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Le famiglie arcobaleno
Di Giulia Tanel - 09/10/2009 - Bioetica - 1247 visite - 0 commenti

In queste settimane il Senato dell’Uruguay, dopo aver legalizzato le unioni civili tra coppie delle stesso sesso nel 2007, sta approvando la possibilità di adozione da parte di coppie omosessuali.


Negli Stati Uniti i bambini che vivono con genitori dello stesso sesso sono 270 mila, in Germania ammontano a circa 2.200 i bambini adottati da coppie gay. Molti altri sono i Paesi dove è possibile, per una coppia omosessuale, crescere dei figli propri. Perché, così sostengono tutte le recenti sentenze americane, va distinto “il diritto all’educazione dei figli dalle funzioni riproduttive, conferendo lo statuto di genitori a coppie con figli ottenuti anche in modi non-tradizionali” (Il Sole 24 Ore, 4 ottobre 2009). Questo diritto sembra essere avvalorato da una rassegna di Charlotte Patterson, pubblicata già nel 2006 sulla rivista degli psicologi americani, la quale sostiene che “per i bambini non è importante il sesso dei genitori ma la qualità delle relazioni familiari”. Dunque rientra nella normalità avere due mamme o due papà, non vi è nulla di strano: basta che mamma e mamma o papà e papà vadano d’accordo e il bambino cresce sereno.

Ma allora perchè Dio “maschio e femmina li creò?” (Genesi, 1,27)
Probabilmente questa ricerca si è “dimenticata” di considerare la parte in causa più debole: il bambino. Tutti - fin da piccolini - percepiamo la differenza tra la mamma e il papà, la loro complementarità, i loro ruoli differenti: quando c’è il temporale d’istinto si corre nelle braccia della mamma, mentre se si fora la ruota della bicicletta si va dal papà: questa “distinzione di ruoli” è un processo naturale e inconsapevole che ognuno fa. In più bisogna tenere conto delle fasi attraverso cui tutti, crescendo, passiamo e che sono utili ai fini della conquista della propria individualità, compresa l’identità sessuale. Già nei primi anni di vita il bambino si identifica con l’uno o con l’altro genitore a seconda del genere; in seguito, nel tutt’altro che indolore periodo adolescenziale, i figli hanno, tendenzialmente, un rapporto più problematico con il genitore dello stesso sesso: per le ragazze ribellarsi alla madre è un modo per elaborare l’accettazione della propria femminilità, mentre per il papà stravedono; l’opposto accade ai ragazzi, perennemente coccolati dalle madri e in conflitto, più o meno esplicito, con l’autorità paterna.


E’ nell’esperienza comune di tutti, quindi, il fatto che le figure genitoriali debbano essere due e differenti. Molte volte capita di sentire storie di ragazzi problematici o ribelli corredate dalle frasi: “povero, gli manca il papà”, oppure: “è perché la madre è assente, lavora troppo”. Implicitamente la società ha ben chiaro di cosa necessita un bambino per crescere sereno ed equilibrato ma, purtroppo sempre più di frequente, queste concezioni vengono accantonate in favore di “liberté, egalité e fraternité”, sull’onda delle ideologie: perché è giusto che vi sia il divorzio, l’aborto, la fecondazione artificiale, l’adozione alle coppie omosessuali… dimenticando sempre di considerare chi di queste “conquiste” è vittima.


In tal senso, Claire Breton, cresciuta da una coppia lesbica, ci fornisce una testimonianza molto bella. Ormai adulta, dopo anni di psicoterapia, Claire ha condotto un’inchiesta per capire se tutti i figli di genitori omosessuali hanno provato la sua stessa sofferenza ed inquietudine e il risultato di questa sua ricerca è il libro “Ho due mamme - Crescere in una famiglia diversa” (Sperling & Kupfer Editori, 2006), di cui riporto qui due parti molto significative.
La protagonista della prima vicenda è Emma, una diciannovenne di San Francisco, che è stata cresciuta da tre mamme, le quali, alle sue ripetitive (e legittime) domande di conoscere la verità sul padre, si sono sempre rifiutate di rispondere. “A diciannove anni, Emma ha potuto finalmente sapere chi era il padre, un uomo che aveva un’altra famiglia e altri figli. Emma parla del suo padre biologico con il suo ragazzo: «Sai, oggi ho sentito per telefono il mio sperma…». Un po’ di sperma, ecco quello che Emma sa di suo padre!”( Claire Breton, op.cit., p. 147).


La seconda esperienza ha per protagonista Katlyn, anche lei allevata a San Francisco, città pioniera in fatto di omoparentalità. “Lei ha due madri, di cui una è la madre biologica e l’altra è la madre biologica di suo fratello. Oggi confessa che le manca qualcosa: «Non so cosa sia un padre». Fortunatamente aveva alcune risorse. Katlyn si è ribellata prestissimo al modello esclusivamnete femminile che le proponevano le sue mamme. Queste ultime raccontano che cercavano di far interpretare ruoli omosessuali alla Barbie e al suo compagno maschile Ken: organizzavamo matrimoni tra due Barbie e travestivano Ken da drag queen. E Katlyn, alta come un soldo di cacio, rifiutava con veemenza queste regole del gioco. Voleva a tutti i costi che Barbie sposasse Ken, semplicemente… Non sono cose che si inventano!”( Claire Breton, op. cit., p. 148).

Già, avere una mamma e un papà non sono cose che si inventano!

 
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