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Da Praga, parlando al mondo accademico, il Papa ritorna sul tema “fede-ragione e Verità” che nel famoso discorso di Ragensburg (2006), seppur per altri motivi, aveva toccato l’apice di popolarità, ma che ha origini molto lontane nel pensiero di Joseph Ratzinger.
Già nella sua prolusione a Bonn nel 1959 ci sono le tracce di questa ricerca e difesa della Verità ora riproposte a più riprese nel suo pontificato, ricerca e difesa che si ritrovano anche in moltissimi interventi e lavori del Ratzinger teologo e poi Cardinale. Da non dimenticare che anche la recente enciclica “Caritas in Veritate”, prima di essere un documento che si occupa di economia, può essere interpretato come un atto del Magistero a difesa della Verità, quasi a sottolinearne un primato o comunque un insostituibile fondamento della carità cristiana.
Fiumi di inchiostro sono stati versati sul tema del rapporto fede e ragione intese come “due ali” che conducono alla ricerca della Verità, illustri teologi e filosofi si sono cimentati, soprattutto dopo l’enciclica “Fides et Ratio” (1998) di Giovanni Paolo II che tra l’altro ha rappresentato una vera e propria nuova frontiera per la riflessione della teologia dopo il Concilio.
In poche parole possiamo dire che i due ultimi pontefici affermano la possibilità dell’uomo di riconoscere, con una ragione aperta al trascendente, l’Assoluto e i suoi attributi, traguardo che poi la fede può illuminare ed elevare per dare autentica risposta alla richiesta di senso dell’uomo.
Si tratta apparentemente di questioni molto lontane dalla vita quotidiana dei fedeli, spesso ritenute troppo complesse per essere spiegate “ai semplici”, ma non è così, anzi si può affermare - senza troppa paura di smentita - che qui si gioca una grossa partita per il futuro dell’umanità e forse anche la pastorale non dovrebbe aver paura di occuparsene.
Oggi non è politicamente corretto affermare che è possibile cercare e trovare la Verità, subito si viene tacciati di fondamentalismo e considerati esponenti di una sub-cultura.
C’è da chiarire però un aspetto sostanziale: non si tratta di una Verità qualsiasi, ma della ricerca del fondamento assoluto dell’universo e della personale esistenza di ogni uomo, perciò almeno un po’ di curiosità sarebbe meglio prestarla. In altre parole si tratta di cercare la risposta alle domande più definitive: ha un senso la vita? perché la morte? da dove vengo? a cosa sono destinato? c’è una risposta alla sete di felicità?
Si può far finta che tali domande siano inutili, ma poi in pratica tutti diamo una qualche risposta, anche inconsciamente: chi il potere, chi il piacere, chi Dio, chi il Nirvana, ecc. Tutte le risposte però non possono essere considerate uguali circa lo stile di vita che ne discende, perché la prospettiva cambia, e di molto, se il fondamento assoluto della realtà viene considerato immanente alla realtà stessa, o trascendente. Anche nell’ambito del trascendente è evidente che il riferimento a Dio o agli dei non è la stessa cosa.
Alle molte forme di gnosi, ai materialisti di varia estrazione, ai panteisti più o meno paganeggianti, mi preme dire che dei loro sofismi non saprei che farmene, infatti, le loro soluzioni ai quesiti esistenziali quantomeno lasciano un po’ di amaro in bocca. O meglio, che tipo di risposta danno? quale spiegazione alla sofferenza? In definitiva, cosa possiamo sperare? Ecco la domanda che inchioda gli uomini del nostro tempo.
Se la Speranza cristiana viene ridotta al rango di una consolazione per ignoranti e deboli, quale altra speranza viene offerta da questi uomini “forti e razionali”? Quale altra speranza che renda la vita degna di essere vissuta? Quale speranza che sostenga la sofferenza e l’ingiustizia? Se non c’è un Bene che cosa è il bene? Per cosa sono libero?
La Speranza cristiana nasce e si alimenta dalla Fede in Colui che ha vinto la morte, in Gesù Cristo che ha detto di essere il Figlio di Dio, crocifisso al tempo del governatore Pilato, risorto dopo tre giorni e asceso al Cielo.
“Ma voi chi dite che io sia?” dirà Gesù ai suoi discepoli e lo chiede ancora oggi a me e a te che stai leggendo. E’ la risposta a questa domanda che può dischiudere la Speranza, è questa risposta che permette di comprendere che Lui è “la Via, la Verità e la Vita”.
Una ragione ripiegata su se stessa che ritiene vero solo ciò che può essere “misurato” non riesce più nemmeno a comprendere la portata della domanda fatta da Gesù, ma così uccide se stessa, quindi la libertà. Si è fatto un sol boccone della metafisica e così si è arrivati logicamente a dire che “Dio è morto”. A livello etico il processo ha condotto al “tutto è possibile” e anche il comandamento dell’Amore di Gesù è trasformato in una specie di marmellata soggettiva da cui prendere solo ciò che non urta troppo il proprio orgoglio, in ossequio ad una “libera interpretazione” che affonda le sue radici nella Riforma luterana.
Sì, l’Amore è la risposta di Dio sul destino e il significato dell’esistenza, ma questo Amore però non è un sentimento vago, confuso e soggettivo, non è buonismo o filantropia, è innanzitutto rappresentato da una Persona.
Non è qualcosa, ma Qualcuno, perciò non è riducibile ad un’esperienza intimistica, si incontra, è altro da sé, e come ogni esperienza di incontro personale l’atteggiamento con cui viverlo è il dialogo: si ascolta, poi si decide liberamente e responsabilmente quale risposta dare.
Questo incontro però non è con un fantasma o con un’idea, né soltanto con una Parola scritta, ma avviene anche nel quotidiano, alla luce del rapporto con la tradizione vivente nel corpo della Chiesa che consente a ciascun uomo di partecipare all'esperienza di coloro che incontrarono Gesù.
In estrema sintesi e con una finalità sapienziale, qual’è la Verità?
Conoscere che Dio ci Ama fino all’estremo della Morte in Croce del Figlio, perchè vuole salvarci. E questa Verità appunto non è un’idea, ma una Persona, quella che Pilato aveva davanti quando fece la sua domanda “Che cos’è la verità?”, ma in realtà non gli interessava la risposta, non ne sentiva il bisogno.
E noi? sentiamo di dover essere salvati? sappiamo riconoscere la necessità del perdono?
Questa presa di coscienza della nostra condizione è il primo raggio di Verità, di qui possiamo comprendere che la Legge non è contro di noi, ma per noi e quindi apprezzare anche il ruolo insostituibile del Magistero della Chiesa nel discernere e interpretare, evitando il comodo “fai da te” che, più che l’incontro con l’Altro, rappresenta un compromesso con sé stessi.