Ru486: da domani in Italia. Ma troppo pochi sanno cosa sia realmente
Notizia di ieri dell’Ansa: dal primo aprile in Italia sarà distribuita la pillola abortiva Ru486. Lo rende noto l'azienda produttrice francese Exelgyn, la quale ha delegato la Nordic Pharma Srl alla distribuzione del medicinale ospedaliero nella penisola.
Ma in cosa consiste precisamente l’aborto tramite Ru486?
Il percorso che deve fare la donna dopo aver deciso di abortire con la pillola (nei nuovi moduli per abortire verrà introdotta la possibilità di scelta tra l’aborto chirurgico e quello chimico) è il seguente:
1. Prima visita di accertamento clinico e sottoscrizione delle condizioni poste dalla legge per l’assunzione della Ru486, ovvero:
- Seguire l’iter nella sua interezza: presentarsi alle visite, rispettare le scadenze, etc.
- Non abitare a più di un’ora di macchina dal più vicino Pronto Soccorso in grado di fare trasfusioni
- Avere un mezzo di trasporto e un accompagnatore
- Avere sempre con sé il telefono e il numero di emergenza fornito dall’ospedale
2. Dopo la prima visita, la donna deve tornare in ospedale per assumere il mifepristone. Questo è uno steroide sintetico atto ad interrompere la produzione di progesterone, impedendo in tal modo all’embrione di crescere e svilupparsi per mancanza di principi nutritivi. Solamente il 3% delle donne abortisce entro 48 ore con la sola assunzione di questo principio farmacologico. Gli effetti collaterali accertati sono molteplici:
- il 96% delle donne accusa dolori addominali e crampi
- il 61% prova nausea
- il 31% lamenta mal di testa
- il 26% vomita
- al 20% delle donne il farmaco provoca scariche diarroiche
- per una percentuale più contenuta, i sintomi sono: svenimento, febbre e brividi
- inoltre, sono state accertate più di 111 possibili infezioni conseguenti all’utilizzo del mifepristone curabili esclusivamente con antibiotici.
Da questo elenco emerge chiaramente come, al dolore psicologico per una scelta già in sé tragica com’è quella di abortire, venga a sommarsi anche una componente non trascurabile di dolore fisico. E' doveroso, quindi, sottolineare la pericolosità di questo farmaco, che nel mondo ha già causato 29 morti accertate.
3. A 48 ore dalla somministrazione del primo farmaco (ovvero all'altezza del terzo giorno del percorso abortivo), la donna deve recarsi nuovamente presso l’ospedale per assumere (per via orale o per via vaginale) un secondo principio farmacologico: il misoprostol. Questo è una prostaglandina che rilassa il collo dell’utero e induce le contrazioni, permettendo l’espulsione del sacco amniotico contenente l’embrione. Il misoprostol generalmente induce l’aborto entro 48 ore dall’assunzione, ma anche qui i dati sono soggetti a variabilità: esso funziona nel 95% delle donne che lo prendono per via vaginale, mentre la percentuale si riduce all’87% dei casi nelle donne che lo assumono per via orale. In ogni caso, l’emorragia conseguente ha una durata che oscilla tra gli 8 e i 17 giorni (ma i dati rilevati evidenziano, al di là della media matematica, che nel 9% dei casi essa dura 1 mese e nell’1% addirittura 60 giorni). Inoltre, la fase espulsiva può durare diverse ore, durante le quali la donna ha il compito di controllare che il flusso sanguigno non sia troppo abbonante. Proprio a causa di questa attenzione che la donna deve avere, nel 56% dei casi vi è il riconoscimento dell’embrione abortito; eventualità, questa, che provoca disturbi psicologici, incubi ricorrenti, flashback e seri disturbi emotivi.
4. A 14-15 giorni di distanza, deve essere effettuato un ultimo controllo per verificare che l’utero sia effettivamente vuoto. Poiché la percentuale di riuscita dell’aborto farmacologico si aggira attorno al 92-95% dei casi, circa 5-8 donne su 100 devono comunque essere sottoposte, in un secondo momento, all’aborto chirurgico.
Da questi dati si evince come l'idea che la Ru486 assomigli ad un aborto spontaneo sia una pia illusione che viene spacciata per vera alle donne che si recano nei consultori. L’aborto con la pillola non è né veloce, né indolore.
Inoltre, in questo modo si torna ad abortire in solitudine e in clandestinità: proprio ciò che i promotori dell’introduzione dell’aborto legale in Italia avevano cercato di combattere, ma forse ormai lo hanno dimenticato. Ferrara parla, per la Ru486, di “tragico casalingo”, perché la donna è sola e avvolta nell’incertezza: non sa come, quando, dove e se abortirà.
Molte e disparate sono le voci di protesta che si levano contro la tecnica farmacologica di interruzione della gravidanza. Anche molte femministe pro-aborto si dicono contrarie, come l’australiana Renate Klein, la quale afferma che tale metodologia “scarica ogni rischio e ogni responsabilità sulla donna” (Avvenire, 10 settembre 2009). Quando le viene chiesto di spiegare in che modo questo avvenga, risponde: “sarò cruda: una donna si può trovare su un autobus o al lavoro mentre iniziano i conati di vomito, le scariche di diarrea e le contrazioni che seguono l’assunzione del farmaco. Si può arrivare a perdere anche molto sangue. La donna può continuare a sanguinare per giorni, se non settimane, e non sapere con certezza se il figlio che ha dentro di lei è stato abortito o continua a vivere. Nell’ipotesi peggiore per avere questa certezza deve vedere lo stesso figlio espulso nel water: un’esperienza scioccante. Immaginarsi quale senso di colpa la segnerà per tutta la vita dopo questo tipo di aborto” (ibidem).
Insomma: al di sopra di qualsivoglia schieramento ideologico, in molti stanno cercando di far capire che la Ru486 è una pillola pericolosa, che può condurre a morte le donne che ne fanno uso: di certo non è un caso se in USA è stata rinominata “Kill Pill” e in Cina “farmaco incubo”.
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