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Le infatuazioni di Zapatero per i moriscos
Di Francesco Agnoli - 12/12/2009 - Storia moderna - 2135 visite - 0 commenti

Mentre in Svizzera la popolazione si pronuncia non contro le moschee, ma contro il proliferare di minareti islamici, svettanti sulle case e le chiese degli indigeni, vedendo in essi una minaccia culturale e politica, nella Spagna di Zapatero la deriva nichilista si manifesta nel più acceso odio di sé e della propria tradizione avita.

Non basta, ai progressisti spagnoli, equiparare i diritti delle scimmie a quelli degli uomini; neppure è sufficiente smantellare ogni giorno i valori della cristianità, sostituendoli col più triste ed infelice individualismo, che è poi quanto resta dopo l’ideologia alienante del comunismo. Occorre fare di più, occorre riscrivere la storia, con un solo intento: svillaneggiare il passato cristiano della Spagna e deturparne il ricordo.

Così i socialisti spagnoli propongono di risarcire pecuniariamente nientemeno che i tris-nipoti dei tris-nipoti dei moriscos cacciati dopo la Reconquista del 1492! Ecco, similmente, il grande successo di un romanzo antispagnolo, La mano di Fatima di Ildefonso Falcones, subito adocchiato, recensito ed elogiato, anche dalla sinistra nostrana! Cosa si dice in questo libro cui gli spagnoli hanno tributato tanto successo? Si racconta la storia dei “poveri” islamici, “stanchi di ingiustizie e umiliazioni”, che si battono contro i cattivi cristiani! Il protagonista, siamo nel 1568, è “un ragazzo di quattordici anni dagli occhi incredibilmente azzurri”, nato dall’atrocità di un prete cristiano, guarda caso un prete!, che ha stuprato una povera donna morisca!

Il libro, secondo i giornali progressisti spagnoli, ricostruirebbe le discriminazioni dei cristiani e la loro intolleranza. Ma come sono andate realmente le cose in Spagna: chi sono stati gli aggrediti, gli intolleranti, e chi gli aggressori, le vittime?

 Nel 711 la Spagna viene assalita da settemila Berberi del Marocco convertiti all’Islam e dediti alla “guerra santa” contro gli infedeli. Sono gli anni in cui l’Islam si espande con velocità inaudita, conquistando una ad una le terre cristiane, dalla Siria all’Africa del nord. Il Mediterraneo, infestato dai pirati saraceni, diviene impraticabile per gli europei; muoiono i commerci, le città sulle coste decadono, e, come ricorda lo storico Henri Pirenne, per la prima volta l’Occidente latino si trova isolato ed escluso dal contatto con i paesi a sud del mare nostrum. In pochi anni cadono sotto i musulmani Lisbona, Cordova, poi la Sicilia e altre isole del Mediterraneo. Nell’840 i musulmani saccheggiano Roma, rapinando e uccidendo senza pietà. A breve, sulle coste italiane inizierà ad riecheggiare il noto grido di terrore: “mamma li Turchi”. Ebbene la Spagna cristiana subisce il giogo islamico per oltre sette secoli. Si libererà solamente con la conquista di Granada nel 1492, in una battaglia a cui partecipano, a fianco degli spagnoli, francesi, tedeschi, svizzeri, inglesi… Pochi anni prima i musulmani hanno definitivamente distrutto e conquistato Costantinopoli, pronti a chiudere l’Europa in una morsa (1453). Durante la presa di Granada, come racconta lo storico J.Dumont (“La regina diffamata”, Sei), i “re cattolicissimi” “hanno proibito ai cristiani rappresaglie o saccheggi”, che in effetti non si verificano.

Ma cosa fare dei moriscos, una volta liberata la città? Isabella e Ferdinando, dal 1492 al 1499 propongono loro la conversione volontaria, senza alcuna imposizione, concedendo nel contempo moschee, libertà di culto e di costumi. Ma la politica tollerante non ha successo: molti moriscos sono sempre pronti alla sedizione e alla prova di forza. E’ in questa situazione, dopo la loro ennesima ribellione, che i re di Spagna, nel 1501, li invitano ad una scelta estrema: o la conversione, volontaria, o l’esilio, il ritorno nelle proprie terre. Dopo 7 secoli di oppressione islamica, non se ne ha diritto? Convertendosi liberamente, scrive il Dumont, i moriscos “potevano conservare i costumi musulmani, le abitudini more, l’uso della lingua araba…La conversione diveniva dunque un semplice modus vivendi tra Cristianesimo di principio e Islam di fatto”. Infatti molti accetteranno queste condizioni. Sarà solo nel 1566-68, dopo che i Turchi hanno lanciato una poderosa offensiva nel Mediterraneo e i Mori nordafricani hanno razziato le coste della regione di Granada, in combutta coi moriscos “spagnoli”, riforniti di armi raccolte in una moschea di Algeri, che Filippo II proibirà l’uso della lingua, degli abiti e dei costumi arabi, e imporrà a tutti i moriscos di imparare lo spagnolo entro tre anni, favorendo nello stesso tempo i matrimoni misti. In questi anni, scrive lo storico H. G. Koenigsberger, i frequenti attacchi turchi alle navi, ai villaggi e ai porti della Spagna meridionale, “contribuirono a tenere continuamente vivo il senso di minaccia” negli spagnoli, mentre “i contatti (dei turchi, ndr) con i moriscos di Granada portarono il pericolo musulmano nel cuore della Spagna” (Cambridge University, Storia del mondo moderno, vol. III).

Infine, nel 1609, quando si apprese che “i moriscos complottavano con i barbareschi ed Enrico IV di Francia, grande nemico della Spagna, per organizzare una nuova sollevazione, estesa a tutto il regno”, Filippo II ordinò l’espulsione di 300.000 di loro.

Erano passati sette secoli di dominio islamico e oltre cent’anni di falliti tentativi di convivenza: con quale coraggio Mario Vargas Llosa ed altri intellettuali “progressisti”, di continuo col ditino alzato, con le loro analisi sempre così banali, scontate, ripetitive, straparlano, a proposito di queste vicende, di “intolleranza religiosa” e “pregiudizio razzista”? (Il Foglio, 10 dic.2009) 

 
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