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I giudici non credono a Ciancimino. E non sono i soli
Di Giuliano Guzzo - 06/03/2010 - Giustizia  - 1752 visite - 0 commenti
I giustizialisti saranno ancora più viola di rabbia ora che il loro idolo, Massimo Ciancimino - detto “Rolex” per la sua scarsa inclinazione ad una vita normale e lontana da lussi sfrenati - è stato respinto per la seconda volta dai giudici del processo d'Appello a Dell'Utri in quanto testimone poco credibile nfatti, anche se ha deposto al processo Mori dopo ventitrè interrogatori e due ospitate da Santoro, per i magistrati che giudicheranno il senatore già condannato in primo grado per concorso esterno in associazione mafiosa, le dichiarazioni del figlio dell'ex sindaco mafioso di Palermo risultano prive di fondamento. E pensare che Massimo Ciancimino, com'è noto, sostiene che Marcello Dell'Utri abbia addirittura “sostituito” suo padre “nei rapporti tra mafia e politica”(Il Fatto Quotidiano, 11/2/2010, p 9.); insomma, per lui il senatore del Pdl c'è dentro fino al collo.

La credibilità delle sue parole, come dicevamo poc'anzi, ha tuttavia convinto assai poco i giudici della seconda sezione penale della Corte d'appello di Palermo, che, nell'ordinanza con la quale, per la seconda volta in pochi mesi, lo hanno respinto come testimone, hanno scritto:” Le uniche informazioni che egli ha fornito non provengono mai da conoscenza e contatti diretti, bensì da quanto egli afferma di aver appreso dal genitore Ciancimino Vito [...] non sono correlate neppure ad una diretta conoscenza da parte di quest'ultimo dell'odierno imputato (Marcello Dell'Utri), risultando dunque notizie di secondo grado pervenute a Ciancimino Vito da terzi e poi da queste riferite al figlio spesso a distanza di molti anni”. Per farla breve le dichiarazioni di Massimo Ciancimino risultano “connotate da incontestabile progressione e talora da una irrisolta contraddittorietà” in quanto mere “supposizioni”.

In realtà, c'è poco da stupirsi per queste parole, perché sono stati davvero in pochi, in questi mesi, a credere alle dichiarazioni di “Rolex”, specie quando ha parlato del famoso accordo Stato-Mafia. Non ci ha creduto nemmeno la stampa straniera. In Germania, dove il tema mafioso è assai sentito, la “Faz”, testata di destra, ha scritto: “Il discorso mafia in Italia si complica quando i pentiti non appaiono più appetibili e affidabili, come nel caso di Massimo Ciancimino”. Pure la stampa teutonica di sinistra c'è andata giù pesante:”Molti i dubbi sulle rivelazioni del figlio di don Vito” ha affermato la “Rundschau”. Ciancimino non ha convinto nemmeno la stampa iberica: per “El pais”è “un pentito eccellente, brillante, furbo, simpatico, milionario e venditore nato”.

Per la verità nemmeno da noi, amici di Santoro e Travaglio a parte, sono molti quelli che credono alle parole del figlio di don Vito. Dopo aver appreso delle sue dichiarazioni sull'arresto di Riina, Sergio De Caprio, alias Ultimo - quello che Riina l'ha arrestato sul serio - ha trovato in quelle parole “l'ennesima aggressione di stampo mafioso” ed ha aggiunto che “la cosa più grave è che ci sia qualcuno all'interno delle istituzioni che legittima questo servo di Riina. Significa che i servi di Riina sono anche all'interno delle istituzioni” (Panorama, 19/11/09, p.29). Decisamente scettico su Ciancimino è anche Francesco Cossiga. Il presidente emerito della Repubblica ha scritto:”C'è da chiedersi il motivo per il quale il giovane Ciancimino si sia ricordato di dire queste cose e di esibire questa lettera (il presunto papello) solo adesso. Sorge il dubbio che lo faccia per ingraziarsi i magistrati e perché spera che mollino l'osso del ricco patrimonio che il padre gli ha lasciato all'estero” (Il Tempo, 16/10/2009, p.1).

La vicenda del papello ha convinto poco anche Luciano Violante, magistrato nonché ex presidente della Camera:”In questa vicenda del papello, di cui si parla oggi,alcune cose colpiscono. Primo. Che ce l'abbia prima l'Espresso e poi la Procura di Palermo. Qual è il senso di questa consegna a un media prima che ai magistrati? Che gioco sta facendo Massimo Ciancimino? Perché rendere pubblico quel documento? [...] credo comunque che Berlusconi non abbia niente da temere dalla scoperta della verità” (Il Secolo XIX, 16/10/2009, p.1).

Ora, al di là delle dichiarazioni di Tizio e di Caio, ci sono dei “fatti”, come direbbe Travaglio, che effettivamente sconcertano a proposito della serietà con la quale, da mesi a questa parte, viene gestito il caso Ciancimino. Il compianto Giovanni Falcone, quando interrogò Buscetta per tre lunghi mesi, lo face senza che mezza parola, né una domanda o una risposta uscissero dalla stanza degli interrogatori, mentre le dichiarazioni di Ciancimino, come annota giustamente Violante, sono arrivate prima sulla stampa e solo dopo alla Procura.
E' normale tutto questo?
Ancora: in molti ipotizzano che Ciancimino parli per un solo interesse: il suo. E nessuno, effettivamente, può negare che, dopo aver cominciato a parlare con i pm delle strati di mezza Italia, il figlio di don Vito, guarda caso, abbia visto dimezzarsi in appello la pena incassata al primo grado al processo che lo vede imputato per aver riciclato il presunto tesoro di Cosa nostra. Questo mentre Ciancimino raccontava storie incredibili. Come quella secondo la quale suo padre “faceva parte di Gladio”.
Peccato che il presidente di Stay Behind smentisca che il nome di Vito Ciancimino sia nell'elenco di Gladio assegnato alla relazione presentata al Senato nel '91 e che non appaia nemmeno fra gli appartenenti nati in Sicilia.

Altra perla da antologia è quella su Ustica. Massimo Ciancimino ha dichiarato: “non mi posso scordare: il 19 giugno 1089, mi ricordo che proprio quella sera ci fu la strage di Ustica. Mio padre incontrò il ministro Ruffini”. Purtroppo per Ciancimino la strage di Ustica avvennte il 27 e non il 19 giugno, e all'epoca del disastro Ruffini non era più ministro della Difesa e nemmeno degli Esteri. Dettagli, potrà obbiettare qualcuno. Certamente; ma se uno esibisce un papello con 12 presunte richieste mafiose allo Stato (di fatto mai concretizzatesi) - e che il grafologo giudiziario Roberto Travaglini ha valutato scritto da un insicuro “come a voler dare un'immagine di sé forte e potente” (Corriere della Sera, 17/10/2009, p.19) - se parla sbagliando date – pure quelle arcinote -, nomi, cariche e contraddicendosi ogni due per tre, forse è poco attendibile.
Infatti, i magistrati a uno così non credono. E non sono i soli.
 
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