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Il comunismo come religione materialista e scientista
Di Francesco Agnoli - 05/03/2010 - Storia del Novecento - 1839 visite - 0 commenti

Il comunismo, si dice spesso, è morto e sepolto. In verità, oltre che in Cina, Corea del Nord, Cuba e altre realtà più piccole, esso è ben vivo, come mentalità, anche in Europa.

Cercherò di argomentare a favore di questa tesi in un serie di articoli successivi.

Per cominciare partirei dalla visione della religione propria del “comunismo”. E’ risaputo che nell’ottica marxista-leninista la religione è “l’oppio dei popoli”, una protesta fasulla contro la “miseria reale”, che ha come unico fine quello di alienare ulteriormente l’uomo e di mantenerlo nella condizione di minorità in cui esso è a causa della struttura economica. Quando la società diventerà economicamente giusta, la religione morirà d’inedia, perché essa è un narcotico, è illusoria, fallace, astratta, mancando di aderenza alla realtà ed alla storia.

Al paradiso nell’aldilà, Marx e Lenin contrappongono il paradiso nell’aldiqua, e lo ritengono, quello sì, realizzabile, concreto, tangibile. Nella società comunista del futuro, profetizzano, scompariranno egoismo, stato, esercito, polizia, guerre, e tutti vivranno felici e contenti, come nelle migliori favole. Nella società comunista, si poteva leggere alcuni decenni fa sulla rivista Kommunist, “saranno inconcepibili la cupidigia, la bramosia del proprio tornaconto, il tentativo di danneggiare la proprietà sociale, la tendenza a sottrarsi all’adempimento dei propri obblighi…Lo scomparire dalla faccia della terra dei sostenitori dello sfruttamento, della violenza, delle guerre spazzerà via dall’animo dell’uomo i rimasugli del sentimento dell’odio, condurrà al rafforzamento dell’amore fraterno ecc.”.

Nel 2010, si leggeva sulla Komsomolskaja Pravda del 31 dicembre 1959, il comunismo sarà trionfante nel mondo, tutti staranno economicamente bene, vi saranno macchine e case per tutti, ma senza lucchetti, senza chiavi, perché sarà sparito ogni egoismo e la criminalità debellata per sempre. Il progresso scientifico porterà a scoperte sempre più strabilianti e nelle case, accanto ai rubinetti per l’acqua, vi saranno quelli per il latte! L

a fede comunista, che nasce dall’ottimismo antropologico illuminista e dalla negazione del peccato originale, è ciò di più anticristiano si possa concepire, in quanto è l’affermazione che l’uomo basta a se stesso , è unico redentore, infallibile, della sua esistenza. Ma oggi, dopo milioni di persone che vi hanno creduto ciecamente, generando solo morte, devastazione, sottosviluppo, è piuttosto difficile aspettare la felicità dalla ricetta economica di Marx, che appare, essa sì, utopica, illusoria, oppiacea, astratta.

Ma l’idea che l’uomo possa crearsi il paradiso da solo, rimane quella dei bolscevichi di un tempo. Non è un caso che siano comunisti o ex comunisti come Veronesi, Dawkins, Desmond Morris, Hack, Odifreddi, Flamigni e tanti altri, ad accusare di continuo la religione di essere l’oppio dei popoli, il freno alla felicità, garantita, in futuro, dalla scienza e dalla tecnica.

Quando andai in Russia nel 1960, ricordava tempo fa Padre Romano Scalfi, mi veniva sempre proposta la stessa tiritera: “la scienza ha dimostrato che Dio non esiste”. Contemporaneamente il partito comunista prometteva ai cittadini che “in futuro noi vivremo cent’anni senza ammalarci mai, e per i nostri posteri sarà ancora meglio”. In effetti, all’epoca di Kruscev, “scienza” divenne più che mai la parola magica per attaccare la fede: non più persecuzione diretta dei credenti, ed internamento in lager, con scarsi risultati, ma propaganda massiccia, corsi di ateismo condotti da varie associazioni, quali ad esempio la “Società per la diffusione delle conoscenze scientifiche”. Un libretto pubblicato nel 1962, “Fondamenti di ateismo scientifico” incominciava così: “la scienza storica dimostra che tanto Gesù Cristo quanto l’apostolo Paolo sono personalità mitiche, cioè che non esistettero mai…Il cattolicesimo attuale, come quello medievale, è nemico della scienza progressiva…” (citato in P. Colognesi, “Russia Cristiana”, san Paolo).

Analogamente, circa quarant’anni prima, Nikolai Bucharin, pupillo di Lenin, direttore della Pravda fino al 1929, a lungo capo del settore programmazione della ricerca scientifica e membro della Accademia sovietica delle Scienze, prima di essere fucilato nel 1938 nel paradiso sovietico che aveva contribuito a creare, insegnava: la religione ed il comunismo sono incompatibili perché l’idea di Dio “si è formata ad un certo stadio della storia umana” e “questa idea puerile e non confermata dall’esperienza...comincia a venire meno” proprio grazie alle “scienze naturali che sono in netta antitesi con tutte le favole religiose”.

Sarà la scienza, insomma, dicevano i bolscevichi, insieme al nuovo assetto economico, a realizzare la morte per fame della religione e la sua immancabile scomparsa.

Conclusione: del comunismo, che fu anche sogno di un completo benessere materiale, rimangono oggi il consumismo, con i suoi rubinetti che versano latte, e lo scientismo, la fede cieca nelle “magnifiche sorti e progressive” dell’uomo che ha eliminato Dio. Dalla scienza infatti in molti si aspettano ancora longevità indefinita, fertilità senza limiti, bambini su misura e la fine delle malattie e del dolore. In una parola: la salvezza.

Tutta roba concretissima, dicono, “scientifica”, non come l’aldilà, illusorio, dei credenti. Tutta roba che accadrà a breve, come i trilioni di malati che guariranno, domani o post-domani, con le staminali embrionali, come prometteva “l’Unità” nei giorni precedenti al referendum sulla legge 40 del 2005. da:  Il Foglio (continua)

 

Nella foto una delle innumerevoli statue disseminate in Urss e dedicate a Lenin, ed alla sua divinizzazione.

 
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