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Il nuovo esame di stato calpesta le scuole paritarie
Di Gianburrasca - 01/02/2007 - Scuola educazione - 1664 visite - 0 commenti

Mi piacerebbe sapere cosa ne pensano l'assessore Salvaterra e gli esponenti politici del centrosinistra trentino. E sarei curioso di leggere un commento del direttore dell'istituto Arcivescovile di Trento, don Umberto Giacometti, presidente delle scuole cattoliche della nostra regione.

Con la legge n. 1 dell’11 gennaio 2007 il nuovo esame di Stato, che conclude il ciclo dell’istruzione secondaria superiore, è diventato realtà. Nelle nuove norme aspetti positivi si sommano ad aspetti assolutamente negativi. Con la legge è stata infatti introdotta una discriminazione nei confronti dei docenti e degli alunni delle scuole paritarie, discriminazione che contraddice, nello spirito e nella lettera, la legge paritaria n. 62 del 2000.

Succede, infatti, che i dirigenti e i docenti delle scuole paritarie, provvisti dei dovuti titoli accademici di laurea ed abilitazione, non potranno ricoprire il ruolo di presidenti e commissari esterni nelle Commissioni di esame delle scuole statali e paritarie. Inoltre non è prevista la copertura delle spese da parte dello Stato dei commissari interni paritari alla stregua dei corrispettivi colleghi statali. Il modo in cui è stata introdotta questa discriminazione è la norma che stabilisce che i commissari esterni devono essere insegnanti assunti attraverso pubblico concorso, quindi solo statali.

Se l’assunzione per concorso dovesse essere un prerequisito per partecipare come commissario esterno ad una commissione di esame di Stato, lo stesso dovrebbe valere anche nel caso dei commissari interni perché concorrono a "costituire" la "commissione" esaminatrice di Stato di una scuola paritaria, valutando gli alunni e rilasciando un titolo di studio con valore legale a seguito appunto di un esame di Stato.

La necessità di un "concorso" pubblico non era mai stata prescritta nei decenni scorsi né per i membri interni delle scuole legalmente riconosciute o paritarie, né per i membri esterni, provenienti dalle scuole legalmente riconosciute, delle commissioni statali. Inoltre la decisione di mettere a carico delle scuole paritarie l’onere spettante ai propri commissari interni è ingiusta in quanto essi svolgono una funzione pubblica, all’interno di una commissione statale, per rilasciare un titolo di studio con valore legale.

Si smentisce così una prassi esistente da decenni, ben prima della legge sulla parità, nonostante le scuole legalmente riconosciute non fossero affatto considerate "parte costitutiva" dell’unico sistema scolastico nazionale, come recita il primo articolo della legge 62/2000.

Ecco perché queste nuove norme sull’esame di Stato costituiscono distorsioni, forme striscianti di neostatalismo, di misconoscimento della funzione pubblica della scuola paritaria e del servizio altrettanto pubblico e di pubblica utilità svolto dai suoi dirigenti e docenti. A dichiarazioni verbali di rispetto e attuazione della legge 62 del 2000 corrispondono sempre più spesso atti che ne violano lo spirito e la lettera.

La Provincia autonoma di Trento, che come dimostra la recente riforma varata in questo settore nel luglio scorso dispone in materia scolastica di una relativa indipendenza normativa, per ora ha accolto la nuova legge nazionale senza batter ciglio, senza probabilmente curarsi dell'impatto di questi cambiamenti sugli istituti paritari. I cui dirigenti preferiscono subire queste mortificazioni e continuare a vedere discriminate le paritarie, per il timore che protestare contro queste sopraffazioni potrebbe magari determinare ritorsioni finanziarie della Provincia.

Ma sentirsi sotto ricatto vuol dire accettare il rango di istituti di "serie B" o "C" assegnato dalla politica - e non, si badi bene, dalle leggi - a queste scuole che esercitano un servizio pubblico a tutti gli effetti e dovrebbero quindi godere di pari diritti rispetto a quelle gestite dalla Provincia. Altrimenti anche gli alunni e le famiglie che hanno scelto l'iscrizione a queste scuole sono da considerare, in ragione di questa scelta, cittadini di "serie B" o "C".

 
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