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“Ma che colpa abbiamo noi?”. Probabilmente sarà stata questa la domanda che si sono posti i nove bambini, sette stranieri e due italiani, della scuola elementare e materna di Montecchio Maggiore (Vicenza) quando lunedì 22 marzo si sono visti servire il vassoio della mensa con sopra soltanto una pagnotta e una bottiglietta d’acqua. Sì, perché il Comune ha deciso di sospendere la refezione scolastica a chi è in arretrato con i pagamenti. L’assessore all’Istruzione del comune, Barbara Venturi, ha spiegato: “Abbiamo richiesto i pagamenti arretrati e la consegna dei moduli in molti modi e abbiamo anche posticipato i tempi, da settembre al 15 marzo. Prima abbiamo contattato gli inadempienti al telefono e poi sono andati direttamente i vigili a consegnare a mano una raccomandata di sollecito”. Insomma, il Comune ha dato l’ultimatum: chi entro il 15 marzo non avrà regolarizzato gli insoluti, si vedrà sospeso il servizio mensa perché, continua la Venturi: “Non è giusto non pagare le rette nel rispetto di chi ha problemi economici e le versa”. Il digiuno era annunciato, quindi, ma ha lasciato spiazzati bambini, maestre e anche la preside dell’istituto, Anna Maria Lucantoni, che ha esortato gli altri bimbi a dividere il pranzo con i compagni meno fortunati e ha esclamato indignata: “Trovo dispregiativo dare un pezzo di pane, se avessimo immaginato avremmo fatto una raccolta di fondi. Ogni pasto, d’altronde, ha un costo di soli 3,95 euro”.
Questo episodio ha suscitato varie reazioni, si va dagli indignati a chi pensa che il provvedimento sia giusto, a quelli che sostengono che la situazione vada ponderata perché non sarebbe la prima volta che “i genitori non pagano la mensa, ma poi portano a scuola il bambino con il SUV”.
Ma qualcuno si è domandato cos’hanno provato i nove bambini di Montecchio Maggiore nel vedersi esposti così davanti ai propri compagni senza aver commesso alcuna colpa? Proprio l’anno scorso si è celebrato il ventennale della nascita della Convenzione sui diritti dell’infanzia, approvata dall'Assemblea generale delle Nazioni Unite il 20 novembre 1989 e ratificata dall'Italia con legge del 27 maggio 1991, n. 176. La Convenzione all’Articolo 27 afferma che: “gli Stati parti riconoscono il diritto di ogni fanciullo a un livello di vita sufficiente per consentire il suo sviluppo fisico, mentale, spirituale, morale e sociale” (comma 1) e che “spetta ai genitori o ad altre persone che hanno l'affidamento del fanciullo la responsabilità fondamentale di assicurare, entro i limiti delle loro possibilità e dei loro mezzi finanziari, le condizioni di vita necessarie allo sviluppo del fanciullo” (comma 2), senza però tralasciare di dire che “gli Stati parti adottano adeguati provvedimenti, in considerazione delle condizioni nazionali e compatibilmente con i loro mezzi, per aiutare i genitori e altre persone aventi la custodia del fanciullo ad attuare questo diritto e offrono, se del caso, un'assistenza materiale e programmi di sostegno, in particolare per quanto riguarda l'alimentazione, il vestiario e l'alloggio” (comma 3). Se non altro, quindi, ricevere un pasto caldo è un diritto di ogni bambino, e anche un dovere da parte degli adulti che di loro hanno la responsabilità.
Cosa rimarrà di questa vicenda ai nove sfortunati protagonisti? Che fiducia potranno sviluppare verso uno Stato e degli adulti che hanno negato loro un piatto di pastasciutta? Fortunatamente, però, potranno anche ricordare il gesto di condivisione dei loro compagni, che non hanno esitato a dividere il pasto con loro. I bambini hanno riconosciuto che sotto i loro occhi si stava perpetrando un’ingiustizia e hanno provveduto rammentando agli adulti, che spesso fanno prevalere logiche burocratiche sul senso vero delle cose, la massima del Vangelo: “se non ritornerete come bambini non entrerete mai”.