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Gli inquietanti elogi dell’Economist per Fini
Di Gianfranco Amato - 18/08/2010 - Politica - 1767 visite - 0 commenti

Da tempo circolano voci su presunte affinità elettive tra il Presidente della Camera Gianfranco Fini e la massoneria.
Qualcuno parla già di un Fini in grembiule.
I più maligni hanno addirittura intravisto un richiamo subliminale nel nome scelto per i nuovi gruppi parlamentari “Futuro e Libertà”.

Troppo simile a “Giustizia e Libertà”, la celebre loggia coperta di piazza del Gesù, destinata a riunire i fratelli più in vista, e che in passato aveva accolto anche l’ex presidente del Senato e senatore a vita Cesare Merzagora, i generali Giuseppe Aloja e Giovanni De Lorenzo, e perfino il ras fascista Giulio Caradonna.
Pare che anche Cuccia, Carli e altre eminenti figure della finanza illuminata abbiano fatto parte della loggia che poi confluì nel Grande Oriente (1973), obbedienza ufficialmente riconosciuta dalla Grande Loggia Unita d’Inghilterra.


Né è passato inosservato il fatto che Fini, nel febbraio del 1995, abbia scelto proprio Londra, e non a caso la Chatam House – vero e proprio santuario massonico dei poteri fortissimi –, per celebrare il proprio autodafé laico, rinnegando le ingombranti origini fasciste e scaricando Benito Mussolini tra i detriti della Storia. Ragionavo su queste circostanze, quando lo scorso 5 agosto ho letto un interessante editoriale dell’Economist intitolato “Signor Fini, where do you stand by?”.


In quell’articolo il Presidente di Montecitorio veniva presentato come «the most able», il più abile dei politici italiani attualmente sulla scena pubblica, un vero «liberal» e, soprattutto, «the most keen to limit the Catholic church’s influence over Italians’ lives». Sì, proprio così, il più determinato a limitare il potere di influenza della Chiesa cattolica sulla vita degli italiani.
Beh, è davvero singolare che proprio l’Economist – prestigiosissimo foglio influenzato dalla massoneria britannica e da Chatham House – si sia sbilanciato in questo modo a favore di Fini.


Le evidenti influenze di loggia sull’Economist, peraltro, sono tali da aver costretto persino un moderato come Pier Ferdinando Casini a denunciare una «manina» della massoneria internazionale dietro gli attacchi violenti condotti contro il Vaticano e la Santa Sede proprio dal quotidiano di St. James’s Street.
Singolare anche che molte delle analisi critiche sulla situazione italiana denunciate da Fini, a partire dalla debolezza culturale della politica («weaknesses in the political culture»), fino alla necessità di limitare l’ingerenza della Chiesa («separation of church and State») corrispondano esattamente alle analisi fatte dall’Economist nel 2007, quando nel formulare l’index of demo cracy ha declassato l’Italia tra le democrazie di serie B, definendola «flawed democracy», insieme a Paesi del Sudamerica e dell’Est Europa.


Anche le posizioni finiane sulla fecondazione artificiale – business attorno al quale, in Gran Bretagna, ruota una girandola di milioni – coincidono esattamente con quelle dell’Economist. Frasi come «le leggi si devono fare senza il condizionamento dei precetti di tipo religioso» (pronunciata da Fini all’incontro con gli studenti di Monopoli del 18 maggio 2009), o «la laicità delle istituzioni significa affermazione chiara del confine che deve separare la sfera privata rispetto a quella religiosa» (discorso al Congresso di AN del 23 marzo 2009), o ancora «la differenza non è tra laici e cattolici, ma tra laici e clericali» (Festa del PD di Genova, 26 agosto 2009), sembrano tratte da un editoriale di John Micklethwait.
Il percorso della conversione laica ed illuminista del Presidente della Camera sembra non tralasciare nessuna delle priorità iscritte nell’agenda politically correct tanto cara alle lobby massoniche.
Coincidenza anche il fatto che l’accusa lanciata a freddo da Fini, nel dicembre 2008, contro i presunti silenzi della Chiesa cattolica nei confronti delle leggi razziali del 1938, abbia rappresentato un altro dei cavalli di battaglia anticattolici dell’Economist.


Se Fini avesse studiato, però, avrebbe saputo che Pio XI è stata la sola personalità pubblica del suo tempo a opporsi apertamente a Mussolini per la sua politica antisemita, arrivando a definire pubblicamente, il 15 luglio 1938, quella politica una «vera apostasia» del cristianesimo. Così come il 21 luglio dello stesso anno, ricevendo in udienza gli assistenti ecclesiastici di Azione Cattolica, il Santo Padre ricordò che «cattolico vuol dire universale, non razzistico, nazionalistico, separatistico», e che le ideologie antisemite finiscono «con non essere neppure umane». Nella storia sono rimaste impresse pure le parole di Pio XI rivolte, il 28 luglio 1938, agli alunni di Propaganda Fide: «Il genere umano non è che una sola e universale razza di uomini. Non c’è posto per delle razze speciali (…) La dignità umana consiste nel costituire una sola e grande famiglia, il genere umano, la razza umana».

 Fini avrebbe dovuto anche sapere che in quegli anni vigeva in Italia un potere dittatoriale che non consentì, attraverso l’uso della censura, la pubblicazione di una serie di articoli di Civiltà Cattolica contro la deriva razzista dell’antisemitismo.
Tornando all’attualità, anche l’ultima boutade goliardica dell’Economist sulla ridefinizione dei confini d’Europa non pare sia stata esattamente compresa nella sua reale portata. Com’è noto, nel recente articolo intitolato “Redrawing the Map” (ridisegnando la cartina), si nota che l’Italia risulta divisa in due all’altezza di Roma, che viene accorpata al sud ed alle isole, per formare una nuova nazione dal nome poco elegante di Bordello. Si è parlato di odioso antimeridionalismo, di volgare disprezzo per il Sud del nostro Paese, di becero leghismo in salsa anglosassone.
In realtà, però, per gli esperti di cose d’Oltremanica è stato subito chiaro che l’attacco dell’Economist non riguardasse tanto il Mezzogiorno d’Italia (che la massoneria inglese ha peraltro contribuito a “liberare” dai Borboni), o il potere romanocentrico. Il vero obiettivo era lo Stato Città del Vaticano, quella aborrita Santa Sede, considerata la pestifera sentina di tutti i mali d’Italia. E’ proprio lì, nella Babilonia luterana che non è stata purificata dalla Riforma, che per i soloni dell’Economist si insedia il maggiore ostacolo ad una completa evoluzione illuministica e liberale del nostro Paese.


Basti pensare che lo stesso giorno in cui è stato pubblicato l’elogio di Fini, lo scorso 5 agosto, l’Economist ha dato spazio ad un ennesimo articolo al vetriolo contro la Chiesa cattolica, dal titolo “The Void within”, il vuoto all’interno, denunciando uno stato di «quasi teocracy», un inspiegabile «attaccamento atavico» alle gerarchie vaticane, e arrivando ad evidenziare la differenza tra “cattolicesimo” e “cattolicismo”; per concludere con una riflessione filosofica: «l’Illuminismo europeo può aver posto fine a quella sorta di formale teocrazia nella quale i papi guidavano gli eserciti e i re governavano per diritto divino, ma per un’intricata combinazione di circostanze l’autorità della Chiesa e quella dello Stato, in Europa, sono rimaste intrecciate». Quando ho letto le lodi sperticate dell’Economist a Gianfranco Fini, considerato il più abile e deciso politico italiano, capace di contrastare lo strapotere vaticano e la nefasta influenza della Chiesa cattolica nella vita degli italiani, mi sono fatto qualche idea in più sulla svolta politico-esistenziale del Presidente della Camera. Dalle parti di Chatham House non amano sprecare parole.
Lì, davvero, nulla è casuale (http://www.culturacattolica.it/default.asp?id=17&id_n=18930 )

 
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