese di lunga tradizione cattolica, una sorta di eccezione permanente, di schiaffo alla secolarizzazione. Per quanto ha potuto constatare, è ancora così oppure, anche da quelle parti, iniziano a farsi strada tendenze laiciste?  Vorrei proporvi tre “quadri” che spero possano dare un'idea della situazione. Il primo. Ogni anno, ad agosto, ogni parrocchia della Polonia organizza un pellegrinaggio a Czêstochowa, a piedi. Alcune parrocchie impiegano tre settimane. Partecipano sacerdoti, religiosi, giovani, anziani, bambini... l'arrivo dei pellegrini al santuario di Jasna Góra è uno spettacolo davvero commovente. Arrivano in migliaia ogni giorno, sporchi, sfiniti, con i piedi piagati, spesso dopo giorni di cammino sotto la pioggia. Ma entrano in città ballando e cantando. Giunti davanti al santuario tacciono e si inginocchiano davanti ad una statua della Madonna. Poi si mettono in coda per passare per pochi secondi davanti alla famosa Madonna Nera. Alcuni contano più pellegrinaggi degli anni che hanno: il primo l'hanno fatto nella pancia della mamma; molti fidanzati fanno insieme il pellegrinaggio e compiono l'ultima tappa vestiti per il matrimonio, che viene celebrato in chiesa dai padri Paolini; spesso tutte le ferie dell'anno vengono impiegato in questo modo, pregando e camminando; molti polacchi, anche poveri, offrono alloggio e il loro cibo ai pellegrini che passano davanti alla loro casa. Molti religiosi dicono che non hanno mai avuto problemi ad avere nuove vocazioni: moltissimi giovani, dopo il pellegrinaggio, scelgono la vita consacrata. So che molti italiani, che fanno parte del movimento Comunione e Liberazione, partecipano al pellegrinaggio da Cracovia a Czêstochowa; io stesso ho partecipato all'ultima tappa del pellegrinaggio, insieme ai giovani di alcune parrocchie polacche. Il regime comunista ha tentato per anni di sopprimere il pellegrinaggio: ha addirittura costruito un lunghissimo sottopassaggio che attraversa la città per nascondere l'arrivo dei pellegrini. Ma il pellegrinaggio estivo a Czêstochowa è diventato sempre più importante e partecipato: si può dire che, il 15 agosto, tutta la Polonia è a Jasna Góra. Bene, quest'anno il commento generale è stato “Nessuno partecipa più al pellegrinaggio”. Intendiamoci, è un “nessuno” molto relativo: in Italia una tale partecipazione ad una manifestazione religiosa sarebbe impensabile. Ma l'impressione generale è che i ragazzi, sempre più, se ne freghino del pellegrinaggio, come di altri momenti religiosi e di preghiera che per decenni hanno scandito la vita dei polacchi. Dove ha fallito il comunismo pare stia riuscendo la televisione, la stampa, la musica, internet... Il secondo. Dopo la tragedia polacca il popolo ha reagito in modo per lui consueto: spontaneamente è uscito di casa e si è radunato compostamente, silenziosamente in piazza. Uomini e donne, ragazzi, vecchi e bambini. In poche ore, davanti al palazzo presidenziale, si è formata una fila lunga chilometri che sfilava davanti alla residenza dei Kaczynski: chi lasciava un fiore colto dal proprio giardino, chi un lumino, chi un biglietto... gli scout hanno passato giorni interi, dandosi il cambio, per sostituire i fiori appassiti e i lumini spenti con quelli sempre nuovi che la gente portava. Gli stessi scout hanno anche portato una croce di legno, fatta da loro, che in poco tempo è diventata un segno per tutti. Chi conosce la Polonia non si stupisce di queste manifestazioni spontanee, ma chi non ha mai assistito a questi eventi difficilmente può capire cosa sia un popolo. Bene, il presidente Komorowski, appena eletto, ha dichiarato che la croce portata dagli scout, simbolo del ricordo commosso del popolo polacco, davanti alla quale la gente continuava a portare fiori freschi e lumini, non poteva stare davanti al palazzo presidenziale perché la Polonia è uno stato laico. A questo punto è necessario un piccolo inciso: nei confronti del presidente Kaczynski l'opposizione ha, per anni, usato le armi della denigrazione, della calunnia, del ridicolo. Ha attaccato l'uomo anziché le sue idee. Questo è un atteggiamento non usuale per la cultura polacca, ma questo atteggiamento ha cambiato, probabilmente per sempre, il clima dello scontro politico in Polonia. Dopo la catastrofe di Smolensk questo clima non è si ammorbidito, anzi: nei confronti del presidente defunto e onorato dal popolo è cominciata una campagna denigratoria ancora peggiore, mirante a qualificare l'uomo e a minimizzare la portata della catastrofe aerea nella quale ha trovato la morte. A mio parere, Komorowski, con la sua prima dichiarazione, ha voluto trasformare il conflitto politico in un conflitto religioso, facendo appello ai settori laicisti polacchi (minoritari ma molto influenti). La Chiesa ha cercato una mediazione avanzando una proposta: i pellegrini avrebbero portato la croce da Varsavia a Czêstochowa; e al suo ritorno sarebbe stata accolta nella chiesa di sant'Anna, accanto al palazzo presidenziale. Il popolo, invece, ha reagito di nuovo al solito modo: la mattina della partenza dei pellegrini gli abitanti di Varsavia (nuovamente: di ogni età, professione, livello sociale) si sono stretti in centinaia attorno alla croce, opponendosi fisicamente al suo spostamento. Purtroppo è stato ordinato l'intervento della polizia, con lo scopo di allontanare la gente e rimuovere la croce. Vi assicuro che vedere la polizia polacca usare lacrimogeni e manganelli su anziani con il rosario e piccoli crocefissi in mano è stato un brutto spettacolo. Ovviamente, credo, in Italia nessuno ha visto quelle immagini. Da quel momento – a quanto ne so a tutt'oggi – gli abitanti di Varsavia si sono organizzati in turni per presidiare la croce; qualcuno porta quotidianamente generi di confronto, un piatto di minestra, un po' di cibo per quelli che stanno accanto al crocefisso. Ma adesso viene il bello. Il popolo della croce non è più l'unico rappresentante del popolo polacco; adesso c'è anche il “popolo di facebook”. Tramite questo “social network” decine di ragazzi si sono radunati nella stessa piazza per insultare e denigrare quelli che si erano radunati attorno alla croce per pregare. Alcuni di loro hanno costruito una croce fatta con le lattine della birra Lech, nota marca di birra polacca che casualmente porta il nome del presidente defunto, proponendosi di sostituire con quella la croce degli scout. Questa contromanifestazione, per me, è stata scioccante: il comunismo non era mai riuscito a suscitare sentimenti di denigrazione nei confronti della religione cattolica; i giovani si sono sempre mostrati molto rispettosi nei confronti dei simboli religiosi, della preghiera, del rispetto per i defunti e per la patria. Questi ragazzi, da dove sbucavano? Chi li ha educati? Chi li ha preparati per radunarsi davanti al palazzo presidenziale per urlare volgarità e parolacce davanti a presone raccolte in preghiera? Il terzo ed ultimo quadro. Commentando la questione del crocefisso davanti al palazzo presidenziale in una intervista per il quotidiano “Rzeczpospolita”, monsignor Józef Michalik, presidente della Conferenza Episcopale Polacca, ha parlato esplicitamente di questa minoranza laicista, legata ai poteri forti, che non rispetta i sentimenti del popolo polacco. Nella stessa intervista monsignor Michalik ha citato alcune roccaforti della resistenza cattolica nei confronti di questo attacco e ha citato alcune riviste non legate direttamente alla Chiesa, i movimenti ecclesiali e Radio Maryja del padre passionista Tadeusz Rydzyk. Ossia strumenti pastorali non legati direttamente alle diocesi, alle parrocchie. Eppure la resistenza polacca al regime comunista è sopravvissuta soprattutto al clero diocesano (che ha offerto diversi martiri, tra i quali don Jerzy Popieluszko) e alle parrocchie. Padre Michalik sembra ammettere che le parrocchie e le diocesi hanno cessato di avere, sul popolo polacco, quella funzione di guida e di formazione che hanno ricoperto nei difficili anni del regime comunista.

Anche sotto il profilo economico, la Polonia appare una terra attraversata da notevoli cambiamenti: dopo le liberalizzazioni e l’iniziale tentennamento post comunista, dal ’93 al 2000 si è verificata una crescita mai sperimentata prima in quel Paese culminata, nella primavera del 2004, con l’ingresso dell’Unione Europea. E la crisi? Che effetti sta avendo? Anche in questo caso posso solo presentare il mio personalissimo punto di vista. Io credo che il “miracolo polacco” sia non esclusivamente ma soprattutto di cartone. Percorrendo in automobile le disastrose strade polacche (incredibilmente i governi non sono ancora riusciti a costruire le poche autostrade per i quali i polacchi da decenni pagano fior di tasse ad accise) si vedono le campagne piene di ville immense, non intonacate, con le finestre sbarrate e la scritta “Sprzedam”, vendo. La stessa scritta che si vede attraverso i finestri di BMW o sulle carene di moto sportive parcheggiate davanti a povere casette in legno, (in Polonia, a causa del clima, la moto si può usare poche settimane l'anno). I polacchi hanno comprato – spesso con le rimesse dei figli emigrati – i simboli del benessere occidentale secondo quanto hanno visto sul canale satellitare, ma lo hanno comprato a credito. Ora, a causa della crisi, gli emigranti tornano in patria e le famiglie non sono più in grado di pagare il mutuo. La Polonia si sta riempiendo di centri commerciali mentre i negozi chiudono. Nelle città le uniche attività che aprono sono banche e aziende che rifinanziano i crediti; la disoccupazione è ormai sopra l'11 per cento. La situazione economica delle famiglie rispecchia quella dell'attuale governo: nonostante il parere contrario delle autorità monetarie statali, il premier Tusk ha chiesto per ben due volte prestiti al Fondo Monetario Internazionale. Questo, secondo me, è il quadro dell'economia polacca. Una moneta così debole, poi, dovrebbe assicurare buone esportazioni; eppure i polacchi non producono: comprano (a credito) e basta. Prima o poi questo miracolo di cartone crollerà, e i polacchi si troveranno di nuovo nei guai. La situazione era diversa durante il governo di Kaczynski, che ha cercato di abbassare le tasse, incentivare la produzione e la creazione di aziende e ha ridotto la disoccupazione sotto il 10 %. Le famose liberalizzazioni sono semplicemente consistite in questo: personaggi legati al potere comunista e ai servizi segreti hanno acquistato per pochi z³oty aziende floride, importanti e strategiche, poi smembrate e rivendute ad imprenditori stranieri. Attualmente Tusk intende riaprire una nuova fase di privatizzazioni per tentare di ridurre lo spaventoso debito pubblico; le nuove privatizzazioni riguarderanno la sanità, i cantieri (tra i quali quelli navali di Danzica), le miniere, le banche e le assicurazioni a partecipazioni statali...

Tra Roma e Varsavia ci sono 2000 km, quasi 500 in più di quelli che separano la nostra capitale da quella francese e da quella tedesca. Eppure sono in molti, specie nel mondo cattolico, a sottolineare una vicinanza col territorio polacco molto superiore a quella tra noi ed altri Paesi. Conferma? Confermo. Lo stesso anno in cui ho passato per la prima volta un certo periodo di tempo in Polonia sono stato anche negli Stati Uniti. Negli Stati Uniti conoscevo la lingua, in Polonia no; conoscevo, anche se approssimativamente, la storia, la geografia, la cultura USA, mentre sapevo pochissimo della Polonia; la televisione mi aveva assuefatto al cosiddetto “american way of life”, mentre quel freddo paese ex comunista era per me completamente sconosciuto. Eppure in Polonia mi sono trovato immediatamente a casa (diversamente dagli Stati Uniti). Attenzione: credo che gli italiani abbiano una visione favolistica della Polonia cattolica, di Solidarnosc, del cambiamento avvenuto negli anni '80. Eppure sì: credo che l'Italia e la Polonia siano molto vicine.

Non sono ancora passati sei mesi dalla già citata catastrofe di Smolensk, probabilmente la più grande tragedia occidentale dopo l’11 Settembre. Come Le pare stia reagendo la Polonia? Come ho detto precedentemente, in due modi: da una parte, direi, “alla polacca”, ossia con dignità, rispetto, con un forte senso nazionale; dall'altra parte con un cinismo inedito per questo paese. Politicamente il paese è spaccato radicalmente in due. Le due principali cariche dello stato (Tusk e Komorowski) stanno cancellando tutto ciò che hanno fatto i loro avversari con una semplicità impressionante: modificando le leggi, il consiglio d'amministrazione della televisione pubblica, l'Istituto per la Memoria Nazionale, i poteri monetari sono ora strettamente dipendenti dal parlamento; mentre i gemelli Kaczynski hanno cercato di impedire le carriere di ex membri del regime comunista, ora queste persone vengono inserite in centri di potere nevralgici. Quello che è avvenuto dopo l'incidente di Smolensk, che ha di fatto decapitato la nazione, potrebbe anche essere definito un colpo di stato.

Al termine del suo ultimo viaggio nella sua patria, visibilmente rattristato dalla consapevolezza di lasciare per l’ultima volta la Polonia, Giovanni Paolo II, il 19 agosto 2002, si lasciò andare ad una frase forte:”Odio dover andare”. Anche Lei, che pure non è polacco, ha provato una forma nostalgia (o proverà, se è ancora lì), nel lasciare quel Paese? E se sì, come se lo spiega? Nostalgia è la parola giusta. È la nostalgia per qualcosa che non ho mai vissuto, ma che so che esiste, e per il quale sono naturalmente portato. È la nostalgia per le relazioni umane, per parole come onore, dovere, dignità, per una vita realmente in sintonia con la natura, per donne femminili e felici di esserlo, per uomini virili che vivono la loro forza come un dono da spendere per gli altri, per bambini sporchi e felici, per bambine vestite da bambine e non da cubiste, per un cattolicesimo radicato in ogni gesto, in ogni parola, in ogni atteggiamento, per una vita che non ha senso solo per il denaro che si possiede. Non vorrei che i polacchi, un giorno, debbano avvertire questa stessa nostalgia.

Ultima domanda. Se dovesse fare un accostamento ideale, a Suo dire che cosa manca all’Italia della Polonia, e che cosa alla Polonia del nostro Paese? Insomma, che cosa questi due inquilini europei dovrebbero imparare l’uno dall’altro? Beh, visto che è l'ultima domanda posso anche tentare la battuta: dell'Italia, alla Polonia manca sicuramente il caldo, una lingua comprensibile e la pizza. Della Polonia all'Italia mancano invece molte più cose, e molto più importanti. La Polonia non ha vissuto il cosiddetto '68 (anche se oggi viene travolta dalle conseguenze di quella rivoluzione), e questo, a mio parere, rende la vita in Polonia molto più umana rispetto a quella in Italia.

 
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