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Quando si rifletta sulla solenne bellezza racchiusa nelle promesse d’amore che gli sposi pronunciano l’uno davanti all’altro e insieme, davanti a Dio, non si può che provare tenerezza, stupore e brivido, mescolati dentro l’orizzonte di un desiderio infinito. L’amore umano è impastato di eternità, avverte il limite e la prova, ma nonostante tutto sfida “l’impossibile” e in questa sfida si fa, si compie, giorno dopo giorno.
La fiamma dell’innamoramento illude, brucia e confonde due che ancora non si conoscono. Ma l’amore è paziente, aspetta, saggia, prova, resiste e si scopre figlio dell’abitudine alla fatica, figlio della scelta, consanguineo della volontà. Nobile “umana famiglia” con parenti così esigenti. Una famiglia che se vivesse soltanto d’umani sforzi finirebbe per naufragare sotto il peso della vita e della crudezza della realtà. Ma gli sposi promettono, non davanti ad un sindaco, neppure davanti a se stessi, neppure davanti al mondo, perché il loro amore non lo può conservare neppure la platea dell’universo intero: essi promettono davanti a Dio. D’innanzi all’eterno amore ogni promessa d’amore eterno cessa di essere un auspicio da affidare alla dea della fortuna e diventa una possibilità.
“Prometto di amarti e di onorarti sempre nella salute e nella malattia, nella gioia e nel dolore “sul” nome del Padre del Figlio e dello Spirito Santo…Io prometto e ti dono questo anello segno del mio amore e della mia fedeltà”… Su questa base divina si fonda l’amore cristiano da noi un po’ liberamente interpretato nella formula nuziale. Fedeltà e onore dell’altro, rispetto del corpo e dell’anima anche quando anima e corpo sono così di polvere che basterebbe un soffio per disperdere tutto e consegnarlo al niente della vita che scorre. Ma sulla roccia tutto si incide, resta, si stabilizza, si supera e si ritrova oltre ogni tentazione di resa. Ogni amore può essere unico, ed ogni donna o uomo può essere amato/a se il fondamento è Quello. Ma questo sempre vale anche davanti alla morte, anche quando il tempo concesso agli amanti è pocchissimo?
Due giovani decidono di sposarsi nonostante lei sia gravemente malata, nonostante lei debba morire. Ma allora perché sposarsi se il futuro è assente se la speranza è quasi annientata dagli eventi; perché non vivere spensierati il poco che resta, bruciando i giorni in un vortice di emozioni maledicendo il tempo e il destino? Allora perché il matrimonio se quest’ultimo è solo la vita insieme vissuta nel tempo, come vorrebbero farci credere certi aggiornati teologi. Perché l’esigenza di una formula e di un rito? L’amore è più della fatica del vivere, più della promessa, esso riposa nell’eterno tempo di Dio, un tempo capace di rendere eterno anche un pugno di giorni. Perciò l’amore cristiano è un sacramento che si giustifica anche se la vita concessa agli amanti dura un solo giorno.
E il sacramento è rito e formula, è silenzio e mistero, è attesa d’Altro che non sia noi stessi. Un altro che in quell’istante, mentre pronuncio quella formula si fa presente in modo unico e irripetibile. Nella nobiltà della natura è inserito un sovrappiù semplicemente donato che ci perfeziona. Per sempre, il segreto dell’amore sta proprio lì. Il per sempre dell’amore è diverso da ogni umana promessa, esso è un impegno che “costringe Dio” a mantenere al nostro posto la promessa. Noi, fragili amanti incapaci di aggiungere un solo istante al nostro destino, osiamo promettere amore sulla parola che un Altro ha detto per noi. Per questo anche in punto di morte la promessa degli amanti è viva, anzi, essa è più viva che mai perché spera oltre lo spazio fragile del tempo e dei sogni, fissandosi nel cuore stesso di Dio.