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Il sondino malinteso
Di Giuliano Guzzo - 02/10/2009 - Eutanasia - 1225 visite - 0 commenti

Ha davvero dell’incredibile la superficialità che contrassegna le analisi quotidiane sul testamento biologico, una superficialità volta esclusivamente ad ottundere il dibattito, riducendolo a contesa stucchevole ed inconcludente. L’intervento odierno di Riccardo Chiaberge sulle colonne de Il Sole 24 Ore rappresenta una ulteriore conferma di questa superficialità e dell’irrefrenabile tentazione, da parte di alcuni, di liquidare una questione complessa come quella sul fine vita a suon di battute. Diversamente non si spiegherebbe come un intellettuale come Chiaberge, dopo un esordio demagogico che dequalifica in partenza la serietà della sua analisi (“A chi appartiene la vita? A Dio, rispondono i credenti. A ciascuno di noi, ribattono i laici”), giunga a tirare strumentalmente in ballo le posizioni dell’Associazione medici cattolici di Milano e del bioeticista di fiducia del cardinale Tettamanzi, per poi congedare il lettore con un’uscita ancor più sconcertante:”Il sondino di stato, per favore, quello no” (Il Sole 24 Ore, 2/10/09).

Chiaberge sa bene, tanto è vero che nel suo stesso intervento ne fa cenno, che la questione del testamento biologico porta con sé innumerevoli nodi irrisolti: dall’attualizzazione coatta di una volontà passata all’ardita scommessa sull’arresto dell’evoluzione scientifica, sono infatti molti gli aspetti che non tornano. Per queste ed altre ragioni che non stiamo qui ad elencare, prendersela col sondino è puro esercizio retorico. Anche perché, come più volte è stato detto,in un Paese il cui sistema sanitario è giustamente tenuto a bada dalla magistratura per omissioni ed insufficienze, il problema dell’accanimento terapeutico risulta del tutto pretestuoso e virtuale. Ma quand’anche avessimo i migliori tra gli ospedali possibili, le questioni sollevate da Chiaberge rimarrebbero dove sono, con tutta la loro carica di ambiguità. Se infatti non è dimostrato, e forse nemmeno dimostrabile, che nutrirsi mediante sondino equivalga a sottoporsi ad un trattamento terapeutico, l’intero problema del sondino viene meno quando si ricorda che in molti casi – quello di Eluana Englaro era fra questi – il ricorso a mezzi artificiali rappresenta solamente un’alternativa più funzionale ad un’alimentazione che comunque potrebbe avvenire per via orale.

A questo punto, com’è evidente, il problema posto da Chiaberge assume contorni ben meno filantropici, giacché l’interrogativo diventa un altro: è annoverabile tra i diritti, e per chi assiste tra i doveri, la sospensione del nutrimento ad una persona? Procurare deliberatamente una morte per disidratazione è sul serio una conquista civile? Che ne è del mandato ippocratico quando si abbandona a sé stesso un essere umano bisognoso di assistenza? Negli anatemi anticlericali di molti fautori della bioetica fai da te non c’è spazio per questi interrogativi, quindi sta a noi continuare a riproporli, non tanto perché chi la dura la vince, quanto piuttosto perché in gioco, come diceva Pisanu l’altro giorno, c’è una posta davvero molto alta. Che rischia di essere dimenticata.

 
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