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Subito dopo Bertolaso, il grande inquisito di questi giorni è lui, Beppe Bigazzi, giornalista colpevole d’aver citato in diretta televisiva un proverbio toscano - "a berlingaccio chi non ha ciccia ammazza il gatto" -, riferendo inoltre d’aver assaggiato carne felina in più occasioni. Non l’avesse mai detto: le associazioni animaliste si sono scatenate suscitando un clamore che ha indotto i responsabili della Prova del cuoco a sospenderlo dalla trasmissione. Taluni hanno persino ventilato l’ipotesi di istigazione al maltrattamento di animali. Insomma, per Bigazzi è scattata un’epurazione in piena regola, che, a giudicare dalle proteste che ha sollevato, potrebbe essere seguita da indagini, rinvii a giudizio, processi, condanne, ergastoli. Staremo a vedere.
Nel frattempo, si annota come, in effetti, il giornalista abbia dato prova di scarsa furbizia: avesse, chessò, insultato il Premier esprimendo vicinanza a Tartaglia, almeno, sarebbe stato circondato dai paladini della libertà di stampa, ma avendo osato – che sacrilegio! – rievocare passaggi della saggezza popolare ingiuriosi verso i felini, non merita alcuna difesa. Battute a parte, credo che questo episodio, ed in particolare le reazioni scomposte che ha generato, meritino una riflessione in ordine all’attaccamento, talvolta esagerato, che riserviamo agli animali.
Premessa: lo scrivente è un vicentino irritato dalle continue dicerie sulla cucina dei gatti ed è un convinto amante degli animali; questo non mi impedisce, tuttavia, di riscontrare spesso un’attenzione quasi maniacale verso il mondo animale, che molti umani amano più di loro stessi. Accade così che un quinto degli adulti, secondo quanto emerso da una ricerca che ha coinvolto 24.000 persone in 23 paesi, preferisca trascorrere il giorno di San Valentino con il proprio animale domestico piuttosto che col partner.
Ora, nessuno nega le difficoltà di una convivenza o di un matrimonio così come nessuno sottovaluta il legame che, negli anni, viene a crearsi tra un animale e il suo padrone, ma da qui a preferire un quadrupede peloso al proprio amato o alla propria amata, ce ne passa. Anche perché l’indagine in questione non è causale: si sta davvero verificando un progressivo e morboso attaccamento verso gli animali. Micheal Schaffer, autore di “One Nation Under Dog”, annota come mentre un tempo sulle lapidi di tombe per animali si potevano leggere scritte come “Qui giace Fido, servo fedele” oppure “Qui giace Fido, migliore amico dell’uomo”, oggi si leggono incisioni della serie “La mia piccola bambina” o “Ci manchi, firmato Mamma e papà”. A scanso d’equivoci, ribadisco che il sottoscritto, che qualche tempo fa ha perso un cane col quale ha condiviso quindici dei suoi venticinque anni, non intende affatto irridere l’attaccamento verso gli animali, bensì denunciarne la degenerazione.
Una degenerazione del tutto paradossale: proprio negli anni che vedono affievolirsi le coscienze su drammi come l’aborto o la fecondazione assistita, che ogni anno impediscono a milioni di bambini di venire al mondo, le medesime coscienze si genuflettono in favore di uno smisurato affetto verso gli animali, fino a trattarli al pari delle persone. Un trattamento che prevede pure pesanti investimenti: nonostante la recessione che sta paralizzando l’economia planetaria, la spese per gli animali sono infatti aumentate del 5,4%, passando dai 31,8 miliardi di euro del 2008 ai 33,5 del 2009. Solo dieci anni fa, le spese per gli animali si aggiravano sui 17 miliardi di euro.
Questo significa che l’amore folle per gli animali, oltre che moralmente dubbio – tanto più in tempi che vedono miliardi di esseri umani affamati -, è pure economicamente consistente. Con risultati, come dicevamo, paradossali: quasi nessuno presterebbe ascolto alla richiesta di un barbone che, per strada, ci fermasse per chiedere aiuto, mentre tutti s’arresterebbero commossi se, su quello stesso marciapiede, ci fosse un cucciolo di cane scodinzolante. E’ normale tutto questo? Crediamo di no. Perché se è impossibile odiare gli animali rispettando prima tutti gli esseri umani, è purtroppo dimostrato come sia possibile – si vedano gli esempi di Hitler e Bin Laden – adorare gli animali al posto degli esseri umani.
Ed è proprio questo, in fondo, il rischio: umanizzare gli animali disumanizzando le persone, osannare il bestiale dimenticando l’elementare, dovuto, rispetto ai propri simili, gridare contro Bigazzi e non riservare la stessa indignazione verso tutte le umiliazioni cui sono sottoposti, ogni giorno, miliardi di esseri umani. Gli animali ci chiedono di essere amati per quello che sono. Gli esseri umani pure.