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Giornali e televisioni l’avevano già eletta erede di Welby, ma ora Mirna, sessantenne malata di Sclerosi laterale amiotrofica, pare abbia cambiato idea sulla tracheotomia che, fino a due giorni fa, molti asserivano lei non volesse. Delle due l’una: o la volontà della signora è stata fraintesa sin dall’inizio, oppure – e non ci sarebbe nulla di strano – Mirna ha cambiato idea, probabilmente rasserenata dalla competenza e dall’ascolto dei medici. In questo caso, sarebbe l’ennesima batosta all’entusiasmo fanatico di quanti non fanno che gridare la necessità del testamento biologico, dimenticandosi che sottoscrivere un simile documento non significa tutelare, bensì congelare la volontà, ingabbiandola in griglie e crocette. Nei recenti dibattiti di bioetica infatti, si parla spesso di “volontà”, di “consenso informato”, di “terapie” e via dicendo, ma ci si scorda sempre di ricordare alla gente che chi sottoscrive un testamento biologico, nella stragrande maggioranza dei casi, non redige alcuna volontà, bensì codifica la propria mediante crocette inerenti ad un numero x di preferenze terapeutiche. Il che, ammesso e non concesso che la volontà rimanga immutata nel tempo – e il caso di Mirna ci rammenta quanto sia raro che ciò possa accadere -, dimostra pure l’irrazionalità di chi pretende esaurite in un documento, per giunta da compilare come un test qualsiasi, tutte le eventualità terapeutiche che si possono presentare nella realtà. Impossibile. Non per nulla - ma questo i vari Marino e Veronesi si guardano bene dal ricordarlo – esistono ricerche, come lo studio Support, che ha messo in evidenza come su quasi seicento casi di pazienti che avevano compilato un biotestamento, appena in 22 casi (meno del 5%!) le volontà anticipate di trattamento si sono rilevate applicate e applicabili. Del resto, che il testamento biologico sia un sonoro fallimento, una contraddizione in termini dai mille rischi, è fin troppo dimostrato: dal 1985 al oggi, sulle riviste scientifiche, sono stati pubblicati quasi 700 studi sul tema; studi che hanno dimostrato limiti pazzeschi sia in ordine di attendibilità, che di applicabilità del tanto osannato biotestamento, e che – ma che strano – da noi vengono puntualmente ignorati. Perché si preferisce continuare a raccontare la storiella dell’autonomia e dell’autodeterminazione che, anche se in libreria va alla grande, nella realtà fa acqua da tutte le parti. Il bioeticista D. Callahan ha scritto:”Persino se l’autonomia fosse messa sul trono e incoronata, il suo contenuto e il suo contesto sarebbero manipolati da tacite modificazioni culturali tanto potenti quanto invisibili”.