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Credere nella politica dei valori
Di Irene Bertoglio - 20/05/2010 - Politica - 1035 visite - 0 commenti

La definizione di politica non può essere ricercata solo riaccostandosi alla forma classica del concetto, perché la modernità l’ha rigettata, sostituendola con un’altra diversa. Difficile fare una sintesi e definire univocamente la politica: essa può essere vista come una teoria del diritto e della morale e in questo caso è subalterna a queste due entità concettuali, nei confronti delle quali si presenta anche come un possibile strumento di realizzazione. Allo stesso tempo potremmo essenzialmente definirla una teoria dello stato e della società, ma non dobbiamo dimenticare la definizione machiavelliana che la intende come tecnica dell'esercitare e del conservare il potere, in cui si intrecciano le questioni più importanti e anche le questioni più complesse. Nessuna definizione potrebbe essere assunta a detrimento o a esclusione delle altre. Il problema vero è che tipo di concetto di politica scegliere: io scelgo una politica che è passione e ricerca del bene comune, una politica che non può essere limitata all’aspetto tecnico o all’apparato politico.

Oggi vi è una pseudo-politica incentrata sul pettegolezzo; il sistema è delegittimato dal basso: i cittadini identificano la politica con il governo. Questo genera nelle masse un naturale rigetto della stessa invece che una naturale compartecipazione conformata alla propria posizione nella vita sociale. Ma chi abbandona la politica ad un ruolo marginale, legittima l'esistenza di un governo distante dai suoi interessi. Il dramma della politica italiana è che è spesso diventata fine a se stessa riducendosi a mero governo. La gente comune percepisce la distanza e si allontana ancor di più ritenendolo un lavoro che non spetta ad essi, aumentando così le distanze e fornendo un deleterio eccesso di potere. Non possiamo far altro che constatare come questo distacco sia causato in primis dallo smarrimento della politica stessa che non è più in grado di darsi dei punti di riferimento e che di conseguenza non può indicarne alla popolazione.

Questa concatenazione di fattori produce un disorientamento dei cittadini che non riescono più a trovare una linea interpretativa in cui riconoscersi e non sanno più qual è l’orizzonte sul quale immaginare la costruzione del proprio avvenire. Soltanto in una dimensione valoriale e culturale riconoscibile è possibile immaginare la restaurazione della politica. La realtà quotidiana ci dimostra quindi come l’interesse per la politica sia circoscritto e marginale, dal momento che i partiti sono forze autoreferenziali che non agiscono nella società ma soltanto al loro interno, e dal momento che restano segnati da lotte di potere che la gente percepisce con disgusto. La crisi della politica ha portato ad una società al centro della quale vi è l'individuo-consumatore e non la persona portatrice di valori. La politica è invece una filosofia pratica, non è confinata ad una dimensione individuale né fine a se stessa. Poiché lo spirito di base che muove il politico dev’essere quello del servizio, la politica deve mettere al centro i bisogni dei cittadini e non farsi definire dalla figura del politico per professione, altrimenti è già stata tradita la vocazione iniziale. Politica è dimenticarsi di se stessi per servire gli altri, è sacrificio: se si perde questa dimensione si diventa dei politicanti.

Si deve considerare poi che l’efficacia dell’azione politica in Italia tende ad essere misurata dai rappresentanti dei partiti e dai politologi, attraverso l’analisi dei numeri, delle percentuali, degli esperimenti, ma questo basta a dimostrare di aver fatto un buon lavoro? No, non è sufficiente aver cambiato un numero per cambiare una situazione. In passato i cittadini si sentivano coinvolti nella politica, mentre oggi si è fratturato il rapporto di fiducia tra i rappresentanti e i cittadini, e non solo: con la cancellazione del voto di preferenza anche le idee sono state separate dai rappresentanti stessi e la politica è diventata autoreferenziale. La non utilizzazione degli strumenti di democrazia diretta è un limite ed impedisce il vero coinvolgimento della gente. In Italia è accaduto che la politica si trasformasse in un sistema di privilegi e di garanzie che ha di fatto stravolto l’ordine dei valori, dando luogo ad una profonda crisi interna. Ora non capita più che due pensieri così diversi come quelli del repubblichino Almirante e del partigiano Berlinguer si rispettino, perché mentre loro avevano la stessa concezione della politica, oggi il desidero di potere e di privilegi viene posto davanti all’amore per il destino del proprio popolo. Ecco perché tutt’oggi manca il dialogo tra maggioranza e opposizione, anche su materie di prima urgenza: si è persa questa concezione alta della politica. Se non vogliamo che il popolo italiano naufraghi definitivamente dobbiamo riaffermare la centralità della politica, ma per fare ciò dobbiamo dare di questa una nuova idea: fino a che la politica sarà percepita dai cittadini come un arengo di disonesti i quali badano solamente al proprio interesse o ai propri giochi di potere, fino a quando la politica rimarrà il luogo della confusione, fino a quando la politica sarà identificata solo con le campagne elettorali, fino a quando i cittadini percepiranno i partiti come “tutti uguali”, nessuna attività di riaffermazione avrà successo. È necessario evitare che si affermi una politica senz’anima le cui avvisaglie si sono già abbondantemente manifestate. Se è vero che la crisi attuale deriva da un eccesso di politicizzazione dovuto ai condizionamenti delle ideologie, «non si può curare un ammalato uccidendolo con la pretesa che in tal modo si sconfigga la malattia» (G. Malgieri). Vi è la necessità di recuperare un protagonismo ed una responsabilizzazione dei soggetti, delle singole persone, delle famiglie, dei corpi intermedi. Bisogna procedere ad un'ottimizzazione delle responsabilità istituzionali fra governo, regioni, province e comuni, e ricercare la risposta più adeguata ai bisogni sociali della collettività. Oggigiorno molte menti brillanti preferiscono mantenersi distanti dalla vita politica perché questa non è più concepita dall’intellettuale medio come uno strumento in grado di incidere sulla società, ma come un apparato di èlite che tende a difendere se stesso. Molti cercano allora spazio nel campo giornalistico o delle associazioni culturali e rifuggono dalla politica dei partiti, che, a loro volta, tendono ad esiliare i propri intellettuali e a far sì che ricoprano ruoli marginali: l’uomo di cultura è temuto perché non mira all’opportunismo di una scelta, ma alla sua legittimità. Sono anche convinta che il discorso di certi intellettuali che si disinteressano per questi motivi della politica sia un banale trasferimento di responsabilità che non accetto. Bisogna che le menti brillanti si occupino e tornino ad occuparsi di politica, rifiutando che qualcuno metta altri nella condizione di non occuparsene; bisogna rompere il gioco nelle mani di chi ha un vantaggio da questa situazione.

E sono profondamente convinta che cultura e politica non debbano esser distinte, ma al contrario possono e devono integrarsi ed arricchirsi reciprocamente. Faccio mia la posizione di Prezzolini che rifiutava sia la cultura politicizzata che la politica acculturata, per prediligere una soluzione che mantiene queste due realtà tanto svincolate nei compiti quanto unite nel formare ed orientare le coscienze. Prezzolini condannava sia lo scarso interesse che la classe colta dedicava alla politica, spesso limitato ad una critica preconcetta, sia la sua scarsa capacità di incidere sulla vita dei cittadini. Dalle pagine de «La Voce» sosteneva che «gli italiani colti, che [...] talvolta vedono più in là delle circostanze immediate, non solo non riusciranno ad imporre una direzione alla vita storica del loro paese, ma non sapranno nemmeno far ascoltare il loro consiglio e la loro voce».

Una simile frattura ha come risultato che tanto la politica quanto la cultura si impoveriscono nella mutua segregazione, con conseguenti danni: «la politica, infatti, quando non vi aliti dentro lo spirito della nazione ricco di tutte quelle orientazioni ideali che si chiamano cultura, diventa una mediocre faccenda composta di piccole cose quotidiane - più vicina assai alla pratica minuta degli affari di un mercante che non alla complessità vasta e concitata della storia. E la cultura, segregata dalla politica, - e in generale dalla vita vissuta, immiserisce nella “letteratura”».

La politica si svuota di ragioni ideali, mentre la cultura si confonde con la letteratura, perdendo la sua dimensione distintiva. Uno dei temi maggiormente trattati dal dibattito filosofico-politico è poi la questione relativa al rapporto fra etica e politica. Se non esiste un sistema universale di valori, l’uomo brancola nel buio: ogni decisione individuale assume valenza di giustizia e si è pronti anche ad avanzare leggi contro la vita, a tutelare i diritti degli animali e nello stesso tempo a sostenere l’aborto. Purtroppo la politica con cui abbiamo a che fare è basata più su principi utilitaristici individuali o di gruppo. E la mancanza di principi genera l'impressione quasi collettiva di una civiltà in degrado, di fronte alla quale è forte la tentazione della rinuncia e del distacco.

L'impegno politico deve essere qualificato e vissuto secondo la categoria tipica del servizio, con un'attenzione diligente e intelligente all'uomo, partendo da chi soffre maggiori disagi. Si può dire che compito di ogni impegno politico è quello di concorrere a realizzare una società nella quale ogni uomo possa vivere davvero nella pienezza della sua umanità. Un'autentica azione per il bene comune richiede inevitabilmente che si sia capaci di offrire una testimonianza d'impegno eticamente credibile. L’orizzonte spirituale e culturale è segnato da una grande incertezza. È evidente che sono venuti meno molti punti di riferimento perché il secolo scorso è riuscito a stravolgerli ed a distruggerli, sia pure parzialmente. È necessario che siano i valori a guidare i mutamenti e non più gli apparati ideologici, è ai valori che si deve far riferimento per comprendere la complessità del presente.

La politica non ha alcuna possibilità di produrre cambiamenti nella società se si riduce solamente ad un insieme di persone che propongono esclusivamente soluzioni tecniche a problemi tecnici. Emergono ora nuove insidie totalitarie che possono essere battute soltanto dall’affermazione delle identità fondate sui valori e sulle specificità culturali dei popoli. Secolarizzazione, materialismo pratico e relativismo etico sono le nuove forme di totalitarismo: prevedono un uomo unico, “l’uomo consumatore”. L’etica serve invece alla politica per fare della persona il cuore della società. La politica deve credere nella persona. Il naturale completamento di ognuno risiede nella primaria forma di comunità storica: la famiglia, che nasce unicamente dall’incontro tra uomo e donna.

Abbiamo poi dei corpi intermedi che con essa si raccordano fino ad arrivare alla nazione, che è la comunità più vasta nella quale si integrano gli interessi spirituali, morali e materiali di un popolo. Alain de Benoist, nel suo Le sfide della postmodernità afferma infatti che «i valori non sono oggetto di una scelta, né revocabili a volontà […] Nella concezione greco-cristiana l’io è anteriore ai fini che si dà e non è possibile concepire l’individuo al di fuori della sua comunità».

Sembra una banalità, ma dopo la crisi delle ideologie che negavano radicalmente la nazione come comunità storicamente fondata, sono insorte forme contestative che tendono ugualmente a negare il concetto stesso di identità nazionale: il mondialismo, il pensiero unico, l’omologazione culturale. I nostri ragazzi sono pienamente immersi in questo vuoto valoriale ed etico. Le conseguenze possono essere devastanti. Di fronte ad una società in continuo cambiamento è necessario avere dei principi di ancoraggio; nel momento stesso in cui si accellera il mutamento, è necessario dall'altra parte avere la possibilità di aggrapparsi a qualcosa che non cambia. È importante da una parte modernizzare, assecondare il cambiamento tecnologico, ma dall'altra tener presente che il cambiamento serve all'uomo e che l'uomo, fino a prova contraria, ha delle radici che non cambiano: il bisogno religioso, il bisogno di comunità, il bisogno di pensare ad alcuni principi e ad alcuni valori di solidarietà e di identità collettiva.

L'uomo non deve rincorrere esclusivamente l’arricchimento o il successo personale e materiale, ma la ricerca del primato dell’essere, il primato del trionfo della vita spirituale contrario ad ogni egoismo, ingiusto e sterile, fonte di insoddisfazione singola e di frustrazione per la collettività. Il giovane di oggi si ritrova inoltre in un contesto storico in cui non ci sono spazi professionali né culturali, non c’è più possibilità di esprimersi. La generazione dei padri ha non di rado trasferito la propria scontentezza ai figli, disincentivandoli e schiacciandone le speranze. In piena crisi della famiglia i ragazzi crescono senza rischi né pericoli, non sanno più affrontare i problemi, non vogliono rinunciare ai propri privilegi, continuando così a rendere gloria ad una società consumistica e materialista. Ciò che è più grave è la mancanza di meritocrazia: questo induce spesso i giovani volenterosi ad abbandonare l’irta strada del sacrificio, a cedere al “servilismo” e a rinunciare alla politica.

Questa può e deve tornare ad essere uno degli “scrigni preziosi” in cui le nuove generazioni possono trovare un patrimonio di valori e principi sapientemente custoditi. I giovani rappresentano l’espressione più intensa dell’esistenza e proprio per questo dovrebbero essere i protagonisti per definizione della politica, perché essa ha una dimensione esistenziale indiscutibile. La partecipazione alla politica dovrebbe appartenere in prima istanza proprio alla gioventù e se questo non accade vuol dire che nella struttura di uno stato qualcosa non funziona, significa che chi fa politica si auto-isola e che gli esclusi sono privi degli strumenti per incidere nella vita sociale. Uno stato in cui i giovani sono soggetti disinteressarsi della politica è uno stato corrotto, uno stato che non funziona, uno stato che ha delle contraddizioni dentro di sé e il cui funzionamento è in gran parte compromesso. La politica non si esprime in un ambito limitato: tutto è politica, tutto quello che è rapporto tra individui è politica. Il carattere verticistico connaturato nella storia del nostro paese è una delle carenze più gravi dell’impianto politico italiano, ma questo non deve scoraggiare le giovani generazioni.

La nostra è una politica troppo spesso fatta al livello dei palazzi del potere. Per riappropriarcene dobbiamo recuperare una dimensione della politica stessa: quella che si fa nei quartieri, negli istituti scolastici, nelle università, nei circoli culturali, nelle redazioni dei piccoli giornali e ovunque ci sia rapporto. Lì si può costituire una classe giovanile di responsabilità, di iniziativa, di consapevolezza.

Se dovessi individuare nello specifico un percorso formativo per giovani politici, distinguerei tre livelli di formazione: uno dedicato alla cultura (perché senza cultura non si può guardare al mondo politico con capacità critica), uno dedicato agli strumenti per amministrare (dato che i giovani saranno chiamati a ricoprire ruoli di rappresentanza negli enti locali) e infine approfondirei il tema della comunicazione (perché nell'era dei total media non si può far politica senza saper comunicare).

Sono solita regalare ad ogni giovane che incontro e si appassiona di politica una cartolina stampata in ricordo di Marzio Tremaglia che contiene il suo “testamento spirituale”. Quando a quattordici anni le lessi, queste parole mi cambiarono la vita e mi spinsero verso l’attivismo politico: «Credo nei valori del radicamento, dell’identità e della libertà; nei valori che nascono dalla tutela della dignità personale. Sono convinto che la vita non può ridursi allo scambio, alla produzione o al mercato, ma necessita di dimensioni più alte e diverse. Penso che l’apertura al sacro e al bello non siano solo problemi individuali. Credo in una dimensione etica della vita che si riassume nel senso dell’onore, nel rispetto fondamentale verso se stessi, nel rifiuto dei compromesso sistematico e nella certezza che esistono beni superiori alla vita e alla libertà per i quali, a volte, è giusto sacrificare vita e libertà».

 
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