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Con Socrate la questione antropologica viene messa al centro della riflessione filosofica. Per il grande filosofo ateniese l’uomo è la sua anima, in quanto quest’ultima definisce proprio l’io-coscienza, l’io consapevole, la sua personalità intellettuale e morale, e dunque lo distingue da qualsiasi altra cosa.
Tra un oggetto e un soggetto c'è un abisso, un differenza ontologica, visibile e sperimentabile, una irriducibilità evidente. Questa concezione dell’anima non c’era prima di Socrate. Collegata ad essa è la concezione della virtù: essa è ciò che permette all’anima di realizzarsi e raggiungere la vera felicità; si tratta della ‘conoscenza’, la quale, quando è corretta e adeguata, conduce necessariamente l’uomo a fare il bene e alla felicità. Si tratta del cosiddetto ‘intellettualismo etico socratico’, che ritiene determinante la sola ragione nell’azione morale, e ignora l’esistenza della volontà.
E' la ragione dunque che coincide con la psychè, l’anima dell’uomo. Siamo dunque ancora in una concezione antropologica limitata, che non illustra adeguatamente ciò che l’anima è , e non ne coglie dimensioni importantissime come la volontà. Tuttavia siamo di fronte ad una consapevolezza decisiva della grandezza dell’anima umana: è la sede della ragione, della ricerca della verità, della coscienza dell’essere, dell’io, della felicità.
L’uomo diventa importante non per un generico sentimento o espressione di sé, ma per il suo legame con la ragione in quanto tale: Se l’intelligenza non esistesse affatto, come puoi pensare che solo tu, per un caso fortuito, te la sei portata via, a che questi elementi, infiniti di numero e immensamente grandi, sono stati sistemati in bell’ordine, a quanto supponi, da una forza non intelligente? Se dunque nell’uomo si riflette la razionalità in quanto tale, è evidente che l’essenza dell’uomo è una realtà straordinaria. Socrate non è in grado di dirci cosa essa sia, ma ha avuto il merito di renderne più evidente l’esistenza, l’azione, il mistero.