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Il presidente della Repubblca ha firmato: il diritto di voto per 15 milioni di elettori non è stato cancellato per cavilli burocratici.
C’era chi voleva vincere senza confronto; chi pretendeva la vittoria a tavolino, escludendo ad esempio Formigoni perché mancava qualche timbro o perché alcuni cittadini non avevano specificato se provenivano da Vengono superiore o Vengono inferiore, come se ciò non li rendesse identificabili. Summum ius summa iniuria, dicevano i romani. Quando il diritto diventa cavillo, lettera morta, è una ingiuria al diritto, uccide il diritto. E il vero diritto qui era quello a votare, per ben 15 milioni di elettori che altrimenti avrebbero avuto la possibilità di scegliere tra zuppa e pan bagnato. Perché non si può far finta che Formigoni non rappresenti realmente da anni circa il 60 % dei Lombardi! Alla faccia dell’amore per la democrazia del Partito Democratico.
L’ex PCI Bersani, però, è stato smentito nientemeno che dal suo vecchio compagno di partito, Giorgio Napolitano, comunista dai tempi in cui Stalin era, per i comunisti italiani, il babbo buono e dolce che amava il popolo russo e tutti i comunisti del mondo. Onore a Napolitano, dunque, che ha semplicemente applicato un principio giuridico fondamentale: la sostanza deve talora prevalere sulla forma. Un principio che tutti i manuali per presidenti di seggio, avendolo io fatto una decina di volte, dicono doversi usare anche in sede di scrutinio: infatti se il vizio di forma non è estremamente grave, gli scrutatori devono interpretare il desiderio dell’elettore, e non cassarne il voto.
Ma il divertente sono i radicali al servizio della legalità: loro che gestivano cliniche clandestine, contra legem, per aborti e sterilizzazioni ed eutanasia! Loro che distribuivano droga pubblicamente contro le leggi italiane! Loro che hanno condotto la campagna contro la legge 40 querelando a destra e a manca, senza vincerne una, chi li contraddiceva...nemici come sono, da sempre, della vera libertà!
Adesso la partita è riaperta: la parola agli elettori.
Di seguito l'opinione del noto costituzionalista di sinistra Valerio Onida: «Francamente, la storia delle firme mi sembra una cosa fuori dal mondo. Ho visto l’esposto dei Radicali e la prima deliberazione dell’Ufficio centrale regionale. L’idea che i timbri, o la mancanza di indicazione del luogo possano viziare l’ammissibilità di una lista, mi sembra molto fragile» (da: il sussidiario.net)
e la denuncia di Formigoni:
"Elenco 116, firma numero due. Sembra un pennarello. Bocciata. Elenco 64, firma numero 19. Il signor Vittorio aggiunge il secondo nome (Pier) tra parentesi. Bocciato. Avanti. Il luogo dell’autentica è «Mariano C.Se». Che sta per Mariano Comense. Bocciato. Unisci i puntini: sono tutte sottoscrizioni del Pdl. Cambio versante, si passa al Pd. Tutta un’altra musica. Autentica del luogo: C.M. (Cassano Magnago). Presa. Trenta sottoscrizioni vidimate da un consigliere regionale del Pd. Roba buona. Peccato che la legge non li includa tra i soggetti titolati a farlo. Avanti. Moduli da 24 firme in cui ne mancano due, eppure contati come 24. E poi, il mistero di Bergamo. Dove - raccontano nei corridoi del municipio - Tommaso D’Aloia (consigliere comunale del Pdl) scopre di aver fatto il salto della quaglia, e autenticato le liste dei candidati dei Verdi. Non è una svolta ecologista. È che qualcuno l’avrebbe fatto al posto suo. Tutto in regola per la Corte d’Appello. La forma è salva, e la forma - hanno spiegato i giudici - è sostanza. Vero. Anche se, vista dal centrodestra, la sostanza è un’altra. «Sono stati usati due pesi e due misure». Uno accanto all’altro, lanciano l’accusa. Il governatore della Lombardia Roberto Formigoni, il coordinatore e presidente della Provincia Guido Podestà, il deputato Massimo Corsaro, che assieme a Paolo Valentini (capogruppo regionale Pdl), ha passato due giorni a districare il pasticcio elettorale.
«Più soggetti - incalza Formigoni - hanno concorso per danneggiare la nostra lista. Ma non ci sono riusciti». Sul tavolo, quattro plichi. Pd (il faldone più grosso), Federazione della Sinistra di Vittorio Agnoletto («per il quale - insistono i colonnelli - andrebbero espunte centinaia di sottoscrizioni»), Udc di Savino Pezzotta e «Movimento a 5 stelle» di Vito Crimi. L’outsider appoggiato da Beppe Grillo. Per lui, c’è quella che i vertici del partito chiamano una «simpatica particolarità». E cioè che l’atto di presentazione della candidatura (quello da cui dipendono tutti gli altri, e senza il quale gli altri decadono), riporta come autentica il timbro e la firma di un cancelliere della Corte d’Appello di Brescia. E fin qui va bene. Peccato che manchino luogo e data. Sono gli stessi «cavilli» - fanno notare - in base ai quali la lista «Per la Lombardia» è stata estromessa dalle urne. Eccoli, centinaia di fogli a comporre il cahier de doléances del Pdl. Tutti casi nei quali, spiegano i maggiorenti del Popolo della libertà, «se fossero stati applicati i criteri adottati dalla Corte d’Appello con noi, si sarebbero rilevate centinaia di irregolarità». Fino al paradosso di «arrivare a elezioni senza candidati». L’elenco è lungo. E parte, ovviamente, dal Pd. L’accorto invito fatto giovedì dal capogruppo in Regione Carlo Porcari («Non ci opporremo se il Tar riammetterà Formigoni, se Formigoni non attacca le liste degli altri») e poi ribadito da Filippo Penati (che ieri ha chiamato il presidente della Corte d’Appello Alfonso Marra per chiedere «il rispetto della privacy, ma non ho problemi in merito ai controlli»), cade nel vuoto. Così, fioccano i numeri: 21 firme assenti, 101 senza timbro tondo, 51 in cui manca la data, 120 prive di qualifica dell’autenticante, 11 senza luogo, più di 200 sottoscrizioni definite «anomale», altre 302 irregolarità di varia natura e specie. Totale, 824 firme che, per il Pdl, andrebbero tolte alla lista «Penati Presidente» facendola crollare sotto la soglia minima di 3.500 fissata dalla legge. Mal comune, zero candidati. E poi, la mancanza di puntiglio nella verifica analitica delle altre liste. Secondo il Pdl, gli elenchi a supporto del listino «Per la Lombardia» è pieno di «spuntature e crocette, che sono evidenze del fatto che i nostri moduli sono stati ricontati più volte». Quei segni, dicono, mancano sulle liste degli altri. Passate indenni per la tagliola dell’ufficio elettorale. «Adottando lo stesso criterio usato con noi - insiste Corsaro - anche le liste di Penati, Crimi e Agnoletto andrebbero escluse». Salvo solo Pezzotta, Pezzotta presidente? Mica detto. «Le nostre verifiche sulla lista dell’Udc sono ancora in corso». Insomma, nel fango la compagnia non manca. E allora, chiede Formigoni, «chi ne ha l’autorità riveda tutte le firme presentate, la adotti in maniera univoca e tragga le conclusioni» (Il Giornale, 5 marzo)