Cattolici adulti o protestanti repressi?
Il bel pezzo è dell'amico Andrea Zambelli.
Da qualche anno a questa parte all’orizzonte del mondo cattolico italiano sta emergendo con caratteri sempre più definiti, e con una presenza mediatica e di potere più ampia della sua effettiva consistenza, una nuova categoria di credente: il cattolico adulto.
Cifra del cattolico adulto consiste nel propugnare la più totale separazione della religione dal mondo civile dimostrando di aver imparato più di altri la lezione kantiana secondo la quale il credente dovrebbe mostrarsi tale solo nel privato della propria camera. Il cattolico adulto insomma ha la smania di mettersi in mostra cercando di essere più realista del Re (e quindi più laicista dei laicisti veri, più intollerante verso i simboli religiosi di quanto lo possa essere un musulmano di stretta osservanza, più maligno nei confronti della Chiesa come Istituzione di quanto lo possa essere un autentico anticlericale, e infine, nascondendosi dietro all’idiota e individualistico principio secondo il quale io non divorzierò mai, io non abortirò mai, però non posso impedirlo agli altri di farlo, più aperto nei confronti del mondo di quanto lo possa essere un libertino incallito)
Detto in altri termini il cattolico adulto è colui che separa il proprio esser cristiano dal proprio essere cattolico, quasiché all’occasione si possa salvaguardare l’uno sacrificando l’altro. Confesso che per il mio esser credente un’affermazione simile non evoca alcun significato: in me la dimensione dell’esser cristiano e quella dell’esser cattolico coincidono: io mi riconosco incondizionatamente figlio della Chiesa Cattolica e Apostolica in quanto, pur essendo il primo tra i peccatori, credo nella resurrezione di quel Cristo che l’ha fondata e la guida (mi pare che questa sia ancora la posizione del Magistero). Non potrei infatti credere in Cristo senza credere nella Chiesa di conseguenza non poterei mai distinguere il mio esser cristiano dal mio esser cattolico. E’ chiaro che chi riesce a distinguere in se stesso la propria cristianità dalla propria cattolicità è perché ha già deciso di disfarsi della seconda.
Ecco il vero nodo! Per certa parte del mondo cattolico progressista affermare la propria figliolanza e obbedienza nei confronti della Chiesa costituisce un atto “conservatore e oltranzista” di conseguenza, per poter dire di credere in Cristo senza correre il rischio di essere considerati degli integralisti oppure di essere minorati nella dignità di uomini, occorre guadagnarsi sulla pubblica piazza la medaglia di oppositore a priori della Chiesa (e gli oppositori di questo tipo sono solitamente i più feroci); occorre, in sintesi, non credere nella Chiesa, o crederci fino a un certo punto che è lo stesso.
Il quadro che ne vien fuori porta a considerare questi oppositori interni come persone particolarmente coraggiose nell’esercizio della propria libertà e del proprio spirito critico; coloro invece che si trovano d’accordo con il Magistero e lo dichiarano pubblicamente sono considerati dei “cattolici bambini” e superstiziosi. Questa immagine non corrisponde affatto alla realtà. Ma se le cose dovessero stare così allora chi mi ha preceduto nella maggiore età sentirà senz’altro il dovere di chiarire una buona volta al “bambino” che scrive quale insegnamento del Magistero dovrebbe ricusare per poter finalmente entrare nell’età “adulta”; di più, vorrei sapere a quale verità cristiana dover rinunciare per poter non essere più considerato un integralista, ma un cattolico al passo coi tempi.
Nel mondo cattolico, questa è la questione centrale, c’è un fiume carsico che occorre fare emergere alla vista: è quello di un protestantesimo criptato, volutamente sottaciuto, ma non meno insidioso. Tutte le varie espressioni della “riforma” (luteranesimo, calvinismo, zwinglismo, anglicanesimo) si trovano, infatti, unite nell’insistente richiamo all’aggettivo sola (sola fides, sola gratia, sola Scriptura, solus Christus) allo scopo di marcare il proprio antagonismo nei confronti del cattolicesimo che afferma invece i binomi di fede e opere, grazia e collaborazione dell’uomo, Scrittura e tradizione, ma soprattutto Cristo e Chiesa. Tanto che nel vasto panorama delle confessioni protestanti non esiste una “chiesa”, ma vige il principio del sacerdozio universale.
In ambito religioso la cifra suprema del protestantesimo (anticipatore in questo senso dell’illuminismo) consiste nell’eliminare la Chiesa come comunità e come Autorità a favore di un rapporto individuale del singolo credente col sacro; in tale contesto il credente è legittimato a non ascoltare nessuno, a non rendere conto a nessuno (almeno a questo mondo). Tale affermazione di assoluta autonomia religiosa non può non avere conseguenze di natura più strettamente politica: la principale, avendo eliminato la religione come comunità e come autorità, sta proprio nel chiuderla nella sfera della singola intimità favorendo la sacralizzazione del potere civile. E infatti un potere che non debba più fare i conti con la voce vigilante di una Maestra di Verità qual è la Chiesa quali difficoltà può più incontrare sulla strada della propria assolutizzazione? Chi può minacciarne la sete di onnipotenza che lo conduce a legiferare, in ultimo, sulla vita e sulla morte delle persone nel vago nome della maggioranza?
E’ in questo orizzonte che a mio avviso va inserito il fenomeno dei cosiddetti “cattolici adulti” (che a mio avviso sono più che altro dei “protestanti mascherati” e forse pure repressi) i quali probabilmente vorrebbero costringere il mondo cattolico in quanto tale all’interno del perimetro della “sola” senza però avere il coraggio di dire apertamente che in questo disegno la Chiesa non troverebbe spazio.
Il punto da chiarire bene è proprio questo: ciò che mi distingue da questi amici non è il fatto di escludere che anche gli uomini di Chiesa in quanto uomini possano sbagliare, non è il fatto di poter avere dei fondati dubbi su alcune scelte contingenti operate dalla gerarchia ecclesiastica; quanto il fatto di contestare la Chiesa in quanto tale, come Istituzione, come Maestra di Verità. A questo punto troverei più semplice e trasparente che i nostri amici che ci hanno superato nell’età adulta della fede facessero un passo ulteriore e dicessero di essere solo cristiani e non più cattolici.
Anche il mondo cattolico trentino non sfugge a questa cornice (anzi, ne rappresenta uno dei luoghi di eccellenza) e al fondo dei rapporti con l’altra metà del cielo dei credenti (che umilmente cerca di prestare ascolto alla voce del Magistero, pur riconoscendo la propria miseria) riposa un prepotente pregiudizio. Quest’ultimo consiste nel credere che il variegato mondo cattolico trentino si esaurisca nella sua sola declinazione progressista e che dunque ogni altra sensibilità non sia che una sua variabile impazzita; oppure un semplice “sommovimento” animato dall’incapacità critica di alcuni fanatici clericali. Questo è un segno di paura, di debolezza culturale ed è, inoltre, un ottimo modo per escludere in partenza le vie del dialogo (e questo francamente mi pare poco progressista).
A mio avviso invece anche il cattolicesimo progressista, che seguo con interesse e rispetto, avrebbe molto da guadagnare e poco da perdere a dialogare su posizioni di pari dignità con sensibilità diverse. Non so se i tempi siano già maturi, tuttavia trovo sia doveroso da parte di tutti impegnarsi in un dialogo, magari anche spigoloso e acceso, ma onesto che lasci finalmente da parte i reciproci pregiudizi e si confronti sulle questioni vere e fondamentali: a cominciare dal chiedersi che cos’è la Chiesa? Cosa essa insegna? Quale validità il cattolico deve dare alle indicazioni del Magistero? Può sembrare assurdo dover tornare a discutere di questioni che abbiamo dato sempre per scontate fin dall’età del catechismo, e per certi versi lo è davvero, ma questa è la realtà con la quale ci troviamo a fare i conti ed averne consapevolezza rappresenta il primo autentico passo per uscire da uno stallo destinato altrimenti a fossilizzarsi.
Andrea Zambelli
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