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Cossiga: la vicenda resta oscura/ Il vice di Libero: sto con Boffo
Di Rassegna Stampa - 01/09/2009 - Attualitą - 1307 visite - 0 commenti

Originale, strano e acuto come sempre. Presidente Cossiga, lei che ha una qualche esperienza dei rapporti tra lo Stato italiano e la Santa Sede, quale idea si è fatto di questa storia? «A dire il vero, ho la testa da un'altra parte».

Cioè? «Sto cercando di sistemare un parente in Rai». Un parente? «Le mie residue energie sono totalmente profuse a far nominare mia nipote Bianca Berlinguer direttrice del Tg3, anche se mi ha rinnegato... Allo scopo ho appena finito di parlare con il dg Mauro Masi. E questo nonostante lei discenda dal ramo aristocratico della famiglia, mentre io sono pronipote di un pastore». Veniamo ai rapporti tra Stato e Chiesa. «Ho scritto al Giornale una lettera, per disapprovare l'attacco al direttore di Avvenire. Converrà che si tratta di un gesto nobile, essendo lo stesso Avvenire che nel ‘91, allora come oggi al seguito di Repubblica, chiese le mie dimissioni da capo dello Stato. Resto convinto però che della vita privata non si debba scrivere.

Della vita di Berlusconi come di quella di Boffo; che, come direttore del quotidiano dei vescovi, non è meno personaggio pubblico del premier». La sua non pare una difesa molto convinta. «Al contrario; benché abbia sempre trovato Avvenire un giornale noioso, e abbia considerato fuori luogo gli attacchi a Berlusconi. Meno convinta è la difesa dell'arcivescovo di Mazara del Vallo, che chiede a Boffo un passo indietro. Magari dopo aver chiarito una vicenda che resta oscura. Perché, se davvero il direttore ha prestato il cellulare a un amico che l'ha usato per molestare una signora, ciò denota una bontà inversamente proporzionale all'accortezza. Come si vede anche dalla sua reazione all'attacco del Giornale».

Francesco Cossiga A cosa si riferisce? «Boffo sbaglia a prendersela con Feltri, tanto più a querelarlo. La vicenda doveva restare privata, ma ora che è divenuta pubblica si è fatta seria. Ho qui davanti a me un libretto di preghiere, prefato da Ratzinger, dove a pagina 17 si elencano i quattro peccati che "gridano vendetta al cospetto di Dio": il primo è l'omicidio volontario, il secondo l'atto impuro contro natura. È lo stesso Ratzinger che, tre giorni dopo l'ascesa al soglio, ha deposto il capo dei legionari di Cristo a causa di una figlia segreta». I servizi segreti hanno avuto un ruolo? «In Italia, da Rutelli in giù, si imputano ai servizi segreti pure i 34 alpinisti morti quest'estate in montagna. Mi pare piuttosto che la chiave di questa storia vada cercata nella comunità di Don Gelmini. E quindi semmai riguarda la magistratura». Il punto non è la vita privata di Boffo, quanto la tensione tra governo e Vaticano. «Qui sta l'errore di Feltri. Credendo di far piacere a Berlusconi, gli ha procurato un fastidio inutile».

 La mancata cena con Bertone dopo la Perdonanza? «La cerimonia non è importante. Venerdì scorso ho consigliato a Berlusconi di rinunciare, così come gli avevo detto di evitare i pellegrinaggi da Padre Pio suggeriti da Nunzia De Girolamo e altre amenità. Palesemente il viaggio all'Aquila non era destinato a omaggiare Celestino V ma a incontrare Bertone. E Bertone non poteva incontrare Berlusconi quella sera senza delegittimare la Conferenza episcopale italiana».

Sta dicendo che per un giorno la Cei e il Vaticano, fino a quel momento divisi sul caso Berlusconi, si sono ritrovati sulla stessa posizione? «A essere divisa è la Cei. Sono i vescovi che non riescono a trovare una posizione comune. E questo accade perché monsignor Bagnasco è un'ottima persona, un pastore angelico, ma non ha, come dire, la granitica fermezza di Camillo Ruini. Purtroppo, politici come Ruini non si trovano a ogni angolo. Quanto al segretario della Cei, monsignor Crociata (nomen omen), se il Vescovo segretario della conferenza episcopale francese avesse detto di Sarkozy e Carlà Bruni quello che ha detto lui di Berlusconi e delle sue supposte "fidanzate", verrebbe arrestato per vilipendio in piena Parigi, forse anche nel Duomo di Notre Dame o nella Chiesa abbaziale di Saint-Denis...». Cosa pensano davvero i vescovi italiani di Berlusconi? «Alcuni lo considerano come il ricco epulone. Tenga conto che per molti prelati italiani la ricchezza è peccato più grave della dissolutezza». E gli altri? «La pensano allo stesso modo. Però pensano anche all'8 per mille, all'esenzione dall'Ici, alle scuole private. E ai limiti imposti dal centrodestra al divorzio breve, alla fecondazione assistita, alla pillola abortiva, al testamento biologico. Ma i vescovi devono stare attenti, perché nel Pdl i cattolici sono minoranza. Non vorrei che a destra prevalesse un istinto vendicativo, e la legge sul fine vita venisse insabbiata».

E Ratzinger? «Ratzinger sa a malapena chi sia Berlusconi. E del caso Boffo ha letto le cinque righe che gli ha preparato la segreteria di Stato e padre Georg gli ha porto prima della preghiera serale. Ratzinger fa il Papa. Per queste cose c'è Bertone». Come sono allora i rapporti tra Bertone e Berlusconi, dopo la Perdonanza mancata? «L'Italia è uno Stato concordatario. E non c'è nessun motivo di bisticciare con uno Stato concordatario. Il Vaticano si occupa del mondo, e fronteggia una situazione drammatica. Benedetto XVI e Bertone si occupano di Obama, che nonostante le promesse si circonda di cattolici pro choice, cioè abortisti. Dell'America Latina, su cui si allunga l'ombra rossa di Chavez. Dell'Europa, dove persino i cattolici belgi si ribellano al Papa sul no ai preservativi. Del Ppe, che è in mano alla Merkel, protestante che si è sposata solo per obbedire a Kohl, ai popolari spagnoli, che introdussero i diritti per le coppie di fatto prima ancora dei socialisti, e a Sarkozy e Carla Bruni, sulla cui moralità non mi pronuncio per non essere arrestato appena mettessi piede a Parigi. L'unico che non dà problemi al Vaticano, anzi lo asseconda, è Berlusconi. Vuole che compromettano il rapporto con lui per una notte con la D'Addario? Poniamo che Berlusconi cada. Qual è l'alternativa?».

Fini? «Un uomo impegnato a riscoprire il pensiero antiborghese e anticattolico del suo maestro Almirante, per giunta infatuato dell'ebraismo, come confermano le mie fonti in Israele? Peggio mi sento». Il Pd? «Da quando Prodi si definì "cattolico adulto" (e io gli risposi definendomi un "cattolico infante") e da quando Franceschini e 60 parlamentari difesero i Dico e protestarono contro l'editoriale di Boffo intitolato "Non possumus", la Chiesa considera il Pd perduto». Casini? «È l'unico che può trarre profitto dalla situazione. Fino a quando Avvenire non ricorderà ai suoi lettori che pure lui è divorziato e risposato...». Aldo Cazzullo Corriere, I settembre

Dal blog di Luigi Santambrogio, vicedirettore di Libero:

Caro direttore, ti scrivo dopo aver scorso, in un misto di sorpresa, amarezza e infine rabbia, i giornali di ieri. Tutti con il titolo di prima pagina sul cosiddetto caso Boffo-Feltri. Beh, certo la notizia c’è, anzi una notiziona coi fiocchi: il direttore (e che direttore) del quotidiano di casa Berlusconi che attacca e svergogna i costumi sessuali di un altro direttore. Quello del quotidiano cattolico che non ha soltanto una casa ma addirittura una intera Chiesa.  Mica cosa di tutti i giorni.
Ma non è questo: quel che mi amareggia e tanto mi delude è il punto a cui è arrivato il nostro mestiere.  Non è che prima stavamo messi meglio: da tempo ormai i giornali sono diventati le gazzette da guerra della resa dei conti tra signorie economiche, clan politici, potentati editoriali.  Ai cronisti resta il lavoro sporco di confezionare reportage e report alla bisogna. I gemelli Repubblica e Espresso, punte di lancia del gruppo De Benedetti, sono l’esempio più fulgido di questo giornalismo che, al segnale del padrone, affonda le sue idrovore nel profondo torbido dello stagno. La campagna contro Papi Berlusca e i presunti baccanali di Villa Certosa passeranno certamente  alla storia del fumetto criminale.
Bon, contro tutto questo smuovere i fondali melmosi, Libero si è sempre opposto, contrapponendo un’informazione se non disinteressata (non esiste al mondo), sempre tuttavia rispettosa dei fatti e della dignità dei loro protagonisti. Pure quelli della parte (politicamente) avversa.
 Per questo, caro direttore, fatico a capire la scelta che ieri anche il nostro giornale ha fatto, “allineandosi”,  non nei toni ma  nella sostanza, alle tesi lanciate da Feltri contro il collega Boffo. Dietro la solita e un tantino bambinesca giustificazione («È stato lui a cominciare per primo»), in un eccesso di giustizia divina («Basta coi moralisti che non hanno titolo») abbiamo anche noi sbattuto in prima pagina il mostro molestatore. Anzi, i mostri, giacchè all’impuro Boffo si è aggiunto nella lista degli “zero tituli”, pure il direttore di Repubblica, Ezio Mauro. Colpevole lui di aver patteggiato in nero il saldo sulla casa acquistata.
Chi sarà il prossimo? A chi toccherà la gogna in questa faida tra direttori? Potremmo celinianamente titolare la sexy-novela con “Bagatelle per un massacro”. Il massacro è quello di colleghi in carne ed ossa, le bagatelle, invece, sono le vicende personali e gli errori che appartengono alla sfera intima e privata. La cui pubblicazione con l’informazione e il giornalismo c’entra  nulla. È il vecchio (e un tantino vigliacco) gioco, come scrive Giuliano Ferrara sul Foglio, di «rispondere cercando di infangare il pulpito da cui viene la predica». In breve, ci sono almeno 4 ragioni per cui non mi riesce di essere partecipe a questo massacro che pare divertire anche noi di Libero. Eccole.


1) Boffo viene accusato di essere il capofila dell’opposizione a Berlusconi, il primo dei moralisti che vorrebbe mettere il Cavaliere al flagello e poi crocefiggerlo sulla collina di Arcore. Insomma, il direttore del quotidiano dei vescovi italiani viene dipinto come un feroce Barabba e Avvenire quasi come  la voce dell’ultrasinistra, peggio del Manifesto e Liberazione.
Mah, non so che Avvenire avete letto. Quel che ho letto io è un giornale che si è occupato in modo critico del Berlusconi certosino e dei suoi amici a bordo piscina solo con due pezzi. Il primo, un editoriale in cui si chiedeva al premier  «più sobrietà»;  l’altro, nelle pagine interne, che ripeteva gli stessi concetti. Entrambi non  firmati dal direttore Boffo ma da suoi collaboratori o redattori. Solo in una occasione, il direttore è intervenuto nella pagina delle lettere. Insomma, il giornale della Cei chiedeva al premier un comportamento più consono alla  carica. Scrivere questo significa mettersi alla testa di una odiosa campagna per far saltare la poltrona di Palazzo Chigi? Ma andiamo. Che volete che dicesse il quotidiano dei cattolici? Il minimo che poteva dire. Ed è la posizione espressa anche dal  capo della Cei, Bagnasco. Si può anche non essere d’accordo, ma perché sparare sul “pesce piccolo”? Meglio sarebbe andare dritti alla fonte e tirare fuori qualche scoop scandalistico sul cardinale, nuovo “Cinghialone” del gay-gate boffiano. Ma colpire Boffo era la cosa più facile. Il direttore amico di Ruini, «attenzionato come gay abituale» (sic), con  il solito vizietto di preti pii e cattolici scemi che predicano bene e razzolano male. Occasione da non perdere. Dunque, giù legnate sul tapino, che conta un micco. Il giornalismo di inchiesta non guarda in faccia nessuno. A meno che si tratti dei soliti Direttori Intoccabili, (Mieli & C.) che se pure  di sinistra sono sempre dei simpaticoni. Da tenere comunque buoni.
Che Avvenire abbia invece difeso Silvio dagli attacchi della sinistra reclamante un intervento più duro dai vescovi, per questi pasdaran di Silvio, è cosa di poco conto.  E che lo abbia fatto ammonendo di inchiodare il premier ai suoi comportamenti privati, anche questo è andato in cavalleria.  Via, il pubblico vuole il taglio delle mani e il linciaggio del cittadino Dino Boffo.  Come insegnano gli ayatollah di Teheran.  


2) Boffo viene accusato di non aver titoli per fare la morale, non solo a Berlusconi,  a chicchessia.  Con quella condanna, il direttore di Avvenire sarebbe indegno di occupare la sua poltrona.  Se così è, caro direttore, ti chiedo quale giornalista potrà mai sentirsi “degno” di fare questo mestiere, di dirigere un giornale o criticare chi sta ai piani alti della politica, dell’economia e della società. Se per scrivere un articolo, occorre esibire al Feltri di turno il certificato di sana e robusta costituzione, l’attestazione del parroco di vita morigerata e sessualmente ben orientata, di non aver mai avuto o compiuto pensieri e atti impuri, chi mai  si salverà dal fuoco di questi improbabili Grandi Inquisitori? Nessuno. Lo dico per aver frequentato il nostro ambiente per quasi 30 anni. Boffo ha minacciato la moglie del suo amante? Beh, conosco colleghi e super colleghi che con le  minacce di mariti traditi e amanti cornute potrebbero riempire un’enciclopedia. Che se pubblicassero la lista delle loro  scappatelle coniugali o adescamenti di  colleghe alle prime armi con la promessa di facili carriere, andrebbero avanti per settimane. Ezio Mauro ha pagato la casa in nero? Che cattivone quel papavero scalfariano, sempre pronto  a mettere in scena il giudizio universale. Giusto, ma se questo è il gioco, conosco colleghi che non  pagano le bollette del telefono e le  contravvenzioni da decenni, che rivendono auto pignorate, godono di baby pensioni ed evadono pure  l’affitto di casa. Poi, arrivano in redazione, si infilano la giacchetta di Bob Woodward e battono furiosamente sui tasti l’ultimo scoop del loro inedito Watergate.
Che tristezza, a questo siamo arrivati.


3) Ecco, questo è lo stile cialtrone e ipocrita che Libero ha sempre attaccato e condannato. Ma ora, caro direttore, qualcosa è cambiato?


4) Non voglio affatto tirarmi fuori dalla bagarre e fare sdegnato il purista di un giornalismo immaginario che esiste solo nelle fantasie ingenue o in malafede. I quotidiani si fanno perché c’è un editore che li finanzia ed escono ogni mattina in edicola perché c’è qualcuno che li compra. Se no, la baracca chiude e tanti saluti alle buone intenzioni e agli acchiappafarfalle da fiaba. Insomma à la guerre comme etc etc... Conosco le leggi del mercato e quelle delle redazioni. Ma pure nel libero commercio ci sono decenze e limiti oltre i quali il prezzo diventa drogato e impagabile. Sono quelli della dignità personale e del rispetto della vita privata. Se così non è, per fare il nostro mestiere, come ha scritto in modo efficace e impareggiabile Alberto Arbasino, sarà sufficiente assumere in redazione un paio di iene ben addestrate. Forse ci siamo già arrivati. Ma non a Libero.

 

 

 
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