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Lo Stoicismo: la riduzione dell’irriducibile
Di don Matteo Graziola - 27/03/2010 - Corso base di filosofia - 1623 visite - 0 commenti

L’ontologia stoica è centrata sull’idea di Logos: l’essere risulta determinato da una razionalità, da un disegno, da una norma, che definisce sia la logica (cioè la verità e il metodo per riconoscerla), sia la fisica (cioè la realtà, nella sua struttura interiore e nei suoi dettagli), sia l’etica (cioè la norma della vita giusta).

Questo Logos coincide con il Fuoco che anima tutto l’essere e gli conferisce energia e orientamento. Si tratta in definitiva di Dio stesso, inteso come il principio attivo che permea tutto l’essere, il quale coincide con la realtà sensibile. Dunque una nuova versione del rigido materialismo epicureo, che esclude ogni realtà soprasensibile, benché non di stampo atomistico: tutto l’universo infatti è mosso da una forza razionale, il cui disegno è ben preciso e non più imprevedibile.

Ma con ciò viene rafforzata l’idea della meccanicità e necessità di questo sviluppo cosmico: tutto è rigorosamente determinato dal disegno universale e ogni cosa ha il suo posto e la sua funzione in senso meccanicistico. Dio stesso, il Logos, è una realtà impersonale e, per così dire, tecnico-razionalistica. L’uomo stoico si pone di fronte a questo immenso meccanismo cosmico, destinato a ripetersi sempre uguale infinite volte, e si rende conto che la strada della saggezza sta nel riconoscere la norma o ragione che governa tutte le cose ed adeguarsi ad essa facendola propria.

Opporsi ad essa non servirebbe a nulla, perché si tratta di una ineluttabile necessità, di un ‘fato’ inevitabile. L’uomo del resto porta dentro di sé qualcosa del Logos, vale a dire il fuoco-pneuma che chiamiamo anima: riconoscere dunque il Logos come norma di vita iscritta nella natura è la virtù. Ma anche in questa visione compatta e solida dell’essere si manifestano quelle incongruenze o crepe che aprono la via per orizzonti ben più ampi.

Nella teoria della conoscenza lo stoicismo sostiene che tutto è determinato dalla sensazione e dalla natura corporea di conosciuto e conoscente; ma dovendo definire i concetti universali la dottrina stoica parla di realtà incorporee, pur cercando di ridurle a puri effetti di realtà corporee. Nella descrizione dell’assenso alla verità parla della ‘libertà’ come della saggezza di chi si conforma ai voleri del Destino: ma ciò facendo introduce una realtà anomala al’interno del rigido meccanicismo universale; infatti in questo modo paradossalmente l’uomo appare come un ente superiore a tutto ciò che lo circonda, perché possiede una consapevolezza personale e libera che non è posseduta da niente altro, nemmeno dal Logos, inteso com’è in modo impersonale e materialistico.

Nonostante dunque la potenza invincibile della necessità universale, del fato, della logica impersonale dell’essere, lo stoico suo malgrado non fa che mettere in evidenza la non corrispondenza dell’uomo con questo contesto che lo genera: la sua umanità per così dire gli sfugge di mano e mette in scacco l’intero meccanismo, mostrando che sia l’essere proprio che quello universale portano dimensioni che non si lasciano incastrare in meccanismi automatici, neanche di estensione cosmica.

 E il tentativo di far accettare all’uomo l’imponenza schiacciante dell’essere impersonale con il ricorso all’apatia, si rivela anche qui come provvidenzialmente controproducente, perché non fa altro che manifestare ancora di più l’irriducibilità del piccolissimo e insieme grandissimo fenomeno dell’”io” e la necessità quindi di ripensare tutto il vero spessore dell’essere totale che lo genera.

Lo stoicismo lascerà in eredità l’idea di Logos come parziale ma fondamentale intuizione della profonda razionalità dell’essere: il cristianesimo annuncerà che si tratta di una realtà personale e questo permetterà di comprendere veramente l’uomo e il suo posto nel mondo. Ciò risponderà anche all’esigenza della ragione filosofica, che intuisce l’irriducibilità del Logos.

Infatti, se è evidente che nella realtà c’è l’impronta di un ‘Logos’, cioè di una ragione, di un disegno, di un progetto (anche solo come dinamismo evolutivo carico di potenzialità razionale); e se è evidente che l’uomo rappresenta tra gli enti il vertice della produzione razionale, cioè il vertice dell’espressione del ‘Logos’ insito nella realtà; allora è evidente che questo ‘Logos’ - che si dimostra capace di produrre la realtà personale, cioè che si rivela un Logos che possiede la capacità di progettare, volere e realizzare tale realtà personale – è una realtà superiore alla persona umana come noi la conosciamo attualmente, perché essa non possiede tale capacità: dunque la realtà che progetta-vuole-realizza la realtà della persona dimostra di essere in primo luogo ‘persona’ – cioè dotata di razionalità, di coscienza, di volontà, di azione, di soggettività -, e in secondo luogo ‘persona superiore’ – cioè dotata di queste doti ad un livello più alto del nostro.

Perciò l’idea di ‘Logos’ proposta dagli stoici ha senso solo se esso è ‘Persona’ e non meccanismo. Se fosse meccanismo infatti saremmo di fronte ad una duplice difficoltà logica: anzitutto l’idea che da un meccanismo possa emergere un non-meccanismo, cioè la persona; quindi l’idea che l’essere sia impostato come meccanismo capace di produrre la persona senza avere a sua volta alcuna ragione del suo essere così – cioè l’assurdo di un essere dotato della capacità di produrre la persona senza avere alcuna ragione di esistere così: perché per esistere così, come un ente limitato – in quanto si suppone che non sia persona – o rimanda a sua volta a un essere illimitato –cioè persona - che lo produce, oppure è egli stesso l’essere illimitato – cioè persona – che non ha bisogno di altro per esistere perché è illimitato.

Un meccanismo capace di produrre la persona è dunque un controsenso logico sia nel passaggio dal meccanismo alla persona, che nella giustificazione della sua esistenza.

 
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