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Anche questa crisi, prima o poi, passerà. Non è, si badi, retorica e nemmeno uno spot gratuito al Governo che, come non ha responsabilità in ordine alla recessione economica planetaria, parimenti avrà meriti limitati se, come sembra, tra poco l’Italia riprenderà a crescere. La crisi passerà e gli italiani ne usciranno perché ci sono già passati. Senza dubbio, i meno giovani ricorderanno bene com’era l’Italia ai tempi della crisi energetica del ’73: l’intero Paese fu sull’orlo del baratro e ci fu una forsennata corsa al risparmio. Dopo decenni, calessi fino a quel momento sepolti nei cascinali di campagna fecero, trainati dai cavalli, nuovamente la loro comparsa sulle strade; sembrava d’essere tornati, come per incantesimo, ai primi del Novecento.
Il presidente Rumor suggerì pubblicamente agli italiani che avevano tre lampadine in sala da pranzo di svitarne una, e fu battezzata per la prima volta la politica domenicale delle targhe alterne per il traffico automobilistico. A Napoli scoppiò il colera e l’impressione che i nostri compatrioti avevano era che sì, l’apocalisse fosse davvero vicina. Ricordava Cesare Marchi nel suo “Caro Montanelli” (Rizzoli, 1985) come un nostro giornale, in data 2 ottobre 1973, tuonasse allarmato:”Il deficit di cassa ha raggiunto una cifra record: 2733 miliardi. Oltre, non si può andare”. Solo pochi anni dopo si sarebbe capito che quello non era affatto, per quanto grave, un record destinato a durare.
Abbiamo finora ricordato la crisi del ’73, ma quello non fu certo l’unico momento in cui si pensava l’Italia perduta, salvo poi constatarne la resistenza se non la rinascita . Pensiamo al mitico dopoguerra. Anche in quella occasione, un paese sfigurato dalle bombe e uscito a fatica dal rischio, in alcune zone concretizzatosi, di guerra civile, seppe ripartire. Non a caso, quando si rievoca quel periodo, si preferisce parlare dell’Italietta, vale a dire d’un Paese ridimensionato nelle energie ma non nell’orgoglio, che seppe tornare grande. La forza ed il coraggio messi in campo dagli italiani furono sorprendenti al punto che un tale, mi pare inglese, ebbe a constatare:”Gli italiani perdono una partita di calcio come fosse una guerra, ed una guerra come fosse una partita di calcio”.
La familiarità che, come popolo, abbiamo con la crisi non ci porta solamente ad uscirne come e meglio di altri, ma addirittura ad esercitare facoltà predittive. Era il 12 Novembre 2006 quando, sulle colonne del Corriere della Sera, il nostro Giulio Tremonti firmò un intervento dal titolo a dir poco profetico: “l’America ora rischia una crisi stile ’29”. Orbene, appena tre anni dopo, a partire dagli Stati Uniti, la crisi ha iniziato il suo contagio internazionale. E tutti, guarda caso, a commentarla in riferimento costante a quella del ’29. Ora, è di tutta evidenza l’impossibilità di fissare tappe e calendario della nuova ripresa. Ma su una cosa, anche noi profani dell’economia, possiamo stare tranquilli: benché giovane, geneticamente e culturalmente frammentato, siamo un popolo che ne ha già viste tante. Siamo giovani ma ci siamo già fatti le ossa. E ce la faremo anche questa volta.