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La Sindone riprodotta, bufala atea
Di Giuliano Guzzo - 22/04/2010 - Attualitą - 2767 visite - 0 commenti

L’ateismo, osservava Mathieu Delarue, non è una conclusione, bensì un punto di partenza. Ed è vero: molto spesso l’ateo aborrisce le grandi domande – che lo indurrebbero, in poco tempo, a comprendere quanto sia illogico negare Dio – mentre predilige le risposte iniziali, brevi ed immediate. E quando qualcosa osa minacciare il suo pensiero, rigidamente schematico, l’ateo non sa darsi pace: vuole assolutamente dimostrare che quel “qualcosa” è falso e illusorio.

Un curioso e recente esempio dell’infaticabile interesse di certi atei a dissacrare - anche umiliando la stessa ragione cui dicono di rifarsi - tutto ciò che potrebbe indurli a ripensare i propri pre-giudizi è la Sindone, “la più misteriosa reliquia in nostro possesso” per dirla con Valerio Massimo Manfredi. Quel telo - studiando il quale più di qualche scienziato ha trovato la fede - per anni ha rappresentato agli occhi di molti non credenti un interrogativo troppo ingombrante, da rimuovere ed evitare. Tuttavia, negli ultimi decenni, com’è noto, gli atei hanno avuto una parziale rivincita sul celebre sudario: la datazione medievale della Sindone, effettuata nel 1988.

Poco importa che 250 dei 300 studi scientifici sulla Sindone – che la rendono, fra l’altro, l’oggetto più esaminato della storia – depongano a favore della sua autenticità e poco importa che Michael S. Tite, uno degli esaminatori dell’88, abbia dichiarato in anticipo di essere assolutamente certo – alla faccia dell’imparzialità degli scienziati – che la Sindone non fosse autentica, la datazione al Carbonio 14 del 1988 per lo scettico non credente non si tocca: è sacra. E pensare che lo stesso Christopher Bronk Ramsey, direttore del laboratorio di Oxford, uno dei tre dove fu esaminato il sudario nell’88, ha recentemente riconosciuto che “chiunque abbia lavorato in questo settore, scienziati esperti di radiocarbonio ed altri esperti, debbano dare uno sguardo critico alle prove che hanno prodotto”.

A molti scettici le parole di Ramsey non fanno né caldo né freddo. E così l’articolo di “Nature” che già nell’89 mise in luce gli errori statistici del carbonio 14, gli studi del fisico Harry Gove, il padre della moderna datazione radiocarbonica - che in un lavoro pubblicato su “Nuclear Instruments and Methods in Physics Research” ammette che la presenza di funghi e batteri può aver contaminato il campione sindonico che fu datato -, e quelli del chimico Raymond Rogers, che su "Thermochimica Acta” ha dimostrato che nel campione datato c’era un rammendo invisibile che, di fatto, rende inattendibili gli esami dell’88.

Ma siccome gli scettici sono tutt’altro che sprovveduti, e hanno capito, anche se è impossibile per loro ammetterlo, che la datazione medievale della Sindone, in sé, fa acqua da tutte le parti, da qualche anno si sono rimessi all’opera con rinnovata grinta e una grandiosa ambizione: riprodurre il telo, realizzando così la definitiva e inappellabile confutazione della reliquia tanto cara ai cristiani, i quali – è bene precisarlo – non fondano la fede su di essa, anche se, indubbiamente, rappresenta se non una prova quanto meno un suggestivo indizio della risurrezione di Cristo. L’annuncio della presunta ri-produzione della Sindone è stato dato lo scorso 5 ottobre, quando il quotidiano “La Repubblica” ha dedicato un’intera pagina proprio a questo scoop:”Per la prima volta la Sindone è stata riprodotta in ogni singolo dettaglio”(La Repubblica, 5/10/09, p.31) erano le parole dell’autore dell’opera, il chimico Luigi Garlaschelli, docente di chimica organica all’Università di Pavia nonché membro del Cicap, il Comitato Italiano per il Controllo delle Affermazioni sul Paranormale.

Non fu da meno il quotidiano torinese “La Stampa”, che diede ampio risalto all’impresa:”Un telo di lino, un professore di chimica e un po’ di tecnologia colorata. Ecco una Sindone nuova di zecca, a grandezza naturale, del tutto simile a quella custodita a Torino(La Stampa, 5/10/09). Anche “Focus Storia” di questo mese ha raccontano con entusiasmo manifesto il lavoro di Garlaschelli: “Il risultato è molto somigliante all’originale: un’immagine tenute, sfumata […] tutte caratteristiche che si dicevano irriproducibili, ottenute invece in un colpo solo” (Focus Storia n. 42, aprile 2010, p.17). Nota bene: l’autore dell’articolo di “Focus Storia” è Massimo Polidoro, co-fondatore, insieme a Piero Angela, Margherita Hack e Silvio Garattini, proprio del Cicap, il comitato cui aderisce Garlaschelli. Nessun dubbio, dunque, sulla sincerità delle sue lodi alle gesta del socio.

Ma torniamo alla copia della Sindone. Prima di verificare l’attendibilità dell’esperimento di Garlaschelli – finanziato, guarda caso, dall’UAAR: Unione degli atei e agnostici razionalisti -, dobbiamo precisare subito un “particolare”: se da un lato non possiamo escludere che il chimico, come afferma, abbia studiato con maniacale attenzione tutti i 300 studi eseguiti sulla Sindone, dall’altro è bene sottolineare - sempre rifacendoci a quanto dice lui stesso - che non ha mai avuto modo di analizzare in prima persona il sudario che ha poi voluto riprodurre: si è attenuto a delle semplici fotografie. Può apparire una sottolineatura polemica, invece non lo è affatto; va piuttosto considerata una precisazione doverosa, dato che sono davvero in tanti a considerare il manufatto di Garlaschelli non soltanto poco serio sperimentalmente, ma persino ridicolo.

Colpisce in particolare l’ostinazione con la quale l’autore della copia della Sindone abbia finora sottratto il suo manufatto ad analisi come la profondità submicrotetica della colorazione del suo telo: come mai tanta ritrosia? Sui “colori” utilizzati da Garlaschelli – strano ma vero - persino i seguaci dell’UAAR hanno espresso perplessità; consultando il blog più anticlericale d’Italia è possibile infatti apprendere della delusione di più di qualche ateo sulla metodologia sperimentale adottata dal chimico del Cicap: “Leggo che Garlaschelli ha usato dell’ocra. Eppure la presenza di sangue sul telo sembra sia indubbia. Perchè non ha usato il sangue di qualche animale?. Del resto, anche Giulio Fanti, docente di Misure Meccaniche e Termiche all’Università di Padova ha chiesto addirittura davanti alle telecamere di “Porta a Porta” di poter analizzare il manufatto del Cicap: niente da fare. Paradossalmente, proprio quelli del Cicap - che tanto amano controllare le affermazioni sul paranormale - si rifiutano di sottoporre a verifiche le loro . E pensare che sarebbe davvero interessante vedere se l’immagine del manufatto di Garlaschelli è come quella della Sindone vera, che ha già mostrato resistenza a ben 25 solventi da laboratorio.

Tornando alla presenza del sangue - stranamente messa in discussione da Massimo Polidoro - meritano di essere sottolineati i numerosi studi che, negli ultimi decenni, l’hanno provata. Pensiamo al test positivo dell’emocromo, della bilirubina, della cianoemoglobina, dell’albumina e alla dimostrazione dell’esistenza di proteine (Esame di Heller ed Adler, 1978), oppure alla verifica della fibrinolisi interrotta dopo 36-40 ore (Esame di Brillante – Baima Bollone, 1982). Insomma, l’uomo della Sindone è stato indubbiamente torturato. Ragion per cui, chi sostiene l’autenticità della datazione medievale del celebre sudario deve prendersi la responsabilità delle proprie affermazioni e aver il coraggio di sostenere che il geniale falsario avrebbe anzitutto dovuto procurarsi il cadavere di un uomo trentenne crocifisso – impresa tutt’altro che semplice, nel Medioevo-, oppure crocifiggerlo egli stesso.

Inoltre avrebbe dovuto, anticipando l’invenzione del microscopio, aggiungere sul telo svariate decine di elementi invisibili a occhio nudo: pollini, terriccio, siero, aromi per la sepoltura, aragonite e altro ancora; avrebbe dovuto conoscere la fotografia, inventata la XIX secolo - perché la Sindone è un’immagine in negativo; avrebbe dovuto saper distinguere tra circolazione venosa e arteriosa, studiata per la prima volta nel 1593, nonché essere in grado di macchiare il lenzuolo in alcuni punti con sangue uscito durante la vita e in altri con sangue post-mortale, rispettando inoltre, nella realizzazione delle colature ematiche sulle braccia, la legge di gravità, scoperta nel 1666. Insomma, il falsario della Sindone avrebbe dovuto essere un gigante della scienza, un genio assoluto; un genio del quale, stranamente, non si ha la benché minima traccia storica. Qualcuno ha fatto il nome di Leonardo da Vinci, dimostrando di non sapere che ci sono testimonianze plurime che attestano la presenza della Sindone in Europa, precisamente in Francia, 99 anni prima della nascita del celebre artista.

In ogni caso, l’ipotesi del falsario deve fare i conti con un altro dato inspiegabile, ossia il modo col quale l’uomo della Sindone sarebbe stato estratto dal telo: decine di dettagliate analisi hanno dimostrato che non c’è la minima traccia di trascinamento. Che la Sindone sia effettivamente inspiegabile, nel 2002, lo riconobbero persino i soci del Cicap che, in un loro convegno, riconobbero che “non è chiaro” come si sia formata quell’immagine. Non a caso, anni fa, un noto studioso fu costretto ad ammettere che, secondo le conoscenze scientifiche attualmente in nostro possesso, quel sudario “non dovrebbe esistere”. Poi, tutto ad un tratto, ecco sbucare Garlaschelli con la sua copia della Sindone realizzata servendosi di un bassorilievo sul quale è stata applicata della vernice a secco che avrebbe prodotto immagini negative, che sarebbero inspiegabili.

Peccato la teoria del bassorilievo, riscaldato, strofinato o verniciato, sia stata esclusa, giudicata impraticabile e quindi abbandonata da almeno tre decenni dopo che gli scienziati statunitensi dello “Shroud of Turin Research Project” pubblicarono dettagliatamente i loro risultati su prestigiose riviste internazionali. D’altronde, chi non ha nulla da temere fa bene a rendere noti metodologia ed esiti dei propri studi. Altri, invece, preferiscono fare annunci ad effetto celebrati con insolito favore dai mass media ma sostanzialmente privi di qualsivoglia valenza sperimentale. Perché la Sindone, di fatto, rimane inspiegabile. Un libro di Emanuela Marinelli, che, a differenza di tanti suoi critici, l’ha studiata in prima persona e che ha scritto decine di testo sul telo sindonico, si chiude con questa riflessione: “la Sindone è un documento sconvolgente: se è autentica, è frutto di un amore sovrumano; se non è autentica, è frutto di un genio sovrumano”.

 
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