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E pensare che poi, lorsignori, hanno pure il coraggio di far la morale. Chissà dove lo trovano, il coraggio: si battono per l’aborto legale e poi propugnano la causa degli aiuti umanitari, vogliono le riforme e appena un ministro ne predispone una gridano al delitto di lesa maestà, invocano emancipazione e libertà ma esprimono la più ipocrita delle indignazioni per le debolezze sessuali del governante di turno. Purché sia non sia un “sincero democratico”, s’intende, altrimenti viene messo tutto a tacere. Prendete John Kennedy: è stata resa pubblica, qualche mese fa, una foto che ritrae il compianto Presidente in barca in compagnia di quattro donne in topless proprio nei giorni in cui Jacqueline abortiva e tutti, chissà come mai, a dubitare dell’autenticità di quello scatto. Nessun tentennamento, invece, sull'indignazione scatenata delle foto di Villa Certosa. Strano, non vi pare?
A questo proposito, urge annotare come lo scettro dell’ipocrisia, ora e sempre, giaccia nelle mani di Repubblica: ai tempi dello scandalo Clinton, i suoi redattori spesero infatti parole commoventi per spiegare che non era giusto decapitare la guida dell’amministrazione americana per una storiella simile, probabilmente infondata. Ed è noto, poi, come finì quella vicenda. Ma rinfreschiamoci la memoria: era gennaio 1998 quando Bill Clinton, quando lo scandalo era già nell’aria, accettò di farsi intervistare dalla rete televisiva Pbs per affermare con granitica sicurezza di non aver mai “avuto relazioni sessuali o altro tipo di relazioni illecite” e di essere solo interessato a “contenere” gli “impulsi e continuare a lavorare normalmente" (Repubblica, 22/1/98, p.13).
Poi uscì un dossier di sole 700 pagine talmente ricco di prove schiaccianti che, nell'agosto dello stesso anno, con un intervento televisivo, il Presidente vuotò il sacco ammettendo d’aver mentito al Paese sull'intera vicenda. Nemmeno in quel caso, tuttavia, a sinistra ci fu chi chiese la testa del bugiardo e sessuomane Clinton. Perché il problema, per certa gente, rimane sempre e solo lui, il Silvio. Ma solo se di cognome fa Berlusconi. Perché se invece si chiama Sircana e svolge l’umilissimo mestiere di portavoce del Governo, è giusto si faccia gli affari suoi in santa pace, e se un fotografo avesse mai l’ardire di immortalarlo sulla pubblica via mentre parla con dei transessuali, tanto peggio per lui. In tempi più recenti, i sacerdoti del moralismo, dopo aver abbandonato le prediche sessuofobe in seguito allo scandalo Marrazzo, hanno cominciato a prendersela con l’immunità parlamentare, giudicata come minaccia alla vita democratica. E pazienza se sono stati proprio loro, Scalfari, Bonino e Di Pietro a servirsi dell'immunità per sfuggire a processi e condanne certe.
Niente di che stupirsi: è questa, da decenni, la spettacolare coerenza con la quale si ammantano i “sinceri democratici”: il sospetto sempre e comunque verso Berlusconi, il culto della privacy verso le malefatte vere o presunte dei loro Sircana, Marrazzo e Delbono. Quest’ultimo, poi, merita in effetti un plauso: si è dimesso sul serio. In fondo risulta indagato solamente per peculato, abuso d’ufficio e truffa in relazione ad alcuni viaggi che fece - pare - portando a con sé, a spese del contribuente, d’ex fidanzata. Battute a parte, urge intendersi: i mascalzoni siedono a destra, sinistra e al centro. Ma la superiorità morale no, quella sta solo a sinistra. Perché solo da quelle parti il moralismo gode di regolare permesso di soggiorno.