L’Agenzia italiana del farmaco (Aifa) ha dato il via libera all’immissione in commercio della pillola abortiva Ru486. Entro un mese avverrà la pubblicazione sulla Gazzetta Ufficiale, dopo di che la pillola potrà essere utilizzata negli ospedali, anche se nel comunicato si sottolinea che si “rimanda a Stato e regioni le disposizioni per il corretto percorso di utilizzo clinico del farmaco all’interno del servizio ospedaliero pubblico”, lasciando un’autonomia decisionale che potrà rivelarsi alquanto pericolosa. Intanto a Palazzo Madama continua a lavorare la commissione Sanità che sta compiendo l’indagine conoscitiva per appurare se la pillola Ru486 è compatibile o meno con la Legge 194/78. Tale legge, infatti, permette l’Interruzione Volontaria di Gravidanza (IVG) entro il terzo mese di gestazione e all’interno di una struttura ospedaliera (art. 8) qualora vi siano seri pericoli psichici o fisici per la madre. Fortemente voluta dalla sinistra e conquistata quando al governo c’era la Democrazia Cristiana e Presidente del Consiglio era Andreotti, la suddetta Legge 194 venne fatta passare come un atto volto a far uscire l’aborto dalla “clandestinità”, per rendere la donna libera di abortire in sicurezza e in strutture pubbliche.
Nell’attuale dibattito sulla pillola Ru486, sembra che gli slogan che tenevano banco trent’anni fa siano stati dimenticati: la donna prende, sì, la pillola in una struttura sanitaria pubblica, ma dopo poche ore viene mandata a casa, luogo dove si svolgerà quello che Giuliano Ferrara ha correttamente definito “il tragico casalingo”. Inoltre, la donna dopo aver assunto la pillola è anche avvolta nell’incertezza: non sa dove, quando, come, se abortirà; tutte le responsabilità ricadono su di lei: lei compie il gesto abortivo, lei controlla il decorso dell’aborto e lei vede il materiale abortivo, ovvero l’embrione espulso. Insomma, il medico in tutto l’iter dell’aborto farmacologico (che dura più di due settimane) ha ben poca responsabilità: riecheggia molto il tristemente noto “me ne lavo le mani”… .
Molto significativo è il fatto che anche molte femministe pro-aborto si dicano contrarie alla tecnica farmacologica di introduzione della gravidanza. L’autorevole femminista australiana Renate Klein non condivide per nulla la decisione dell’Aifa perché “scarica ogni rischio e ogni responsabilità sulla donna” (Avvenire, 10 settembre 2009) e quando le viene chiesto di spiegare in che modo questo avvenga risponde: “sarò cruda: una donna si può trovare su un autobus o al lavoro mentre iniziano i conati di vomito, le scariche di diarrea e le contrazioni che seguono l’assunzione del farmaco. Si può arrivare a perdere anche molto sangue. La donna può continuare a sanguinare per giorni, se non settimane, e non sapere con certezza se il figlio che ha dentro di lei è stato abortito o continua a vivere. Nell’ipotesi peggiore per avere questa certezza deve vedere lo stesso figlio espulso nel water: un’esperienza scioccante. Immaginarsi quale senso di colpa la segnerà per tutta la vita dopo questo tipo di aborto” (ibidem).
Prosegue: “la questione della libertà di scelta per le donne è spinosa. Io, per esempio, condivido che le donne abbiano diritto ad accedere a un aborto sicuro e legale, dopo un’appropriata consulenza psicologica, qualora non vogliano mettere al mondo un figlio per ragioni valide: un padre violento, la mancanza di risorse economiche, la minaccia per il proprio lavoro o per la propria formazione. Ma, lo sottolineo, è importante che la donna sia informata correttamente su cosa significhi abortire. Il messaggio banalizzato «è davvero facile, prendi la pillola, e bingo!, non sarai più incinta» è pericolosissimo”(ibidem).
In conclusione, con l’introduzione di questo metodo abortivo si rischia veramente di fare più vittime di quelle che già ci sono: oltre ai bambini innocenti, rischiano la vita anche le donne che prendono tale “farmaco”, senza non dimenticare le pesanti conseguenza psicologiche che la visione dell’embrione abortito comporta.
Intervistato sull’aborto nel 1981, Norberto Bobbio confidava a Giulio Nascimbeni: “Mi stupisco che i laici lascino ai soli credenti il privilegio e l’onore di affermare che non si deve uccidere”.
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