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Qualche giorno fa il nella cronaca di Milano il Corriere della Sera ha pubblicato la lettera di una ragazza, una studentessa della Bocconi, che a soli 18 anni si è scoperta sieropositiva.
Colpa della droga, di una leggerezza compiuta sotto l'effetto dell'alcool, di avventure di una notte con qualche giovane apparso irresistibile? No, niente di tutto questo; Michela, questo è il nome di fantasia che decidiamo di darle, stava col suo ragazzo da quattro anni, si fidava di lui, aveva rapporti solo con lui. Ma non altrettanto aveva fatto lui. Così è avvenuto che Michela è stata infettata da colui nei cui confronti aveva riposto la massima fiducia e da tre anni è in cura presso un centro specializzato nella città.
"Se ci fosse stata una maggiore informazione o una rieducazione sessuale, io probabilmente non avrei fatto sesso non protetto con il mio ragazzo con il quale stavo da 4 anni, se gli uomini smettessero di tradire le proprie mogli e fidanzate, io ora non sarei malata di HIV, e non sarebbe per me così difficile tante volte trovare una ragione di vita", scrive Michela. Già, se ... se, quanti se. Una vita, quella di Michela, tradita dalla menzogna. La menzogna di un ragazzo che mentre si univa alla sua fidanzata, a cui aveva promesso amore e fedeltà, nascondeva di non essere stato capace di onorare quella stessa promessa.
La menzogna di un gesto il cui significato intrinseco, come tante volte ha insegnato Giovanni Paolo II nell'intero di ciclo di catechesi sull'amore umano, esprime il massimo di unione possibile tra due persone e che invece era realizzato per realizzare il massimo di distanza: usare l'altra per soddisfarsi col suo corpo, violando quel principio kantiano di non ridurre l'altro a solo mezzo. La menzogna di una società che attraverso la tecnoscienza promette di potere manipolare a piacimento una forza esplosiva come la sessualità, che promette di sezionarla nelle sue dimensioni e prenderne solo la parte che in quel momento interessa.
Una promessa che nel doloroso silenzio di tanti uomini e donne che ne patiscono le conseguenze si rivela tragicamente falsa. Il sesso ha una potenza spaventosa, è un mezzo la cui energia permette una straordinaria accelerazione su quell'autostrada che è la vita umana, ma proprio perché è un bolide è necessario conoscerlo e rispettarlo. Se qulcosa deve essere insegnato è che la sessualità è una cosa seria della vita, non è riducibile a quel giochino pulsionale senza conseguenze, se solo si usa uno strato di lattice, una compressa, o, meglio ancora entrambi, come insegnano sin dai 13 anni nelle scuole olandesi, dove però il tasso di aborti è del 17% più alto rispetto alle coetanee italiane.
Non basta demandare alla scuola uno sforzo educativo di tal genere, le famiglie hanno il diritto di ottenere informazioni e di selezionarle in base al grado di maturazione dei propri figli, che non sono tanti piccoli Big Jim e Barbie tutti uguali, ma persone, esseri umani irripetibili. Le famiglie hanno anche il diritto a non ricevere un continuo bombardamento mediatico che ad ogni occasione ammicca al sesso. Ma la famiglia ha dei diritti perché prima ha dei doveri e non si può pretendere se non si è disposti a dare. Di questo avrebbe avuto bisogno Michela, ma ancora di più il suo ragazzo, il quale mentre pensava di compiere la propria libertà attraverso tradimento e menzogna, in realtà si consegnava come schiavo alle proprie pulsioni. A questi ragazzi sarebbe servito che qualcuno prima indicasse che esiste un modo di vivere diverso, che esiste una vita virtuosa che non soggioga, ma rende più liberi, che non intristisce, ma rende felici, che non brucia, ma irrora; avrebbero avuto bisogno di qualcuno che avesse indicato loro la via per amare l'amore umano.