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Ratzinger ha coperto un superpedofilo: la balla del giorno
Di Giuliano Guzzo - 25/03/2010 - Attualitą - 2220 visite - 0 commenti

Lo scoop del New York Times è di quelli da far “tremar le vene e i polsi” per dirla con Dante: l’allora Cardinal Ratzinger avrebbe “coperto” il reverendo Lawrence C. Murphy, sacerdote che abusò, si dice, di 200 bambini. Peccato che sia una bufala, l’ennesimo tentativo di dipingere Benedetto XVI come il più grande protettore di pedofili del mondo. Sulle ragioni che stanno dietro il volgare e concentrico attacco che sta subendo il Santo Padre torneremo più tardi. Partiamo dalla notizia del giorno:” I vertici del Vaticano, tra cui il futuro Papa Benedetto XVI, occultarono gli abusi di un prete americano” leggiamo sul sito di Repubblica; “Le gerarchie ecclesiastiche non presero le misure necessarie contro un religioso del Wisconsin che aveva abusato sessualmente di qualcosa come 200 ragazzini” sono le parole, non molto diverse, col quale riassume la vicenda il sito del Corriere.

La prova di queste accuse? Sarebbe contenuta in alcuni “documenti ecclesiastici”. Ed è vero: i “documenti ecclesiastici” sul caso Murphy, in effetti, ci sono, ma provano l’esatto contrario di quanto riferisce il NYT. Infatti dimostrano che fu la Chiesa ad indagare e a procedere nei confronti di padre Murphy,  malgrado la lontananza temporale di fatti risalenti ad oltre due decenni prima quando un ex studente della St. John’s School per i sordi, il 15 maggio 1974, presentò una denuncia sugli abusi compiuti su di lui e su altri ragazzi da Murphy. Una denuncia alle autorità, dunque, ci fu: il punto è che non se ne fece nulla e dopo un’indagine, il giudice incaricato archiviò il caso.

 Le voci su di lui continuarono così, nel dicembre del 1993, padre Murphy venne sottoposto a ben quattro, interminabili interrogatori dai responsabili dell’arcidiocesi assistiti da psicologi esperti di pedofilia. Nota bene: anche in quel caso fu la Chiesa a muoversi, le autorità civili non fecero un bel niente. Ulteriori indagini, effettuate ancora una volta dalla Chiesa, portarono il vescovo Rembert Weakland a scrivere all’allora prefetto della Congregazione della Dottrina della Fede, cardinale Joseph Ratzinger, chiedendo lumi sul caso di padre Murphy e su quello – non collegato - di un altro prete, accusato di crimini sessuali e finanziari. Era il 17 luglio 1996.

Nella sua missiva Weakland spiega che solo da poco era venuto a conoscenza degli abusi di Murphy, che ha incaricato padre James Connell, di condurre un’indagine approfondita sulla vicenda e che, causa la comprensibile reticenza dei ragazzi e della comunità della St John’s School, trova delle difficoltà a ricostruire i crimini di cui si è macchiato Murphy. Non c’è prova che questa lettera sia giunta nelle mani dell’allora Cardinal Ratzinger, che infatti non diede alcuna risposta. E’ questo, forse, l’unico vero giallo di tutta questa storia, ma conoscendo Ratzinger non c’è alcuna ragione per sospettare che il Cardinale volesse mettere tutto a tacere: a che scopo lo avrebbe fatto? Sappiamo quindi per certo che il Vaticano non rispose ma, come vedremo tra poco, dev’essersi trattato di un disguido.

Nel frattempo Rembert Weakland, giustamente, continuò per la sua strada. E sentendosi accerchiato dalle indagini – ecclesiastiche, ancora una volta - il reverendo Lawrence C. Murphy, nel gennaio del ’98 scrisse una lettera al Cardinal Ratzinger nella quale, dopo essersi dichiarato pentito, gravemente malato e in ritiro da 24 anni, chiese l’annullamento del processo a suo carico. La lettera di Murphy, a differenza di quella di Weakland, in Vaticano ci arriva sul serio e monsignor Bertone, esaminata attentamente la vicenda a nome della Congregazione per la Dottrina della Fede, scrive immediatamente a mons. Fliss, vescovo di Superior per dire che il processo a Murphy deve essere andare avanti.

Monsignor Fliss risponde a Bertone il 13 maggio sottolineando che, conformemente a quanto indicato dalla Congregazione, “la necessità “del processo a padre Murphy è evidente, soprattutto alla luce della gravità dello scandalo e del grande dolore inferto alla comunità cattolica della St John’ School. A questo punto, purtroppo, si verifica un problema, ossia la difficoltà di ricostruire i fatti accaduti 35 anni prima, dato che non risultano altre accuse per il periodo dal 1974 in poi. Bertone a questo punto si mette nuovamente in contatto con gli Stati Uniti per sincerarsi che padre Murphy non lasci Superior, dove si trovava, e che sia tempestivamente avviata ogni azione possibile per ottenere il reale pentimento del sacerdote, inclusa la minaccia di “dimissione dallo stato clericale”.

Il vescovo di Milwaukee, il 19 agosto, scrive ancora in Vaticano per mettere Bertone al corrente delle misure prese per attuare le linee indicate dalla Congregazione, e informarlo del fatto che la sua diocesi continuerà a farsi carico delle spese per sostenere le terapie alle vittime degli abusi sessuali. Infine, il 21 agosto padre Murphy muore, chiudendo definitivamente il caso. Questi sono i fatti così come si sono verificati. Fatti che raccontano, com’è evidente, un Vaticano ostinato, deciso a far chiarezza su abusi accaduti decenni prima per i quali le autorità civili non hanno mai pensato fosse necessario celebrare alcun processo. Un Vaticano che non molla, che non ha affatto paura della verità, ma che la cerca, anche quando sembra impossibile da ricostruire.

Ciò che meraviglia, a questo punto, è la fretta di certa stampa di celebrare processi mediatici e sommari per denunciare crimini sessuali diversi per epoca e geografia ma tutti, stranamente, ricondotti alle presunte omertà del Santo Padre quando era Cardinale. Delle due l’una: o Bendetto XVI è davvero l’angelo dei pedofili oppure, molto più verosimilmente, c’è qualcuno che lavora senza sosta per farlo apparire tale. Anche a costo di inventare balle.

 

 

 
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